Il tragico errore del Fertility Day

Straordinario insuccesso comunicativo del Fertility Day voluto dalla Ministra Lorenzin. Si celebrerà fra tre settimane ma è già #TT su Twitter, rimbalza sui profili Facebook e da lì sui blog e le pagine dei giornali on line. Tutti sostanzialmente per biasimare e criticare l’iniziativa. Saviano ha dato fuoco alle polveri Schermata 2016-09-01 alle 11.33.54ma potete cercare con Google e troverete moltissimi commenti. Non il sito del Ministero (http://www.fertilityday2016.it) che invece – al momento – non è ancora attivo.

Ci sono molteplici motivi ben sottolineati dai commentatori che ci hanno preceduto (accidenti al calendario delle uscite di Hic Rhodus!): un’idea ottocentesca di maternità come destino femminile, una notevole insensibilità verso la difficoltà ad accettare la prospettiva di una nuova vita genitoriale nella perenne crisi economica e sociale in cui si vive, la tragica mancanza di servizi sociali ed educativi a supporto di maternità e infanzia… Insomma, se oggi stiamo tragicamente diventando un paese di vecchi e le donne fanno sempre meno figli, forse più che ginecologi e terapisti di coppia serve un paio di sociologi per spiegare alla ministra come stanno le cose.

In mancanza del sito dedicato possiamo dare un’occhiata all’anticipazione che compare sul sito ministeriale dove troviamo il programma preliminare: 4 belle tavole rotonde a Roma, Padova, Bologna e Catania. Fine del programma preliminare. Nelle tavole rotonde oltre a saluti della Ministra ci sarà la lectio magistralis della professoressa Eleonora Porcu che parlerà del Piano Nazionale per la Fertilità del Ministero; come tempi e come argomento più che una lezione magistrale ci sembra poco più che la presentazione tecnica della giornata, e vabbé. Poi due ore due di tavola rotonda su argomenti pertinenti, diversi in ogni città. Segue un ora di videoconferenza per mettere in collegamento le quattro città e presentarsi reciprocamente gli esiti, che presumiamo non essere delle pietre miliari, poi un bel saluto conclusivo della Ministra (che nelle quattro ore totali previste farà in tutto tre interventi) e infine il sospirato light lunch. Qualunque dei miei lettori abbia una minima esperienza di convegni e iniziative simili sa benissimo che in due ore di tavola rotonda si diranno poche cose scontate, e nell’ora di videoconferenza praticamente nulla. Indubbiamente questi eventi hanno uno scopo comunicativo dove la forma prevale sulla sostanza. Nessuno si aspetta, in quest’occasione, la rivelazione scientifica del secolo. Gli espertoni chiamati si adatteranno, per un profumato gettone di presenza, a dire cose banali che vadano nel senso auspicato dalla Ministra, già reciprocamente conosciute per garantire il funzionamento della discussione e la rapida definizione di un sunto da presentare successivamente. Tutto molto rituale, molto polveroso, molto inutile. Anche costoso, suppongo, ma sia chiaro che non è questo il problema.

Il problema – a mio parere – è la povertà culturale dell’iniziativa. Comprendo che una ministra cattolica sia interessata al tema della famiglia e della natalità in questi termini, ma la ministra della salute (neppure peggio di alcune precedenti) dovrebbe essere più avvertita e acuta. La natalità non è più da parecchio tempo un fenomeno meramente biologico legato alla fertilità (argomento ovviamente centrale dell’iniziativa) ma un fenomeno sociale legato al contesto economico, sociale e culturale. È così peraltro che si spiega la grande differenza di natalità in luoghi diversi del pianeta. Personalmente posso eccepire poco su una politica volta al sostegno delle famiglie e dell’incremento della natalità se fosse basata sull’equiparazione effettiva dei lavori e dei redditi fra i generi, sul rigido controllo (con sanzioni) verso gli imprenditori che di fatto disincentivano le donne alla maternità, sul grande incremento dei servizi a partire dagli asili nido a prezzi fortemente contenuti e via discorrendo. Una politica di questo genere aumenterebbe la volontà individuale delle donne e delle famiglie a fare figli, senza obblighi e senza sensi di colpa nella decisione opposta, di non farne. Perché, fra le altre cose, siamo più di sette miliardi e qualcuna può legittimamente astenersi senza sentirsi obbligata dalla ministra che l’addita, implicitamente, in quanto fallita come femmina.

Sia chiaro: questo fertility day passerà come una brezza autunnale di cui nessuno si ricorderà, e non farà neppure particolari danni se non quello di irritare tantissimi cittadini gettando ulteriore discredito su istituzioni che invece dovrebbero rappresentare un baluardo, un presidio contro emergenze assai più gravi. L’iniziativa di Lorenzin, pur senza guastare nulla, si propone come indicatore di improvvisazione futile, di povertà programmatoria e di autocelebrazione narcisistica; e il fatto che il Web si sia scatenato con ogni sorta di critiche e sarcasmo ha già decretato il fallimento comunicativo della campagna ben prima che si celebri l’evento. Un caso da manuale di ciò che non si deve fare.

Post scriptum: sento su Radio24 la Lorenzin che si difende dalle domande di Barisoni, che non glie ne risparmia nessuna. Sostanzialmente la ministra dice: 1) il tema è la fertilità, ovvero un tema sanitario diventato problematico; 2) la comunicazione è sbagliata e fuorviante, mi spiace, la cambieremo. Si possono ben accogliere le giustificazioni oppure no; io propendo per il ‘no’ per alcune semplici ragioni: se la fertilità (maschile) è oggettivamente il calo, non solo in Europa, a causa di stili di vita errati (fonte), diventa discutibile una campagna di sensibilizzazione di massa come quella illustrata sopra, basata su quattro tavole rotonde e qualche manifesto – anche se correttamente impostato; occorre coinvolgere i medici di base, se già non lo si è fatto, e segnalare in altri modi il problema alla popolazione; occorre anche segnalare che ci sono alternative come l’adozione, la fecondazione assistita e altro, che naturalmente non sono risposte all’infertilità ma sono indiscutibilmente risposte contemplabili da una famiglia che desidera figli. La comunicazione adottata non è possibile che non abbia passato un qualche vaglio della ministra, semplicemente non è credibile; un tema cruciale come la comunicazione istituzionale (il Fertility Day, come detto, è sostanzialmente solo comunicazione, è la sua essenza) non può essere stata interamente delegata e c’è chi getta sospetti sulla società responsabile (fonte). Infine, lo smarcamento di Renzi è significativo. Denuncia l’iniziativa personale della ministra, sganciata da un’idea di integrazione di politiche per la famiglia come sopra accennate.