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Dall’uguaglianza al populismo

fascismo  non  è  impedire  di dire, ma obbligare a dire

(Roland Barthes, Lezione, 1977)

Uno dei concetti più evocati dal pensiero politico moderno e contemporaneo è quello di uguaglianza. Anche se presente nel pensiero greco classico (nello stoicismo) e ovviamente nel Cristianesimo, volendo qui parlare di temi politici non è utile andare più in là del ‘6-‘700 e in particolare, per abbreviare questo incipit, delle due grandi rivoluzioni che caratterizzarono il XVIII Secolo, quella americana (1776) e quella francese (1789). Il concetto di uguaglianza è stato declinato in molti modi, e quell’uguaglianza additata dai ribelli americani e dai rivoluzionari francesi ha per esempio pochissimo a che fare con l’uguaglianza invocata da Marx e da Lenin (la voce “Uguaglianza” del Dizionario di filosofia Treccani citato in fondo è sufficientemente chiaro e ad esso rimando).

La macchina dello Stato e l’era digitale

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Ci si lamenta molto della burocrazia e delle assurdità del funzionamento dello Stato. E di come questo sia irremediabilmente lontano dall’efficienza cui, apparentemente, siamo tutti abituati usando le nostre apparecchiature elettroniche personali.

Perché, per esempio, con il navigatore Google posso avere qualsiasi informazione per andare da qui a lì (beh, quasi sempre). E se per caso “lì” non c’è, mi adatto senza mugugnare, è “gratis” (non è vero, ma questo lo sanno in pochi). Invece capita che si scriva con grande risalto che lo Stato non riesca a sapere, per esempio, quanti e quali siano gli immobili di proprietà dei ministeri (attenzione, notizia presentata male e probabilmente non vera, esiste il catasto, ed è centralizzato) e ci si indigna.

Come è possibile? Come mai non c’è “un’app” per accedere, tutti noi, al registro dei beni dello Stato, o al casellario giudiziario, per sapere se la persona con la quale stiamo parlando (magari identificato tramite i google glass, che ne dite?) è un pericoloso pregiudicato?