Ma Grillo è fascista o no? E Renzi è democristiano o cosa? Berlusconi è davvero un liberale? Il problema delle etichette e la loro inadeguatezza nella semplificazione politica

L’esigenza di questo post nasce dal fatto che sono colpito da un dibattito davvero sotterraneo e non molto rilevante in sé, ma che continua a presentarsi come importante nel dibattito pubblico, e continuamente riproposto semmai nella forma abbreviata dell’invettiva (“Grillo fascista!”) e, più raramente, nelle analisi filosofico-psicologico-social-politologiche come quella recente di Galli della Loggia che dichiara che no, Grillo non è fascista. Naturalmente possiamo infischiarcene di questo problema e decidere di usare le etichette (di questo si tratta, i sociologi così le chiamano) come ci pare; a me Grillo sta proprio sulle balle e gli urlo dietro “Fascista!”, mentre a te sta simpatico e – non essendo tu un fascista – neghi recisamente che meriti tale stigma.

Se volete pensare bene, e quindi parlare bene – parafrasando Moretti – non potete restare in balìa dei cliché che voi stessi avete coltivato. Poiché il problema è molto semplice da chiarire, seguite questo breve ragionamento:

  1. Le parole sono pietre ma non sono mai completamente, certamente, assolutamente chiare e univoche; ciascuno di noi le interpreta diversamente e questo ci consente gli equivoci, le infinite discussioni, le ambiguità semantiche; di questo ho già parlato QUI (ambiguità del linguaggio) e QUI (possibile uso strumentale del linguaggio);
  2. una tendenza generale di cui non sto a spiegare i motivi ci porta, tutti, a prendere la scorciatoia dei cliché linguistici, lasciando transitare significati stereotipati ma non chiari, anziché prenderci la briga, ogni volta, di specificare sensi e significati (cosa che ci impedirebbe di fare alcunché); anche di questo ho già parlato QUI;
  3. il combinato disposto dei due punti precedenti fa sì che nei nostri stereotipi, cliché, epiteti, perorazioni retoriche etc. ci sia sempre qualcosa di vero (per cui ci sentiamo giustificati a dire le cose sciocche che diciamo) e qualcosa di falso (per cui i nostri interlocutori si sentono giustificati a dire che non capiamo nulla).

Naturalmente non abbiamo alcun interesse a risolvere questa allegra confusione parlando di calcio al bar Sport, né quando sosteniamo la superiorità dell’uso del guanciale nella carbonara, mentre è un dovere quando si filosofeggia con intenzioni serie, quando si perorano cause politiche, quando ci si pone – come qui su Hic Rhodus – come propositori di argomenti buoni per suscitare pensieri, per stimolare riflessioni, per far crescere consapevolezza (vale anche per Galli della Loggia, ovviamente…). Restando ai cliché inclusi nel titolo di questo post, il ragionamento da fare è a mio avviso facile-facile; ve lo propongo per ciascuno dei tre politici.

Grillo è un fascista sì o no? Risposta: no, sì, ni. Dipende – ovviamente – dai significati che si danno all’etichetta |fascista|. Ovviamente no, Grillo non è un membro del Partito Nazionale Fascista fondato da Benito Mussolini, né di un successivo partito ispirato a Mussolini. Ovvio. La risposta diventa “sì” se con |fascista| si intende, in maniera assai più ampia e non da tutti accettata, una semantica fascista, che ho abbondantemente trattato in un post precedente. Tale semantica ha a che fare con la personalità autoritaria, con leaderismo autocratico, con la repressione del dissenso e con svariate altre cose che potete leggere in quel post e che, sia chiaro, non ha necessariamente a che fare solo con partiti e movimenti seguaci di Mussolini, e che si trova anche in tantissimi partiti e movimenti di sinistra, si trova in tanti comportamenti diffusi, il maschilismo, l’omofobia violenta e altro ancora. La risposta è infine “ni” se guardiamo ai comportamenti, indipendentemente da quanto detto fin qui: indubbiamente la repressione del dissenso interno, il linguaggio violento, l’attrattività del M5S per elementi di destra e le strizzate d’occhio di Grillo a Casa Pound prima e a Farage ora collocano il M5S in un’area oggettivamente di destra reazionaria (come inevitabile per movimenti populisti) ma, di contro, molti obiettivi politici, la parziale partecipazione dal basso, l’attrattività anche per elettori di sinistra rendono in realtà più ambigua la collocazione di Grillo e dei suoi seguaci, più indefinita, tutto sommato non del tutto pertinente a questa definizione.

Renzi è un democristiano sì o no? Risposta: ni, no, no. La risposta inizia col “ni” della realtà storica, perché è stato un giovane democristiano ma adesso è un leader socialdemocratico. Con la sparizione della DC tutti gli aderenti a quel partito si sono sparpagliati in vari altri, e il PD nasce con l’apporto fondamentale della Margherita, che derivava direttamente dalla DC. Ma apparirà abbastanza sciocca questa ricerca del DNA di Renzi, come di qualunque altro leader del PD che per forza arriva o dal PCI, o dal PSI, o dalla DC, e così via. La risposta prosegue con un “no” relativamente alla semantica renziana. Si possono leggere elementi di politica “sociale” che possono essere attribuiti anche a una radice democristiana, e poi è noto come Renzi sia cattolico praticamente, ma il suo è un programma a cavallo fra liberalsocialismo e socialdemocrazia come ho osservato QUI e della socialdemocrazia moderna, europeista, aperta, direi “veltroniana”, è un chiaro interprete. Infine “no”, Renzi non è un democristiano nella pratica; oltre a portare (lui, non i suoi predecessori nella segreteria di quel partito) il PD nell’alveo dei socialisti europei, la sua azione decisionista, leaderista e un po’ spregiudicata assomiglia assai più a quella di Craxi che non a quella di Forlani.

Berlusconi è un liberale sì o no? Risposta: no, no, no. Con tre “no” su tre è chiaro che mi sbrigo velocemente: adesione oggettiva, semantica politica e pragmatica di Berlusconi sono esattamente il contrario del liberalismo, e a questo ho dedicato un post specifico già citato sopra che vi ricordo ancora QUI.

Quindi la conclusione è presto raggiunta: interessandoci solo marginalmente il senso “storico” delle etichette (il fascismo come ideologia di Mussolini, la democristianità come partito del secolo scorso, etc.) il loro uso può essere legittimo solo come analisi semantica (il senso di ciò che si dice e si fa, la coincidenza profonda delle categorie concettuali utilizzate) e come pragmatica (le scelte operative, i programmi politici, gli alleati che si scelgono). Per questo dico che Grillo ha diverse componenti fascistoidi, Renzi ha poco di democristiano e Berlusconi niente di liberale. Però attenzione: la semantica è scivolosa…