Possiamo giudicare il comportamento e le dichiarazioni altrui? Chi ce ne dà titolo? Una riflessione sul ruolo degli intellettuali.

Possiamo giudicare il comportamento e le dichiarazioni altrui? Chi ce ne dà titolo? Una riflessione sul ruolo degli intellettuali.
Il senso delle parole (che non è quello che crediamo) nella convergenza fortuita di due testi, uno letterario e l’altro tecnico.
Temiamo Trump. Eppure, se vincerà, l’avrà fatto “democraticamente”, nella più grande democrazia del mondo. C’è qualcosa che non va…
Mica facile pensare! Ragionare, discutere, argomentare, dichiarare, criticare… Ecco una guida al pensiero e al linguaggio che lo sorregge.
Come mai io (e pochi altri) temo questo governo e la grande maggioranza no? Cosa vedo – o credo di vedere – io, che voi non vedete?
In punto di diritto ha ragione Carola, l’ormai mitica comandante della SeaWatch che cerca di sbarcare i suoi migranti, e torto marcio l’Italia del Truce (un breve compendio giuridico sul caso lo trovate QUI). In punto di diritto. Ma dovrebbe essere chiaro a tutti che questo non è affatto il punto specifico della questione, che invece è totalmente, assolutamente, direi “semplicemente” politico, nel suo vile significato contemporaneo di propagandistico, elettoralistico, e poco più (così è oggi la politica). Carola fa infiammare i cuori dei buonisti di sinistra, mentre il Truce fa ribollire le pance dei cattivisti che lo acclamano (lo spiega benissimo Roberto Arditti QUI). Punto. Questo ha effetti negativi micidiali, poco considerati dai più: 1) la Sea Watch è parte del problema dei migranti ma non è il problema dei migranti, che così resta vago, lontano, irresoluto; 2) stiamo polarizzando il dibattito verso punti di non ritorno basati sulla fuffa, sull’ideologia, sull’appartenenza: che bello acclamare “la Capitana” se si è di sinistra; e poi? Che bello sbeffeggiare Carola se si è di destra; e poi? 3) tutto questo, comunque, ha riflessi generali, per esempio sul nostro (irrilevante) ruolo europeo, dove ci vedono battere i pugni per questioni meschine, e mancare ai tavoli dove l’eventuale soluzione al problema è all’ordine del giorno.
Recitare una parte nel teatro della vita, o più parti, nei molteplici teatri che attraversiamo?
Viviamo di contrapposizioni: renziani e antirenziani, carnivori e vegani, romanisti e laziali… Impossibile diversamente?
Assieme alla segmentazione sociale che investe popolo ed élite, inevitabilmente anche il linguaggio è diventato multiplo e, sostanzialmente, incomunicante.
Dolce e Gabbana, ovvero: della presunzione del genio italico e di come non capire l’ABC della comunicazione interculturale.
Le parole stanno perdendo significato, le parole diventano slogan, gli slogan ci stanno omologando.
Non si tratta di irridere i congiutivi di Di Maio o gli sproloqui di taverna. Dietro il pessimo linguaggio si cela un pensiero povero…
Le urla, gli insulti, poi le aggressioni… a quando i primi morti della guerra civile in Italia?
Abbiamo perso anche perché le parole chiave, i simboli e i concetti della sinistra si sono logorati, diventando paradossalmente patrimonio del lessico della destra
Il linguaggio di Conte si inserisce pienamente nel campo di paradigma populista della politica italiana.