Saviano a processo per diffamazione, avendo dato dei “bastardi” a Meloni e Salvini. Una riflessione sull’uso della parola da parte degli intellettuali, e di quello della sanzione da parte del potere.
Saviano a processo per diffamazione, avendo dato dei “bastardi” a Meloni e Salvini. Una riflessione sull’uso della parola da parte degli intellettuali, e di quello della sanzione da parte del potere.
Un uomo, divenuto politico non per vocazione ma per mero opportunismo, ha monopolizzato le vicende istituzionali di un Paese per oltre 20 anni e alle soglie degli 80 anagrafici è convinto di poterlo fare ancora ad vitam. Ha potuto farlo grazie a doti soggettive innate come la capacità comunicativa e l’abilità dialettica (sia pur qualitativamente scadente) di incallito imbonitore. Insomma uno che riesce indifferentemente a vendere 10 paia di scarpe a Pistorius o la promessa di 1 milione di nuovi posti di lavoro ad una decina di milioni di boccaloni, in buona parte altrettanto opportunisticamente dedicati solo al proprio interesse. Ma l’imbonitore politico ha avuto successo grazie alla possibilità, solo a lui concessa, di utilizzare una enorme potenza finanziaria e mediatica. Per mantenere e incrementare tale potenza, inizialmente minacciata dalla perdita dell’appoggio di un protettore come Bettino Craxi, ha coinvolto nell’impresa politica direttamente o indirettamente tutto il suo entourage, sia di alto che di infimo rango concedendo seggi elettorali italiani ed europei a cani e porci (al maschile e al femminile) che ancora abbaiano e grufolano specie in TV. Tra gli amministratori locali disonesti (i peggiori nemici di questo povero Paese) sono una moltitudine quelli espressi proprio dal suo partito e con la sua pubblica benedizione.
Durante la riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009, una settimana prima del terremoto del 6 aprile 2009, tra l’altro dichiarai che:
I periodi di ritorno dei forti terremoti sono dell’ordine di due o tremila anni.
Su questa affermazione il PM ironizzò con asprezza durante la sua requisitoria nel processo di primo grado.
Tuttavia è un’affermazione scientificamente e indiscutibilmente corretta. Si riferisce a terremoti di magnitudo 7, come quello disastroso del 1703.

Ci lamentiamo, e con qualche ragione, della giustizia sportiva, ma almeno quella consente il pareggio e, se necessario, si va ai rigori, ma se una partita finisce 1 a 1 nessuno si sogna di darla vinta a chi ha segnato il goal nel secondo tempo!
Nella Giustizia con la G maiuscola invece funziona così. Naturalmente avviene spesso che il tempo intercorrente consenta davvero una valutazione più approfondita, ma quando si tratta di “interpretare” fatti che appaiono esattamente gli stessi il repentino passaggio dal bianco al nero (o viceversa come nella fattispecie) lascia ragionevolmente dubbiosi.