Gli americani non sanno cosa sia il bidè, e altri 100 cliché che ci impediscono di pensare

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nulla si compie se non s’apre bocca.

Euripide, Supplici

Il linguaggio descrive, trasmette informazioni, ma soprattutto costruisce il mondo. È quella che i linguisti chiamano funzione “perlocutoria” del linguaggio che ha livelli differenti di pregnanza in Autori diversi ma, semplificando assai, significa quanto meno che la parola (detta, scritta) ha conseguenze pratiche sulla realtà. Non una semplice “descrizione” del mondo, qualcosa a margine del mondo, un suo simulacro verbale; piuttosto un’azione sul mondo; parlare, dire, scrivere, agisce sul mondo e lo cambia. Ci sono infiniti possibili esempi per mostrare questa azione trasformatrice del linguaggio:

  • Vuoi prendere tu in sposa… Sì… Vi dichiaro marito e moglie (e questo, pronunciato davanti a testimoni, ha conseguenze rilevanti per gli sposi);
  • Giura di dire tutta la verità… Sì lo giuro (e il giuramento, non semplice formula rituale, diviene impegno solenne con conseguenze gravi se infranto);
  • Ho sempre pensato che tu fossi un fallito! (poi provate a chiedere scusa e a dire “Ma non lo pensavo davvero…”).

Secondo alcune teorie (non esenti da critiche) come la celebre Sapir-Whorf, il linguaggio non è una conseguenza passiva della cultura e del pensiero di una comunità ma, al contrario, una sua determinante: pensiamo in un certo modo (abbiamo certi valori, organizziamo la società in un certo modo…) perché abbiamo un linguaggio di un certo genere che ci consente di formulare un certo concetto in quel determinato modo; ciò comporta che popoli diversi (linguisticamente diversi) interpretino il mondo e si comportino diversamente; anche qui ci sono moltissimi esempi e proposte di prove empiriche, generalmente a carattere etnologico. Ma questo non è un post accademico e dobbiamo passare a qualcosa di più pratico.

Guardando all’Italia e alla nostra storia recente è noto come l’epoca fascista impose un linguaggio particolare, enfatico e roboante, segnato dal vitalismo futurista e dalla retorica dannunziana: duce; ardito; balilla; fascio; gerarca; fecondità… sono parole ancora quasi proibite perché indissolubilmente legate a quell’ideologia. Le idee socialiste e comuniste hanno prodotto un altro linguaggio, altrettanto connotato da eroismo e sacrificio: compagno, proletariato, popolo, giustizia, lavoro, egemonia. Lessico solo in parte tracimato indenne nella contemporaneità. Non la voglio fare troppo lunga, perché il senso di questo post è ormai chiaro.

È interessante come questi cliché linguistici impregnino – senza che ce ne accorgiamo – la nostra quotidianità, portandoci di fatto a costruire un immaginario collettivo, un senso del mondo e della realtà, una scala di valori assolutamente non neutrali ma piegati a un orizzonte specifico che non ci appartiene. Noi apparteniamo al linguaggio (e ai valori che incarna) che ci possiede. Noi usiamo parole (e quindi concetti) coniate da altri, pensieri pensati da altri. Il linguaggio stereotipato inquina le nostre menti e ci fa pensare un mondo non pensato da noi. E conseguentemente ci fa agire il mondo in quel modo, che il linguaggio ci indica, ma che forse non sarebbe il nostro se agissimo col nostro lessico, anziché con quello che prendiamo in prestito. Un’analisi del linguaggio politico e giornalistico mostra in modo chiaro quest’uso di cliché ma oggi preferisco prendere un’altra strada, anche più divertente, mostrando le frasi fatte e i luoghi comuni linguistici del nostro linguaggio quotidiano.

Sommario incompleto dei cliché linguistici italiani.

L’Italia:

Il Belpaese.

L’Italia è il Paese più bello del mondo.

Abbiamo il 90% dei beni culturali del mondo.

La civiltà nel mondo l’hanno portata i Romani.

Italiani brava gente.

Ma noi siamo più creativi.

Ma noi abbiamo più buon gusto.

Ma noi abbiamo Sophia Loren.

Ma noi abbiamo conquistato il mondo.

Perché chist’è o Paese do Sole!

Ah, ma come si mangia bene in Italia…

Familismo amorale:

C’ho i diritti acquisiti.

Tengo famiglia.

I figli so’ piezz’e core.

Pens’a magnë!

Mi frega un cazzo a me!

Mi faccio gli affari miei.

Di mamma ce n’è una sola…

Lo zio monsignore.

Un posto alla Regione.

Sto in un ventre di vacca.

“Ciao mamma!”

Francia o Spagna purché se magna.

Gli altri:

Non sono razzista ma i negri aiutiamoli a casa loro.

Non sono omofobo ma l’è mej un fiöl leadar che busö

Non sono maschilista ma non sia mai che non la chieda a tutte.

Gli americani neanche sanno cosa sia il bidé!

I tedeschi non sanno cuocere la pasta.

La politica:

Abbiamo la Costituzione più bella del mondo.

Trovare la quadra.

Teatrino della politica.

Le mani nelle tasche degli italiani.

Politica politicante.

La strana maggioranza.

La Lega ce l’ha duro.

Il ribaltone.

Giustizialista!

Siamo garantisti.

Laicista!

Diciamolo con estrema chiarezza…

Il vero problema è ben altro…

Senza se e senza ma.

La kastaaa!:

É tutto un magna magna.

I politici sono tutti ladri.

Siamo indignati (anzi: SIAMO INDIGNATI!!!).

Il solito inciucio!

La Troika.

Lor Signori…

Le poltrone.

Sono tutti uguali quando hanno la cadrega sotto il culo!

Il potere:

Ho le mani legate.

Vorrei ma non posso.

Non mi compete.

Si deve rivolgere a un altro sportello.

Lei non sa chi sono io!

Non dipende da me.

Mi dispiace, è la legge…

Mi dispiace, è il regolamento…

Mi dispiace, è la delibera…

Mi dispiace, il Direttore non vuole…

Sa che lo farei se potessi.

Vedo cosa posso fare… 

Cliché giornalistici:

Faccendiere.

Orco.

I soliti noti.

I furbetti del quartierino.

Il Palazzo.

Le toghe rosse.

Il Cavaliere.

Il commosso abbraccio della folla.

La morsa del gelo.

La torrida Estate.

Anche quest’anno sono arrivati i saldi; alcuni consigli dai nostri esperti.

Vendonsi. Affittansi.

Ambosessi.

Gente normale, per bene… chi poteva immaginare?

Conversazioni, interazioni, relazioni:

Sì, cattolico, ma non praticante…

Ma no, si figuri, pago io, insisto!

Grazie, come se avessi accettato.

Un aiutino?

Non c’è problema!

Cosa vuole che le dica?

Un attimino.

Assolutamente sì.

Piuttosto che.

Ma anche no.

Si può fare.

Qui lo dico e qui lo nego.

Signora mia, guardi, non avrei mai pensato…

Eh… brutta la vecchiaia!

Io ho ragione ma tu non hai torto.

Il più sano c’ha la rogna.

Chiagne e fotte.

Venezia è bella ma non so se ci vivrei.

Non sono superstizioso ma…

Ha da passà ‘a nuttata…

Cerchiamo di venirci incontro

Ma in fondo ha fatto anche cose buone

Lo sprofondo:

Ué. Ciao raga. Che famo? Vabbé. Gnente…

Ciao. Sì, ciao. Ciaciacià. Ciao. Ciao.

6 la mia luce.

Il linguaggio omologato ha delle conseguenze rilevanti nelle forme di convivenza, in politica, nella costruzione di iniziative culturali, nei futuri che ci immaginiamo. Difficile sfuggire completamente a questi cliché, ma indubbiamente un piccolo sforzo per resistere lo potremmo fare. Su questo blog tornerò spesso su questo tema, che a me pare rilevante, e proporrò esempi concreti legati all’attualità.