Da destra contro sinistra a populismo contro razionalismo – 2) populismo e razionalismo

Questo è il secondo post di un trittico; il primo lo trovate QUI, e cerca di spiegare perché la coppia concettuale ‘destra’ e ‘sinistra’ politica non solo non sia più valida, ma si configuri come pericolosamente fuorviante. Certo resta importante, ma solo se collocata in una prospettiva che sappia includere una seconda coppia, ‘populismo’ e ‘razionalismo’, di cui parliamo in questo post. Nel prossimo cercheremo di chiudere il cerchio, e di vedere come destra-sinistra, e populismo-razionalismo, ci possano condurre a una mappa bidimensionale con maggiore capacità euristica.

Avvertenza numero 1: se siete fra coloro che sostengono che “il populismo è una cosa buona, della quale andare fieri”, per favore non andate oltre. Questo post non è per voi.

Avvertenza numero 2: questo testo, come il precedente, è decisamente una palla. Qui si argomenta, allo scopo di portare elementi di riflessione. Se gli argomenti vi stancano, e preferite veloci asserti, vi consigliamo di andare su questo sito.

Parte 2 – Il populismo: pericolo mortale per la democrazia

2.1 Il populismo, malattia senile della democrazia

In prima battuta è facile definire il populismo come la degenerazione della democrazia, la sua malattia senile, la sua sostanziale sconfitta. Se ripensate alla promessa della democrazia occidentale, alla luce di alcuni fattori che sto per riepilogare, il populismo non è altro che la sua metastasi. Prego i pazienti lettori di coniugare questi semplici e noti elementi:

  • la democrazia occidentale, attingendo da premesse settecentesche (le due grandi rivoluzioni), e specialmente dopo la tragedia di due guerre mondiali, ha mostrato al popolo, a tutto il popolo, il futuro radioso di latte e miele che meritava, e che certamente avrebbe raggiunto; promesse di questo genere sono necessariamente a sviluppo incrementale. Intendo dire che non puoi sostenere “sì, bravi, ma intendevamo solo questo e non quest’altro”. Scuola, sanità, lavoro, casa, sicurezza, la pensione, la settimana corta, il divorzio breve, il centro commerciale e 100 canali satellitari a prezzi stracciati. Cosa, ancora? L’individuo sopra ogni cosa, la sua felicità come meta, scopo  e finalità;
  • la globalizzazione (tutti i link proposti fanno riferimento a testi su Hic Rhodus), i suoi vantaggi, le sue paure; la complessità sociale; la rottura del cerchio dell’ingenuità a favore di un caos incomprensibile in cui ciascuno di noi è costantemente annullato.

Una contraddizione insanabile che si accompagna a questi ulteriori elementi:

Questo secondo gruppo di punti crea un’altra contraddizione gravissima fra il fatto dell’enorme e ingovernabile complessità, e l’illusione di un percorso ipersemplificato rappresentato da Wikipedia, dal cugino smanettone che dà i suggerimenti su Facebook, dal fatto che – occorre aggiungere…

  • il sistema scolastico è allo sbando e, oltre a non poter inseguire, in una residua illusione positivistica, “il sapere”, non riesce neppure a tenere il passo formando quanto meno menti critiche;
  • né vengono più adeguatamente considerati i pareri tecnici di chi per ruolo, competenze e riconoscimento potrebbe essere un adeguato opinion leader, che da tempo si è consumata la frattura fra il popolo ignorante e i depositari di un qualunque sapere.

Se vedete questi elementi (e altri, qui solo i più eclatanti) nel loro combinato disposto, capite immediatamente la natura del populismo nelle società occidentali. Un insieme di egotismo e paura. Uno spot perenne sul mio Io, che trema sotto il peso di un mondo incomprensibile e minaccioso. Quale la risposta, se non nella negazione del mondo? Il populista nega il mondo: la sua complessità, la sua ingovernabilità, la necessità di un pensiero sempre più complesso assicurabile solo con un immane sforzo collettivo, con istruzione, cultura, lungimiranza e umiltà.

Ma il populista è un narcisista maniacale: il suo vocabolario inizia e finisce con “Io”, e Io non può pensare di essere ignorante, povero di risorse, affaticato da doveri, necessitato di prospettive di lungo raggio… “Io” vuole tutto e subito, e seppellendo sotto un apotropaico Vaffanculo il male del mondo, imbraccia la liberazione del pensiero ipersemplificato e sfida i dardi avversi del destino, solitamente rappresentato come i poteri forti, Soros, le banche, il Palazzo, i politicanti corrotti… perché – come nell’animismo infantile – il Male deve essere personificato, e poiché il Male è tutto ciò che circonda i sempliciotti, occorrono molteplici esemplificazioni, e il mondo contemporaneo, effettivamente, offre in questo diverse opportunità.

2.2 Come la democrazia ha divorato se stessa: esempi emblematici

Capire come siamo arrivati a questo punto non è difficile e vi propongo piccoli esempi; il primo e più rilevante anche sotto il profilo simbolico è la scuola di massa, che in Italia fu introdotta come riforma nel 1962, sulla spinta dell’ideologia egualitarista della sinistra e della dottrina sociale cattolica. L’idea fondativa era consentire ai figli delle classi subalterne di accedere al potente ascensore sociale dell’istruzione. I figli dei contadini e degli operai non dovevano a loro volta fare i contadini e gli operai a causa delle penalizzanti condizioni familiari, ma accedere con pienezza di diritti all’istruzione e – se meritevoli – essere messi in condizione di progredire ed emanciparsi socialmente. L’idea era grandiosa, ma la sua realizzazione fu demagogica: aprire le porte delle scuole significava, indubbiamente, abolire formalmente un odioso impedimento sociale, senza toccare in nulla le sue cause originali: la povertà e l’incultura delle famiglie di appartenenza di questi bambini che certamente potevano studiare nelle scuole medie assieme ai figli del dottore, ma che a casa sentivano parlare in dialetto, non trovavano un solo libro, e si confrontavano con una generale ristrettezza di vedute (salvo encomiabili eccezioni). 

La scuola pubblica, per non tradire il mandato dell’inclusione sociale, dovette quindi abbassare i propri standard, adattandosi ai ritmi e ai livelli dei meno bravi, dei meno meritevoli. Ogni successivo intervento nella scuola pubblica, e poi nell’Università, hanno prodotto una successiva e sempre peggiore qualità educativa, formativa e tecnica. La scuola è diventata di massa, ma si è svalorizzata, e vediamo oggi gli estremi della percezione sociale della professione di insegnante e di genitori pronti a prenderli a pugni se criticano il loro pargolo (si vedano i riferimenti all’edonismo nel paragrafo precedente). L’abolizione del merito, della fatica, della responsabilità individuale, hanno vaporizzato il sistema scolastico italiano. Sono certo che i figli del dottore avrebbero meglio saputo affrontare una scuola meritocratica e faticosa e responsabilizzante rispetto ai compagni figli di contadini, e questo non per merito individuale ma per censo; ma sanare un’ingiustizia negando le evidenze della differenziazione sociale, ed evitando di intervenire su questa (causa) per modificarne semplicemente gli apparenti effetti (l’egualitarismo della scuola di massa) è stata un’idiozia nefasta.

Per spiegare l’avvento del populismo possiamo fare diversi altri esempi; quello del concetto di ‘uguaglianza’, pilastro del pensiero democratico, è eclatante, e ci consente di vedere come sia facilmente trasmutabile in un egualitarismo populista, quello dell’Uno vale Uno, delle opinioni che valgono come competenze (oltre ai link già proposti vorrei rinviare anche a QUESTO vecchio post).

Una delle conseguenze di questi processi egualitaristici è la perdita delle élite. Se anche la frattura, e le reciproche diffidenze fra popolo ed élite, sono una costante storica, oggi si è consumato l’ultima e decisiva rimozione: semplicemente gli intellettuali non esistono, se esistono sono inutili presuntuosi nel caso migliore o servi del Potere in quello peggiore e più probabile (si veda QUI). E dire che già 50 anni fa Pasolini vedeva e paventava questa deriva…

2.3 La deriva populista

Le conseguenze dei diversi fattori accennati sopra conducono al populismo, che non è una ideologia in senso stretto ma un modo di rappresentare la realtà (e quindi anche la politica). Il populismo è un modo di essere, un modo di vedere il mondo e rapportarsi ad esso, che si distingue almeno per i seguenti tratti:

  • è egotista, narcisista, auto-centrato, edonista: vive il presente e ha una vaghissima e distratta prospettiva verso il futuro;
  • è ipersemplificatore: non concependo la complessità (se non come imbroglio perpetrato da una centrale del Male) immagina che esistano sempre soluzioni semplici a problemi complessi;
  • è ignorante e superficiale e, quel che è peggio, fiero della propria ignoranza e superficialità, elevate a purezza, genuinità, diritto di essere come a ciascuno pare;
  • ma soprattutto si fonda sulla fondamentale distinzione fra Bene e Male. Il populismo è una forma nevrotica di assunzione del Bene su di sé (e, in estensione, su tutti i “sé” che compongono il popolo buono) contro il Male (tutto ciò che non fa funzionare le cose come i populisti assumono che debbano funzionare); l’etica come guida politica, insomma, dalla quale discendono poi il giustizialismo e molti altri tratti ben noti della personalità populista.

Tratti minori, solitamente associati:

  • è complottista: poiché il mondo non funziona come lui (il populista) crede debba funzionare, allora ci deve essere un potere oscuro che manovra contro la semplicità, il benessere e la felicità degli individui;
  • è post ideologico; neppure sanno cosa sia il marxismo, il comunismo, il liberalismo, la socialdemocrazia… tutta fuffa, macchinosità intellettualoidi da professoroni… Quando i grillini hanno predicato per anni di non essere “né di destra né di sinistra” non intendevano affatto collocarsi al centro, né dichiararsi post politici… semplicemente non avevano tempo, voglia e capacità per studiare;
  • è qualunquista. Assunto il punto di vista del Bene, e chiarito che c’è sempre una soluzione semplice ai problemi complessi, tutto il resto viene escluso: il confronto di idee si riduce allo streaming dell’umiliazione di Bersani; i punti di vista differenti non devono esistere perché il Bene è unico e universale; la situazione internazionale è ignota proprio perché noi siamo qui e ora, e del mondo non ce ne frega una mazza (le figuracce internazionali di Di Maio sono ormai da cineteca); i giornalisti che criticano sono giornalai; eccetera.

2.4 Il populismo è il nemico mortale del nostro futuro cui opporre una resistenza razionalista

Riassumendo: da un lato il mondo ha una complessità esplosiva, risultando difficile da governare anche a chi ha i mezzi e le possibilità per farlo; dall’altro i populisti iper semplificano, in un contesto di voluta e fiera disinformazione, qualunquismo, approssimazione. Da un lato il mondo è interconnesso, e ovunque si agisca si provocano conseguenze (per lo più inattese) in decine di altri contesti; dall’altro i populisti – scotomizzando la complessità – vedono interventi puntuali e specifici ignari delle conseguenze che scatenano (ogni riforma e legge dei 5 Stelle, in questi due anni, hanno provocato conseguenze negative da loro ignorate). Da un lato si moltiplicano le pluralità (ognuno di noi è diventato portatore di complessità), dall’altro i populisti dividono il mondo in buoni e cattivi, senza capacità di cogliere sfumature.

Il populismo, in buona sostanza, è una visione del mondo statica, moralista, antiprogressista, opaca, chiusa, timorosa, edonista, ovvero esattamente in contrario di ciò che occorre per affrontare, con qualche timida possibilità di successo, il mondo sistemico, aperto, sfidante, globale, interconnesso.

Il populismo, oltre che la malattia senile della democrazia novecentesca, è la risposta impaurita all’irruzione del Terzo Millennio in un mondo – il nostro – ampiamente impreparato per una risposta adeguata.

Il populismo, oltre che uccidere la democrazia novecentesca (già vecchia e malata, sarebbe comunque solo una questione di tempo), impedisce la nascita di una risposta di governo ai processi caotici della contemporaneità, processi dei quali, peraltro, stiamo vedendo solo alcuni elementi prodromici.

La risposta io la chiamo ‘razionalismo’. Razionalismo civico, razionalismo sociale, razionalismo politico… Un termine non felicissimo, lo ammetto, ma al momento non me n’è venuto in mente alcun altro. Il razionalismo, per come io lo vedo, è:

  • piena consapevolezza della complessità globale, dei suoi rischi come delle sue opportunità;
  • totale ripudio di qualunque ideologia (l’Ideologia – nell’accezione da me sempre utilizzata qui su HR – è pensiero malato, ristretto, pensato da altri e imposto alle labili coscienze popolari; ne ho trattato adeguatamente QUI);
  • inclusione: il razionalista è il contrario del particolarista, sia nel modo che ha di intendere e condividere il sapere sia, a titolo di esempio, nelle relazioni internazionali (un razionalista non può assolutamente essere un brexiter);
  • programmazione, pianificazione di lungo termine e soprattutto valutazione delle politiche.

Il razionalista non propone un intervento perché “di sinistra” (intendendo buono in sé, a prescindere; vale anche come “perché di destra”), ma perché utile ed efficace e fattibile riguardo agli obiettivi prefissi, perché verificabile e – qualora errato (il razionalista nulla può contro l’eccesso di complessità) – semplicemente valuta e corregge.

Ci sono un razionalismo “di destra” e un razionalismo “di sinistra”? Poiché – vedo – non riuscite proprio a scampare a queste categorie, ebbene sì, esiste e ne parlerò nella prossima ultima puntata ma, vi dico subito: la differenza portante, essenziale, non è fra razionalismo di destra e di sinistra (come non lo è fra populismo di destra e di sinistra); il fossato, il baratro, è scavato fra populismo (qualunque versione) e razionalismo (qualunque sfumatura).