Chiamatela, se credete, Terza Guerra Mondiale…

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L’etichetta, che Annunziata e altri commentatori hanno applicato all’orrore di Parigi, è suggestiva quanto errata. La verità è peggiore. Non è una guerra ma guerriglia terrorista. Non c’è scontro fra nazioni e popoli, e loro eserciti, ma stillicidio di azioni isolate e imprevedibili realizzate da persone di svariata nazionalità, spesso con pochissimo in comune tranne l’odio verso l’Occidente giustificato da una matrice religiosa neppure sempre precisa.

Questo è il secolo del terrorismo islamista. Non credo esista più al mondo uno sciocco che non sappia che gli attentati continueranno. Ci potranno essere pause, qualcuno riusciremo a sventarlo, ma il messaggio, più adesso che dopo la strage a Charlie Hebdo, è chiaro: vi colpiremo quando vorremo e dove più ci piacerà. Non voglio approfondire le ragioni dello sviluppo di questo fenomeno e salterò a piè pari tutte le fustigazioni sulle colpe occidentali, che sono tante e gravi ma che – comunque siano – non giustificano un solo ragazzo assassinato a sangue freddo al Bataclan. Su questo punto non ho un sol dubbio: tutte le colpe passate dell’imperialismo americano, dell’ignavia europea, dell’ipocrisia occidentale in genere non giustificano un solo innocente morto al grido Allah è grande. Le nostre colpe passate paghiamole con una buona politica internazionale futura; se abbiamo sbagliato in passato cerchiamo di non ripetere errori in futuro, ma chi oggi preferisce l’ignavia mascherandola di pacifismo, chi propone oscene solidarietà a popoli più o meno oppressi giustificando in conseguenza violenze e distruzioni è uno sciocco ostacolo alla ricerca di una soluzione, se non un colluso.

La ricerca di una soluzione… quale? È chiaro che le strade sono poche e strette: 1) piangere i morti e rimettere la testa sotto la sabbia, sperando che non accada di nuovo o, se proprio deve accadere, succeda altrove; 2) sviluppare una forte azione diplomatica, corale dell’Occidente, obbligando una serie di paesi amici, quasi amici e presunti amici a schierarsi apertamente (argomento cruciale, lo riprendo subito); 3) mandare truppe, bombardieri, droni ingaggiando una grande guerra in Medio Oriente. La prima soluzione è effettivamente quello che accadrà; serviranno molti altri morti, temo, perché l’Europa si scuota. E allora adesso aspettiamoci una nuova, rituale, liberatoria manifestazione a Parigi, coi capi di stato e tanta brava gente a piangere i morti. Fine. E incrociamo le dita per quanto potrebbe accadere in Italia, dove nell’ingestibile e indifendibile Roma il Papa sta per dare avvio all’improvvido Giubileo.

L’azione diplomatica sarebbe fondamentale se ben coordinata dagli europei (in primis). 1) imporre l’immediata cessazione dell’occupazione israeliana dei territori e la costituzione di due stati, con la presenza permanente di un’adeguata forza d’interposizione; questo è un cancro storico che ha alimentato una potente radice islamica estremista e antioccidentale; Israele si permette di continuare nel suo bullismo locale solo perché sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Occidente in generale; un Occidente che deve garantire la sopravvivenza di Israele e la sua protezione, ma terminare la complicità al suo imperialismo locale (più che alimentato da un’altra forma di fondamentalismo, quello ebraico); 2) imporre il superamento delle divisioni fra le principali componenti libiche per sostenere la rinascita di quella nazione e bonificarne il territorio; per niente semplice ma possibile se l’obiettivo venisse condiviso da Stati Uniti ed Europa; 3) resa dei conti con la Turchia senza timori meschini per la nostra bilancia commerciale (hanno da rischiare più i turchi sotto questo profilo); la Turchia deve essere messa di fronte alle grandi responsabilità che deve assumersi, in cambio degli aiuti che necessita e della considerazione internazionale che desidera: Erdogan è un brutto cliente, ma la posizione prona dell’Europa nei suoi riguardi, pronta a distogliere lo sguardo da tutto pur di salvare il commercio non è più tollerabile; 4) analoga pressione verso l’Arabia Saudita e Paesi del Golfo: non siamo più nei decenni in cui il loro petrolio era fondamentale, le alternative ci sono ma occorre che gli Stati Uniti smettano di usare quel petrolio in funzione anti Putin; 5) la Russia ci è antipatica ed è governata da un despota, ma senza la Russia non andremo da nessuna parte; occorre comprendere come molti comportamenti russi siano stati causati dall’aggressività della NATO, ovvero degli Stati Uniti, e l’Europa deve giocare un ruolo autonomo in questo senso; solo con la Russia nella coalizione internazionale contro il terrorismo si potrà, per esempio, risolvere l’altro bubbone siriano, semmai consentendo una transizione tranquilla da Assad al dopo Assad (sì, Assad è un dittatore sanguinario, ma fra lasciarlo fare, come ora l’Occidente sta facendo, o garantirgli un salvacondotto in una transizione guidata dalla Russia, cosa cambia?).

Questi punti almeno, e indubbiamente altri, sono elementi chiave per costituire una cintura chiara e ferma attorno al sedicente Califfato; controllare i confini e i flussi di armi e uomini (che adesso vanno e vengono come pare a loro attraverso la Turchia) e di denaro (via Turchia e Paesi del Golfo); collocare basi per interventi militari; sostenere i difficili processi democratici nei paesi islamici del Nord Africa e del Medio Oriente. Ma affinché alcune di queste misure si possano realizzare occorre, ahinoi, una condizione difficile da immaginare a breve: una politica estera europea forte e unitaria. Tale politica estera dovrebbe rinegoziare il ruolo della Nato riequilibrando la sua egemonia filo-americana e anti-russa, che non è e non può essere nell’interesse dell’Europa; rivedere le sue finalità e compattarsi attorno a nuovi obiettivi condivisi, pagando anche lo scotto di una revisione della sua stessa composizione e un’eventuale uscita di quei Paesi frettolosamente aggiunti (in funzione politica e non culturale o economica) ad Est. L’Europa burocratica e finanziaria di oggi è lontanissima da questa capacità di re-immaginarsi; è troppo divisa per unire la voce e ridimensionare l’egemonia americana; è troppo egoista per unirsi, pagandone prezzi non indifferenti, per avventure così impopolari (e ci sono molte elezioni in Europa, nei prossimi mesi…).

In uno scenario di questo genere (Europa unita e autorevole, capace di una forte azione diplomatica in Medio Oriente, capace quindi anche di discutere a livello paritario con gli Stati Uniti, con la Russia etc.) si può prevedere un’opzione militare; e probabilmente sarà necessario perché il terrorismo organizzato (non quello dell’esaltato solitario che prende un coltello e ammazza un passante a caso) ha necessità di logistica, catene di comando, documenti, armi, contatti e così via, e distruggere l’Isis/Is/Daesh darà un colpo mortale all’origine del più temibile pericolo per l’Europa.

Mentre aspettiamo che l’Europa si svegli c’è qualcosa che si può iniziare a fare da subito: potenziare l’intelligence; sradicare le basi (note) dei terroristi in Europa; sorvegliare i centri di propaganda islamici. Quest’ultimo punto necessita di una precisazione: è evidente a tutti (tranne a chi soffia sul fuoco) che una cosa è l’Islam e un’altra cosa è il terrorismo islamista. Non c’è nulla da fare contro l’Islam, non c’è alcuna azione né tantomeno alcuna guerra da fare contro l’Islam. Sarebbe però altrettanto sciocco negare la componente religiosa di questo terrorismo. Per ragioni che abbiamo già trattato su HR e che non riprenderò qui, è piuttosto evidente che satrapi e califfi senza scrupoli agitano l’identità religiosa come potentissimo collante antioccidentale, spalleggiati da mullah fanatici e ignoranti. La colpa non è di Allah, come non è di Jahvè la colpa dell’imperialismo ebraico o di Gesù quella delle crociate. La colpa è di chi manovra le religioni, e il vulnus irreparabile è il meccanismo pervasivo della religione, che è irrazionale, passionale, assoluta, irragionevole. E quindi, in attesa che le comunità islamiche sappiano espellere da loro i corpi estranei malefici, occorre un attento monitoraggio da parte delle forze di polizia e dell’intelligence.