Come sottolinea Franco Venturini sul Corriere la mossa di Riad di giustiziare il leader religioso sciita Nimr al Nimr è semplicemente un’altra tragica tappa della guerra fra sciiti e sunniti, ovvero fra potenze locali in Medio Oriente, per il controllo delle risorse e per il dominio geopolitico nell’area. Un conflitto che ha origini antichissime, che si complica per le diverse componenti, alcune estremiste come noto, in seno al sunnismo, e che è reso drammatico sia dai potenziali militari odierni sia dalla novità (rispetto al passato) di un terrorismo che si esercita nell’Occidente ateo e apostata e infedele per ragioni di mera propaganda interna.
L’acutizzarsi del conflitto moderno, quello che ci porta ai problemi di questi ultimi anni e mesi, è stato riaperto sostanzialmente con la rivoluzione islamica iraniana del 1979, nella quale Khomeini avviò il suo esperimento di governo islamista a guida religiosa, in linea con la predicazione sciita che assegna agli imam il doppio ruolo (o meglio l’unico ruolo) di guide politiche e religiose. Il successo di Khomeini e il supporto iraniano alle componenti sciite di altri paesi dell’area sono la chiave per comprendere il progressivo acuirsi delle tensioni fra paesi sciiti e sunniti e, entro questi ultimi, fra governi centrali sunniti e minoranze sciite (come nel caso dell’Arabia Saudita), la cui discriminazione getta benzina sul fuoco. Il successo sciita in Iran ha avuto come conseguenza un più marcato sviluppo del ramo wahhabita, fondamentalista, del sunnismo saudita. Iran sciita e Arabia Saudita sunnita-wahhabita, sono i due potenti motori, diretti o indiretti, del degenerare dei conflitti nell’area e della creazione di milizie terroriste.
Questa divisione, peraltro, non è netta e granitica e – come unico esempio fra molti – gli sciiti irakeni combatterono contro gli sciiti iraniani durante la guerra fra i due paesi nel 1980.
I conflitti interreligiosi fra sunniti e sciiti ha avuta un’evoluzione che parte dall’omicidio (peraltro raro) di esponenti politici e religiosi per arrivare – grosso modo a partire dagli anni ’80 – a formazioni paramilitari e politicizzate come gli sciiti di Hezbollah e il gruppo sunnita di al-Qaeda, terrorista, sì, ma secondo logiche ancora vagamente militari lungo la tradizione talebana del conflitto in Afghanistan. La svolta è stata causata – o quanto meno accelerata – dal rapido destabilizzarsi dell’area causata da forti ingerenze occidentali: Hezbollah resistette all’invasione israeliana 1982-2000 con una coalizione sciita, antimperialista e di sinistra, e nel suo programma politico attuale si rimarca l’impostazione anti-americana. Al-Qaeda, d’altra parte, nasce ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan, sia pure ai margini delle formazioni talebane. Americani in Iraq e sovietici in Afghanistan sono stati agenti di un’accelerazione estremista che probabilmente germinava indipendentemente dalle guerre menzionate, ma hanno fornito un potente collante ideologico-religioso, identitario, di riscatto, per masse facilmente manipolabili da imam e sceicchi interessati al controllo delle risorse locali e al predominio sulle minoranze avverse.
La successiva e fondamentale evoluzione ha a che fare con la guerra civile siriana. In Siria la maggioranza della popolazione è sunnita, ma il regime di Assad appartiene a una minoranza sciita – quella degli alawiti – che ha tratto benefici considerati inaccettabili dalla maggioranza oppressa. Il come e il perché una minoranza sciita sia diventata dominante in Siria richiederebbe un ampio capitolo a parte che eviterò; si tratta di uno di quegli esempi di ingarbugliamento di una matassa mediorientale già molto aggrovigliata grazie a interferenze occidentali (in questo caso la Francia, durante il suo mandato a cavallo fra le due Guerre Mondiali, con la creazione temporanea di uno stato alawita). Comunque, la guerra civile inizia con pacifiche proteste anti regime nel 2011 brutalmente represse da Assad. Il conflitto armato successivo ha attratto in Siria miliziani stranieri sunniti e sciiti, a difesa rispettivamente dei ribelli e del regime, trasformando la Siria nel campo della resa dei conti fra sunniti e sciiti. Ma, specialmente, creando un vuoto in una vasta area fra Iraq e Siria colmato dal progetto del califfo sunnita Al-Baghdadi chiamato ISIS (Islamic State in Iraq e Siria) o semplicemente IS o (per alcuni meglio detto Daesh).
Dopo l’excursus storico vale la pena rimarcare con forza che la militarizzazione del conflitto è cosa recente, almeno a livello popolare; come scrive Yaroslav Trofimov sul Wall Street Journal
La gente di 40 o più anni in paesi come l’Arabia Saudita o il Pakistan ancora ricorda quando non sapevano – e non importava loro di sapere – se i loro vicini o compagni di lavoro fossero sunniti o sciiti.
Oggi le cose sono diverse perché si combatte per la supremazia politica ed economica nell’area. E il fattore religioso è diventato semplicemente lo strumento per compattare e mobilitare le masse:
“Sectarian tools are used in these struggles because they have greater impact,” explained one of Lebanon’s most senior Shiite clerics, Seyed Ali Fadlullah. “If you were to call upon people now to fight for a regional or international influence, they won’t act. But people will act when it is said that your sect is under threat, or that your sanctities are going to be destroyed.” (stessa fonte precedente).
Ma dietro il controllo del petrolio in Arabia (che porta la dinastia saudita wahhabita ad opprimere le minoranze sciite, guarda caso stanzianti in aree ricche di greggio) o dietro le mire nucleari iraniane, la permanenza o meno di Assad al potere e così via, ci sono interessi occidentali che interferiscono, parteggiano, finanziano e – conseguentemente – si pongono come evidenze delle volontà imperialiste degli atei e infedeli; le già citate invasioni americana e sovietica sono stati esempi eclatanti e certo ancora non dimenticati; il sostegno occidentale a Israele è cosa nota e mantiene vivo e pulsante quello che viene considerato un affronto visibile ai diritti dei palestinesi; in maniera più sottile gli interessi economici americani verso il petrolio saudita anche in funzione anti-russa, così come gli interessi russi verso il mantenimento del regime di Assad in funzione militare, non fanno che rendere esponenzialmente complicata la ricerca di soluzioni negoziali.
Infine il terrorismo in Europa (e altrove): perché? Se la situazione è questa, eminentemente interna, perché gli attentati di Parigi, perché le crescenti basi terroristiche nei Balcani? L’ideologia della guerra totale, del Califfato esteso fino ai confini d’Europa, della distruzione d’Israele e di una sharia universale sono richiami identitari forti che richiamano a torti subiti di recente (le menzionate invasioni americana e sovietica, i territori palestinesi occupati…) e a stili di vita immorali inaccettabili per chi condivide sentimenti islamici fondamentalisti. L’America in primo luogo, e gli occidentali in generale, sono il simbolo vivo di un male da combattere per non soccombere. Gli occidentali hanno sempre mostrato concretamente il loro imperialismo nel Medio Oriente (sin dalle spartizioni e dalle sciagurate decisioni dopo il crollo ottomano), sfruttano le risorse locali, opprimono i bravi musulmani e sono immorali. Il Corano – nell’interpretazione fondamentalista che ne danno – chiede che vengano combattuti e uccisi. E le nostre democrazie tolleranti e ricche di diritti individuali sono così facilmente penetrabili dai loro miliziani e kamikaze… Un impegno militare modesto per successi enormi sotto il profilo comunicativo, utili per attrarre combattenti e per celebrare la forza e il riscatto musulmano. Ecco perché l’accurata messa in scena di sgozzamenti e roghi di infedeli, ecco perché le distruzioni di siti archeologici (oltre al lucrativo traffico di reperti), ecco perché il consenso agli stupri con benedizione e altre atrocità; perché in Occidente ci scandalizziamo, reagiamo, lasciamo crescere una generalizzata fobia anti-islamica (basta vedere il successo di Trump in America, di Le Pen in Francia, di Salvini in Italia), mandiamo soldati e bombardieri e ciò, come conseguenza, porta i fanatici a serrare i ranghi, loro in difesa della loro identità contro noi che li attacchiamo, li aggrediamo come da secoli, in effetti, facciamo. Ma – come i dati mostrano in maniera cristallina, alle centinaia di occidentali morti per mano jihadista (137 nell’ultimo attentato di Parigi, 224 nell’aereo abbattuto in Sinai, etc.) corrispondono migliaia di assassinii in Medio Oriente e Africa (QUI un preciso e impressionante elenco per il solo 2015) generalmente di altri musulmani. Il terrore è un’antica arma di consenso e potere interno e di propaganda esterna, non l’hanno inventata Daesh o Boko Haram, e noi europei dovremo farne i conti ancora a lungo.
Risorse:
- Council on Foreign Relations, The Sunni-Shia Divide: un testo molto completo, con infografica, video, mappe e tutto quanto utile per comprendere storia e ragioni del conflitto;
- Michael Peel, Middle East: Battlelines drawn, “Financial Times”, una mappa molto dettagliata delle componenti sunnite e sciite (e loro componenti) in Medio Oriente;
- Islamic State. The propaganda war, “The Economist”, 15 Agosto 2015; come l’ISIS fa propaganda;
- Renzo Guolo, Sciiti e sunniti, lo scontro secolare che incendia il Medio Oriente, “la Repubblica”, 3 Gennaio 2015;
- Giuseppe Colombo, Davide Tabarelli (Nomisma): “L’Arabia Saudita usa anche il petrolio contro l’Iran”, “L’Huffington Post”, 4 Gennaio 2016.
Su Hic Rhodus:
- La spirale, 9 Dicembre 2015; le origini storiche del conflitto mediorientale si perdono nella notte dei tempi;
- Da dove provengono le armi dei terroristi ISIS?, 25 Novembre 2015; il traffico di armi coinvolge fortemente Turchia e Arabia Saudita;
- Mamma li turchi!, 4 Novembre 2015; la vittoria di Erdogan alle elezioni turche: la sua ambiguità di fronte al terrorismo jihadista;
- Il Califfo prepara la guerra in Europa?, 24 Luglio 2015; la presenza di basi jihadiste nei Balcani, rampa di lancio per attacchi in Europa;
- La scomparsa del Medio Oriente. E dell’Europa. E anche…, 30 Marzo 2015; la guerra dell’Arabia contro le minoranze sciite in Yemen, uno dei tasselli della lotta fra sciiti e sunniti.