Cosa fare coi “dittatori”? Fin dove si può spingere la realpolitik? Una questione spinosa che non possiamo risolvere con appelli ideologici.

Cosa fare coi “dittatori”? Fin dove si può spingere la realpolitik? Una questione spinosa che non possiamo risolvere con appelli ideologici.
L’attacco terroristico di Teheran ha la medesima natura di quelli in Europa ma scopi molto differenti e seriamente pericolosi. La situazione in M.O. evolve in fretta, e in forma altamente preoccupante.
Il caso Regeni occupa giustamente le pagine dei nostri giornali e il tempo di moltissimi commentatori per la totale non credibilità delle autorità del Cairo e l’inaccettabilità delle diverse sciocche ricostruzioni finora date alla morte del giovane ricercatore italiano. Siamo sconcertati, anche come redazione HR, e come tutti i cittadini italiani vogliamo la verità, non una generica e inattendibile verità di comodo per mettere la parola “Fine” alla vicenda. Il nostro è un cordoglio sincero che si accompagna all’invito, alle autorità italiane, a fare di tutto, e poi ancora di più, per difendere quanto meno la memoria del povero ragazzo.
Ciò detto, questo non è un post sul caso Regeni.
Come sottolinea Franco Venturini sul Corriere la mossa di Riad di giustiziare il leader religioso sciita Nimr al Nimr è semplicemente un’altra tragica tappa della guerra fra sciiti e sunniti, ovvero fra potenze locali in Medio Oriente, per il controllo delle risorse e per il dominio geopolitico nell’area. Un conflitto che ha origini antichissime, che si complica per le diverse componenti, alcune estremiste come noto, in seno al sunnismo, e che è reso drammatico sia dai potenziali militari odierni sia dalla novità (rispetto al passato) di un terrorismo che si esercita nell’Occidente ateo e apostata e infedele per ragioni di mera propaganda interna.
Un’ovvia domanda è: chi arma l’ISIS/IS/Daesh? Perché combattono come matti nelle zone da loro occupate di Siria e Iraq e mostrano – anche nella loro versione terroristica – una potenza di fuoco invidiabile. L’argomento, che dovrebbe inquietare normalmente tutti noi europei, è diventato più pungente dopo l’attentato di Parigi e alcune denunce pubbliche del ruolo che avrebbe l’Italia nella vendita di armi a Paesi notoriamente finanziatori del terrorismo.
L’etichetta, che Annunziata e altri commentatori hanno applicato all’orrore di Parigi, è suggestiva quanto errata. La verità è peggiore. Non è una guerra ma guerriglia terrorista. Non c’è scontro fra nazioni e popoli, e loro eserciti, ma stillicidio di azioni isolate e imprevedibili realizzate da persone di svariata nazionalità, spesso con pochissimo in comune tranne l’odio verso l’Occidente giustificato da una matrice religiosa neppure sempre precisa.
L’accordo sul nucleare iraniano ha messo d’accordo quasi tutti, dagli americani che l’hanno fortemente voluto ai russi tradizionali alleati dell’Iran. Tripudio per il ruolo europeo rappresentato dal tailleur rosa di Mogherini. Contrari gli Israeliani che temono fortemente il dichiaratamente antisemita paese degli ayatollah e i paesi sunniti (Arabia in testa). Potrebbe sembrare tutto sommato un accordo indubbiamente buono criticato solo dai soliti rompiscatole ma forse dovremo capire meglio cosa vuol dire e quali conseguenze possibili potrebbe avere;
In queste ore si sta combattendo in Yemen quella che De Giovannangeli sull’Huff Post chiama “la madre di tutte le guerre”. Da un lato Arabia Saudita alla guida di una grande coalizione che vede Egitto, Giordania, Sudan, Pakistan, Bahrain, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Marocco, oltre ai lealisti yemeniti, con l’appoggio turco (per ora solo politico) e quello logistico americano; dall’altro lato l’Iran, che sostiene i ribelli sciiti yemeniti e un appoggio siriano che vale per quel che vale date le condizioni del paese di Assad.