Tag: cliché linguistici

Come smascherare i mistificatori su Internet

“E’ confuso quello che dici.”

“Perché è vero”

(Daniel Pennac, Ecco la storia)

Sulla questione della verità e dintorni sono intervenuto più volte qui su Hic Rhodus, ma la lettera di un utente mi sollecita a mettere un po’ d’ordine su questioni davvero complicate.

Prima di tutto devo riportarvi la lettera, che fa riferimento a un mio post sul complottismo.

Posto che la realtà è complessa e consente la coesistenza di diverse “province di significato”, sta di fatto che talora il confine tra complottismo e “informazione libera da condizionamenti” mi appare di difficile discernimento. A tal proposito le allego le affermazioni di un amico per le quali non riesco a capire dove finisce uno degli aspetti sopra citati e comincia l’altro. Parliamo di un marxista antiamericano. Le chiederei un commento sull’insieme e, se le va, anche su singoli punti. La ringrazio in ogni caso e cortesi saluti.

Ma Grillo è fascista o no? E Renzi è democristiano o cosa? Berlusconi è davvero un liberale? Il problema delle etichette e la loro inadeguatezza nella semplificazione politica

L’esigenza di questo post nasce dal fatto che sono colpito da un dibattito davvero sotterraneo e non molto rilevante in sé, ma che continua a presentarsi come importante nel dibattito pubblico, e continuamente riproposto semmai nella forma abbreviata dell’invettiva (“Grillo fascista!”) e, più raramente, nelle analisi filosofico-psicologico-social-politologiche come quella recente di Galli della Loggia che dichiara che no, Grillo non è fascista. Naturalmente possiamo infischiarcene di questo problema e decidere di usare le etichette (di questo si tratta, i sociologi così le chiamano) come ci pare; a me Grillo sta proprio sulle balle e gli urlo dietro “Fascista!”, mentre a te sta simpatico e – non essendo tu un fascista – neghi recisamente che meriti tale stigma.

Gli americani non sanno cosa sia il bidè, e altri 100 cliché che ci impediscono di pensare

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nulla si compie se non s’apre bocca.

Euripide, Supplici

Il linguaggio descrive, trasmette informazioni, ma soprattutto costruisce il mondo. È quella che i linguisti chiamano funzione “perlocutoria” del linguaggio che ha livelli differenti di pregnanza in Autori diversi ma, semplificando assai, significa quanto meno che la parola (detta, scritta) ha conseguenze pratiche sulla realtà. Non una semplice “descrizione” del mondo, qualcosa a margine del mondo, un suo simulacro verbale; piuttosto un’azione sul mondo; parlare, dire, scrivere, agisce sul mondo e lo cambia. Ci sono infiniti possibili esempi per mostrare questa azione trasformatrice del linguaggio: