Forse c’è qualcosa che non va nel fatto che l’esercizio della democrazia non prevede la necessità di competenze…

Forse c’è qualcosa che non va nel fatto che l’esercizio della democrazia non prevede la necessità di competenze…
Perché l’Italia è così indietro in campo digitale.
Tutti i pericoli del voto elettronico, tanto celebrato dai populisti…
Per quanto possa essere sgradevole dirlo, sì: l’intelligenza (o la sua mancanza) influisce sul voto, sulla politica, sulla qualità della democrazia.
La nostra Costituzione prevede il diritto di voto universale, consentendo a tutti di eleggere e candidarsi. Questa fondamentale regola democratica è ancora compatibile con la complessità delle scelte politiche?
L’ignoranza non è un diritto! Le opinioni non sono competenze e ciò in cui voi credete non può essere accettato, se confligge con la realtà dei fatti, e imposto alla collettività.
Siamo sicuri che l’economia digitale sia più equa e trasparente? Ecco un esempio del contrario.
La giunta romana vuole modificare lo Statuto per introdurre innovazioni rivoluzionarie. Ma andando a vedere nel dettaglio ci accorgiamo che più che della rivoluzione dovremo preoccuparci del delirio scarsamente democratico che viene rappresentato.
L’Open Source è una risorsa importante per la PA se introdotta con competenza: il caso di Roma non fa sperare in tal senso.
Abbiamo già visto in un articolo precedente quali criteri è bene non prendere in considerazione per valutare le propria posizione sul referendum costituzionale. In questo articolo si affronta il compito di offrire alcuni strumenti per […]
Nonostante il referendum sulle modifiche alla Costituzione sia ancora lontano nel tempo, è già disponibile una vasta collezione di pareri, giudizi e improperi sulle modifiche medesime. Ritenendo, con una confidenza piuttosto elevata, che il rumore di fondo privo di valore informativo sovrasterà presto il contenuto sul quale si è chiamati a votare, spero che queste poche considerazioni di metodo potranno essere utili per essere richiamate in futuro e riportare le infinite discussioni al merito della riforma, e non ad altro.
Con questo gioco di parole nel titolo si possono riassumere i regressi dell’Italia nell’ambito della gestione digitale della Nazione. Perché, da quando abbiamo descritto, un anno e mezzo fa, lo stato dell’arte e i meccanismi necessari per portare fuori lo Stato Italiano dal micidiale mix rinascimental/ottocentesco dei suoi processi, è cambiato davvero tutto, per dirla con il Principe di Lampedusa: il Governo, il Digital Champion, la strategia, i risultati, il modo di presentarli.
In Italia sono in atto due processi paralleli e profondamente connessi: la riforma costituzionale relativa al bicameralismo perfetto, che si è dimostrato, almeno qui, inefficiente e molto lungo nei processi decisionali, e la nuova legge elettorale, chiamata a sostituire l’illogico (e, pertanto, infame) Porcellum (voluto da Pdl e Lega, alias Berlusconi e Bossi), dichiarato incostituzionale e causa prima ed unica del “Parlamento dei nominati” in quanto non prevede alcun meccanismo di scelta delle persone all’interno di liste decise dai partiti, o meglio, da chi controlla i partiti.
La connessione è dovuta al fatto che l’eventuale nuovo Senato post riforma costituzionale, con competenze ridotte e diverse dall’attuale, non sarà più eletto, se non in maniera molto indiretta. Diviene fondamentale quindi, ai fini della scelta di chi governa il paese, la legge elettorale della Camera.
A settembre crescono i tagli. Questa frutta di stagione è disponibile in due varietà, i tagli lineari e i tagli da spending review. La prima varietà è quella che si trova in tutti i mercatini, ed è semplicissima da produrre, costa praticamente nulla ai produttori e fa sempre il suo bell’effetto alla tavola dei mezzi di comunicazione. Ha il vantaggio poi di non poter essere assaggiato: dopo aver fatto mostra di sè al centrotavola, scompare, senza aver prodotto effetti. Misteriosamente, però, ingrassa lo stesso: la spesa pubblica aumenta di anno in anno.
I tagli da spending review sono invece rarissimi e costosissimi. Una squadra di esperti viene ingaggiata per analizzare a fondo tutti i paramentri necessari ad ottenere un prodotto di qualità, una cosa di gran gusto e classe, che non impatti l’ambiente con la produzione, elimini sprechi e alimenti in modo equilibrato e sano. Un prodotto di questa finezza è apprezzabile da un pubblico di fini intenditori (la gran parte dei buongustai è un po’ rozza, e non comprende bene la fatica, l’esperienza, la competenza ed il tempo che ci vuole per ottenere questo frutto prezioso). Forse per questo, anche di tale varietà non si è mai visto un esemplare.
Nelle assemblee di condominio per votare occorre essere presenti oppure delegare un terzo in propria vece con documento firmato. E si decide di questioni importanti e spese significative, certo, ma non di questioni vitali come, che so, se dichiarare guerra all’impero Romulano o stanziare fondi per la ricerca sul morbo del Pianeta Algernon.
Ora, leggo che per le questioni davvero importanti c’è oggi un gran parlare delle meraviglie del voto elettronico (che viene chiamato anche, con infelice espressione, democrazia diretta o, peggio, liquida). Come ufficiale scientifico, mi è capitato di passare un po’ di tempo in compagnia dei computer, e posso dire che di solito sono affidabili. Ma i computer sono progettati da umani, e i loro programmi sono scritti ed installati da umani, e la loro gestione è affidata ad umani. E i sistemi per controllare che gli umani si comportino correttamente sono molto più complessi di quanto possiamo pensare.