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Banca d’Italia: tiriamo le somme?

Dopo il nostro precedente post in cui criticavamo il decreto sulla rivalutazione del capitale della Banca d’Italia, è successo un po’ di tutto. Alla Camera, dove il decreto è stato convertito definitivamente in legge, si è scatenata una furibonda battaglia dalla quale nessuno è uscito in modo particolarmente onorevole. Nel frattempo, la tesi sui “miliardi regalati alle banche” (che, semplificando, avevamo proposto anche noi come chiave di lettura critica del provvedimento) si è fatta sentire sui giornali e sul web, suscitando opposte prese di posizione, fino a indurre il Ministero dell’Economia a pubblicare una nota per confutare quelli che il Ministero chiama “argomenti privi di relazione con la realtà dei fatti”, e la stessa Banca d’Italia a emettere un “chiarimento” più sobrio di quello ministeriale, ma certamente meno algido dello stile abitualmente usato dal sussiegoso istituto di via Nazionale; comunque, delle fonti che difendono il decreto, questa mi appare la più esatta, e farò spesso riferimento ad essa, sebbene io sia nella sostanza di opinione nettamente opposta.

Di chi è la Banca d’Italia?

Questo post è dedicato a un argomento apparentemente tecnico, eppure molto importante per tutti: l’aumento del capitale della Banca d’Italia (d’ora in poi, anche BI) deciso per decreto legge a novembre 2013 (e già qui viene spontaneo chiedersi perché mai aumentare il capitale della BI rivestisse un carattere di “straordinaria necessità e urgenza”, come recita la classica clausola del decreto. Scopriremo più avanti forse la vera urgenza…). Purtroppo, la faccenda è un po’ complessa, e per discuterla correttamente dovremo mettere a confronto il nuovo Statuto della BI, inopportunamente emesso a tempo di record per recepire appunto le novità del decreto (e che peraltro dovrà essere modificato per tener conto delle variazioni al decreto che sta approvando il Parlamento), con quelli precedenti. Le differenze sono infatti rilevantissime, in negativo, per le nostre tasche.