Cosa fare coi dittatori

Gianni Cuperlo pone una questione giusta (è intelligente, e per questo lo stimo) che a mio avviso però non sviluppa razionalmente (è ideologico, per questo a mio avviso sbaglia). Nel suo articolo di domenica su Domani parla dei rapporti coi “dittatori”, riprendendo ovviamente dall’ormai celebre sentenza di Draghi su Erdogan. Cuperlo, richiamandosi, oltre alla Turchia, anche alla Libia e all’Egitto, formula molto chiaramente il quesito che, effettivamente, si pongono tutte le persone democratiche:

fin dove è legittimo spingere la Realpolitik di una democrazia chiamata a stabilire i limiti oltre i quali una simile cooperazione finisce col comprimere, e magari annullare, i principi fondanti la democrazia stessa?

L’Autore ricorda i “generosissimi assegni [che l’Europa versa] al governo turco in cambio della compiacenza loro nel trattenersi in casa qualche milione di profughi siriani volenterosi di approdare al vecchio continente, il nostro”; sull’Egitto, dopo avere citato Regeni e Zaki, ricorda che “nel 2019 abbiamo venduto armi per poco meno di 900 milioni di euro”; eccetera.

E allora? – si chiede Cuperlo – Dov’è che la condanna della dittatura turca o di quella egiziana può e deve combinarsi – «trovare il giusto equilibrio» per citare ancora il nostro presidente del Consiglio – con le esigenze primarie (ma pure secondarie e oltre) di un paese come l’Italia che ha tutto il diritto-dovere di preoccuparsi dei propri confini, dei propri interessi geo-strategici, delle proprie industrie e commesse?

Come capita alle persone intelligenti, Cuperlo riconosce che siamo davanti a una difficile aporia:

Si dirà che siamo dinanzi a un paradosso irrisolvibile perché se volessimo applicare il criterio accennato a ogni paese tacciabile di violare quei diritti sprofonderemmo in un isolazionismo impotente e totalmente inabile anche solo a stimolare una evoluzione possibile di quei regimi in senso più inclusivo e liberale.

Ma come capita alle persone in cui l’ideologia impedisce le logiche conclusioni razionali, continua:

eppure un grande paese come l’Italia, al pari di altri e forse un po’ più di altri, dovrebbe non limitarsi a cercare il «giusto equilibrio», ma capire come in un mondo privo di un chiaro ordine e in un tempo segnato da una democrazia più “fragile” si possa trovare la via per affermare il primato di alcune verità. […] Perché, a dirla tutta, l’incidente della mancata terza poltrona per l’ospite europeo è certamente grave e da sanzionare, ma oltre l’episodio in sé rimane l’ipocrisia di un’Europa che sborsa denaro perché altri, fosse pure un dittatore, si faccia carico di evitare a noi un problema umanitario di troppo. Allora, forse, meriterà riavvolgere il nastro e darsi una gerarchia più coerente. Perché parliamo di diritti umani, e quelli non si governano a settimane alterne, pena trovarsi orfani non già di una poltrona, ma di un’anima.

Partiamo dalla lista di Cuperlo, davvero breve. Possiamo aggiungere almeno l’Arabia e la Russia? Qualche paese dell’Est Europa improvvidamente fatto entrare in Unione Europea? In una di quelle classifiche internazionali sempre discutibili che però aiutano a dare un’idea di come va il mondo (Freedom in the World 2021) vediamo che un discreto numero di paesi coi quali intratteniamo rapporti importanti sono in pessime posizioni (cioè sono considerati non democratici); oltre ai precedenti, per esempio, la Cina, Cuba, Venezuela eccetera. Non a caso il rapporto 2021 edito dalla Freedom House è intitolato “Democrazia sotto assedio”. 

È evidente che il problema esplode assai più prepotentemente di quanto Cuperlo segnali; possiamo anche boicottare l’Egitto e non andare in vacanza a Cuba, ma diventa difficilino rinunciare allo straordinario scambio commerciale con la Cina, al petrolio dell’Arabia, al gas della Russia.

E qui si introduce prepotentemente il vero tema: questa disponibilità a “cooperare” (termine di Draghi) con i dittatori dipende non già dall’ipocrisia (termine di Cuperlo, e non solo il suo) ma da una necessità imposta dal sistema capitalistico globale. Oggi l’impuntatura sui diritti, che dovesse avere come conseguenza “non ipocrita” l’interruzione di rapporti commerciali (conseguenza di conflitti diplomatici) sarebbe molto semplicemente insostenibile, anche a fronte di una ipotetico (e totalmente irrealistico) sostegno dell’opinione pubblica. La sola Turchia, in seguito alla crisi seguita alle parole di Draghi, ha congelato contratti italiani del valore – per il momento – di 70 milioni di Euro, che non sono ancora tantissimi rispetto ai 17 miliardi di interscambio dell’anno scorso (praticamente 1 punto di PIL in valori 2020), ma non sono noccioline, alle quali aggiungere altri contratti che i turchi si sono detti disponibili a bloccare se non ricevono scuse. I 70 milioni riguardano la Leonardo, azienda pubblica, ma i prossimi contratti sotto scacco sarebbero di aziende private (fonte). In ogni caso si tratta di meno lavoro, meno sviluppo, meno benessere per gli italiani, e stiamo ancora parlando di piccolissime cifre. L’export italiano verso la Cina, per andare subito ai numeri grossi, è stato pari a poco meno di 13 miliardi di Euro nel 2020, con leggerissimi cali sui due anni precedenti (fonte). Parliamo di energia: l’UE nel suo complesso è un importatore netto di energia (Italia terza, dopo Turchia e Germania; fonte); indovinate chi è il nostro maggiore fornitore? La Russia come carbone, la Russia come gas e la Russia come petrolio greggio. 

Di cosa stiamo esattamente parlando?

Ora, sia chiaro: sia pure in forme differenti io e Cuperlo, credo, riteniamo che ci sia più di qualche cosa di sbagliato in tutto questo. Però lasciamo stare i buoni sentimenti gridati al vento, contro il capitalismo, il liberismo, la turbofinanza, e bla e bla e bla. O meglio: sì, certo, dobbiamo fare l’analisi, dobbiamo capire che c’è questo macigno nel nostro presente e forse un baratro nel futuro. Ma poi dobbiamo immaginare delle strategie efficaci, che possano coniugare il nostro interesse (continuare ad avere il gas, continuare a mantenere posti di lavoro) con la pressione per un miglioramento dei diritti nei paesi governati da gente come Erdogan e Putin.

Vediamo di parlare della sola Turchia, perché ci costerebbe troppo fare un lungo e articolato discorso.

Innanzitutto – se volete aggiornarvi – QUESTA pagina ufficiale del Parlamento Europeo esamina lo stato dei rapporti EU-Turchia. Quella pagina dice qualcosina, ma ne tace molte altre. 1) Per esempio che la questione dei rifugiati è una vergogna colossale (come scrive anche Cuperlo), e che praticamente l’Europa paga cifre colossali per tenerli in una atroce galera senza speranza. 2) Per esempio che la questione curda (che non è certo una novità) e la riconfigurazione di quel quadrante dopo  il crollo siriano e l’Isis, ha “costretto” la Turchia a pendere vistosamente dalla parte di Assad e quindi di Putin. Ci sono molte altre questioni, ma limitiamoci a queste.

Sulla questione dei rifugiati occorre ricordare che l’Europa vìola il diritto internazionale in materia di accoglimento dei rifugiati e chiude gli occhi sul comportamento greco nella sua frontiera turca; e che la Turchia, mediante un escamotage ridicolo, non riconosce i profughi siriani come “rifugiati” ma solo come “ospiti” (se volete saperne di più su questa grottesca vicenda potete leggere QUI); quindi a monte c’è un aggrovigliato gioco delle parti che dura da innumerevoli anni in cui, fra UE e Turchia, non si sa chi sia il gatto e chi la volpe. Risalendo più a monte: perché l’Europa fa carte false per non ricevere quei disgraziati (che sono nell’ordine di alcuni milioni, sia chiaro)? Per ragioni economiche e sociali; vale a dire: dove li mettiamo? Come li facciamo campare? Chi se li prende? Ecco, cerchiamo di essere pratici: non c’è una soluzione: 4 milioni di rifugiati siriani, trattati come meritano i rifugiati, dall’oggi al domani in Europa, causerebbero un collasso delle strutture di accoglienza, delle turbolenze sociali difficilmente immaginabili, dei costi insostenibili. Ma come abbiamo fatto a “produrre” quei 4 milioni di rifugiati? Con la guerra civile siriana, che – scusate le iper semplificazioni – non hanno avuto come protagonisti il sanguinario Assad da una parte e i coraggiosi ribelli dall’altra, ma la Russia (e Iran, e Cina) a fianco di Assad e l’Arabia Saudita (e Qatar, e USA, ed Europa) a fianco degli altri, per una intricata serie di ragioni che non potete pretendere vi racconti qui per filo e per segno, ma riguardano questioni geopolitiche ed economiche rilevantissime per queste potenze straniere (una discreta ricostruzione QUI). Facciamo una digressione.

La questione curda e il terrificante voltagabbana della Turchia. Spaventata dalle affermazioni curde lungo i suoi confini, e approfittando dell’evidente imminente crollo dell’ISIS (di cui non parliamo, ma che è nato e morto in questa parentesi di guerra in Siria), Erdogan smette di sostenere i ribelli e si schiera con Assad e quindi con la Russia (infischiandosene allegramente del Patto Atlantico). 

Anche solo da questo sommarissimo e parziale riassunto vedete bene l’intrico pazzesco di storie, di ragioni, di paesi coinvolti, di interessi enormi a livello planetario, di vite sospese, di regimi in bilico, di lotta per la sopravvivenza…

Quindi: no, non possiamo risolvere l’insieme dei problemi (nessun problema è separato dagli altri, non si possono “risolvere uno alla volta”), almeno no se ci facciamo sovrastare da questa mole intricata, e confusa, giocata su così tanti piani diversi.

Un approccio sistemico – necessariamente lungo nel tempo – dovrebbe, a mio modesto avviso:

  • risolvere i problemi di approvvigionamento delle risorse naturali indispensabili; finché dipenderemo da Arabia e Russia, loro avranno le carte vincenti;
  • concepire la nostra alleanza atlantica con più equilibrio e meno subalternità; l’Europa ha preso troppe decisioni da serva americana, avallando decisioni discutibili e contrarie ai nostri interessi continentali; l’ovvia premessa è che servirebbe una politica estera europea unitaria;
  • rivedere con coraggio l’assetto interno europeo, incentivando una sorta di separazione indolore dall’Europa dell’Est, che col resto occidentale degli europei non condivide praticamente nulla;
  • evitare l’isolamento di Putin, che serve solo a rafforzarlo al suo interno e gettarlo fra le braccia cinese: pericolosissimo;
  • essere unanimemente più rigorosi verso Erdogan, senza temere la sua ira; Erdogan è debolissimo, ha un’economia allo sfascio, un dissenso interno crescente. La strada è quella indicata da Draghi e che – ho la speranza – sarà pian piano intrapresa dagli altri partner.

Sono certo che ai più apparirà poco, incerto, nebuloso. Ma volere risultati brillanti, subito e a poco prezzo non è possibile. L’Europa potrebbe avere un ruolo straordinario nei processi di pacificazione e modernizzazione del Medio Oriente e Nord Africa, traendone benefici durevoli. Ma occorre un risveglio di coscienza europeista, contrastare le forze populiste che minacciano Italia, Francia, Germania, trovare dei punti di riferimento chiari.

Poi, certo, possiamo lamentarci, volere la Luna, imprecare contro gli eurotecnocrati di Bruxelles, militare in un movimento per la liberazione dal liberismo di Soros e del Bilderberg, e anzi così ci trastulleremmo e passeremo del tempo emotivamente significativo. Ma in Turchia resteranno i rifugiati e i loro figli dei figli, la Cina calpesterà ogni diritto delle minoranze, Putin governerà per i prossimi 100 anni, semmai come ologramma e, per farla breve, nulla sarà cambiato.