Quanto sia terribile il bivio che abbiamo davanti mi appare chiaro ma so che è difficile argomentarlo in maniera semplice e convincente. Soprattutto convincente, non già perché non ci siano fatti, circostanze, tendenze, per non parlare di tantissime analisi e commenti; il problema è il solito, quello dell’ideologia. Poiché la storia non è matematica, la politica non è fisica e le dinamiche sociali non sono chimica, tutti quelli che ho definito “fatti, circostanze etc.” sono soggetti a interpretazione, vengono – da ciascuno di noi – piegati agli schemi mentali che ci sono propri, alle idee che tradizionalmente, da tempo, “indossiamo” assieme ai nostri amici, consoci, confratelli, compagni. Quindi se adesso dico delle cose scomode, fuori dagli schemi, politicamente scorrette, non in linea col vostro pensiero tradizionale, potreste essere poco disponibili a cambiare voi, e tendere piuttosto a rifiutare me. Trovo un certo conforto dal fatto che dopo la strage di Parigi (perché questo è il tema della riflessione che vi propongo) mi sembra di notare un cambiamento di registro in molti importanti commentatori italiani (commentatori soggetti agli stessi condizionamenti e quindi non universalmente condivisi); non so se è una nuova consapevolezza in loro, oppure se la tragedia francese li ha fatti rompere con gli indugi e venire allo scoperto. Comunque alcuni di questi commenti ve li propongo nelle Risorse finali invitandovi a leggerli. Per il resto preferisco uno stile molto asciutto e per punti; meno fronzoli = meno equivoci.
Il tema è: cosa fare dopo la strage parigina? Che atteggiamento avere con l’Islam?
- Il terrorismo di matrice islamica ha molte componenti, non una sola: una cornice giustificativa realmente fondata – per chi è disponibile a crederci – su testi sacri, profeti, tradizioni antiche e tutto l’armamentario che serve per dare una patente di legittimità sacra all’andare ad ammazzare gli infedeli, inclusi altri islamici non altrettanto rigorosi (si veda per esempio il ramo wahhabita dell’islam e i suoi rapporti col terrorismo); una serie ampia a piacere di giustificazioni politiche, dalla purulenta piaga del conflitto israelo-palestinese all’arroganza occidentale che negli ultimi venticinque anni – per restare all’epoca recente – ha fatto in Medio Oriente più danni dei cinghiali; una situazione economica e geo-politica complessa, dove si intrecciano accesso a risorse strategiche, predominio locale sui rivali, collocazione in una nuova situazione internazionale dopo la caduta dei blocchi e altro ancora. È insomma facile comprendere come non si tratti di un pugno di psicopatici ma di un tessuto complesso, ampio, ramificato e per diversi individui attrattivo. Conclusione: non pensate che passi; non illudetevi che non ci saranno altri attentati in Europa, forse in Italia.
- Quella che si gioca in Occidente per mano di fanatici jihadisti in forma di attentati è qualcosa di più dell’atto simbolico e isolato e qualcosa di meno di una guerra. È una forma moderna di conflitto strisciante che non può essere frutto di lucida pianificazione complessiva ma che non è neppure estemporanea iniziativa di “lupi solitari”. Tutte le storie dei terroristi di questo periodo, dall’11 Settembre 2001, rinviano a collegamenti e supporto da parte di centrali terroristiche (Al Quaeda prima, ISIS ora) senza le quali nessun “lupo” avrebbe potuto agire, almeno non a questi livelli; ma non sembra che queste centrali siano in grado di pianificare con continuità e sistematicità gli attentati. La realtà attuale è che molte circostanze devono concorrere per far sì che miliziani disponibili al sacrificio della vita, e minimamente addestrati, trovino l’occasione, la disponibilità organizzativa e un contesto logistico favorevole, senza essere intercettati dai servizi segreti e senza incorrere nei mille intoppi che minacciano tali azioni nella realtà non hollywoodiana. Conclusione: per quanto discontinua la pianificazione degli attentati ha delle centrali, delle organizzazioni di supporto, delle capacità in evoluzione (l’evoluzione politico-militare da Al Quaeda a ISIS è evidente).
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Il delirante piano quinquennale di conquista dell’ISIS E quindi cosa vengono a combattere in Europa (e America)? Non certo una battaglia per conquistare militarmente i nostri territori; non una sterile e generica vendetta contro gli imperialisti occidentali; cosa allora? La battaglia, ancorché giocata in Occidente, riguarda l’egemonia nello scacchiere mediorientale. Un’egemonia fra tribù, fra sciiti e sunniti, fra arabi e non arabi, fra controllori di risorse naturali e controllori di fedi ed eserciti. La proclamazione del califfato su un’ampia parte di macerie siriane e irakene mostra il disegno sovra-nazionale sunnita che guida l’operazione. Lo strepitoso sviluppo dell’ISIS nel 2014 ha rappresentato un esempio, ha attratto migliaia di giovani anche dall’Europa ed è stato un “manifesto” di una visione islamica radicale, jihadista, vincente.
- Manca nelle principali analisi la sottolineatura della componente religiosa. È un argomento troppo delicato, forse, considerato politicamente scorretto. Malgrado l’obiettivo politico dei generali, le truppe sono comandate grazie al richiamo alla purezza della fede, alla volontà di Allah. Questo fanatismo religioso è incompatibile con la cultura occidentale. Diciamolo, una buona volta. La separazione fra Stato e Chiesa, l’idea di laicità, la semplice immaginazione di una libertà interiore e personale svincolata dal sentimento religioso inteso in senso ristretto per come indicato nelle scritture sacre, tutto questo è nel DNA Occidentale, ci è costato secoli di lotte, morti, intolleranze, sfide, e il pensiero di giganti come Galileo e Spinoza. Tutto questo è mancato in tutto l’Islam. In tutto l’Islam. Non esiste un esempio storico di reale democrazia, in senso occidentale, in un Paese islamico; quelli con un’apparenza democratica si reggono sulle baionette dell’esercito, in molti casi vagamente filo-occidentale per interessi particolari della casta militare; chiarissimo l’esempio turco, ormai sulla strada dell’islamizzazione integralista di Erdoğan dopo decenni di laicità armata post Atatürk; chiarissimo quello egiziano col rapido ritorno dei militari al potere dopo la parentesi dei fratelli musulmani.
- Troppo vago e incerto resta l’appello alle componenti islamiche moderate. Componenti che ci sono, certo, e a volte individualmente importanti ma che nella grande maggioranza condividono il senso di appartenenza religiosa coi radicali, che faticano a denunciare, isolare, condannare realmente gli estremisti. Malgrado le apprezzabili manifestazioni di islamici in solidarietà con le vittime di Parigi, non possiamo credere che gli attentatori di Parigi non abbiano avuta una vasta rete di amici, quasi-amici, tolleranti, collaterali, collusi, come negli anni ’70 in Italia i brigatisti fidavano sul collateralismo di quella sinistra che non sparava ma non condannava realmente, che diceva “Né con lo Stato né con le BR”, “Compagni che sbagliano” e altre ipocrite definizioni che lasciavano, di fatto, ampio margine d’azione ai terroristi assassini. Conclusioni: occorre non cadere nell’anti-islamismo generico e sostenere e apprezzare i Paesi islamici moderati, ma è difficile immaginare un dialogo politico fra nazioni liberali fondate sul consenso e nazioni teocratiche fondate sul Corano (accordi commerciali sì; trattati di cooperazione indubbiamente; libero scambio certamente. Qui parlo di accordi politici che necessitano di una pre-condizione condivisa in merito all’orizzonte di valori da praticare).
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Se questa è l’analisi, qual è la soluzione? Cosa dobbiamo fare? Se non ci si fa prendere da emotività ideologica, buonista, terzomondista, la conseguenza logica non può che comprendere i seguenti elementi:
- occorre sconfiggere militarmente ISIS: il califfato mostra al mondo la sua vittoria sull’Occidente ogni giorno in cui sopravvive; destabilizza l’area; attrae giovani ribelli e ci rispedisce terroristi; infetta in senso radicale le componenti più moderate. Non piace a nessuno, lo so, ma bisogna dire che occorre abbattere militarmente questo pseudo-stato, mostrare al mondo, invece, che queste esperienze sono sconfitte non solo dalla storia ma anche dagli uomini. Difficile mandare uomini e mezzi nel pantano jihadista ma occorrerà farlo; assieme alle potenze locali; assieme alla Russia; a dispetto eventualmente di Israele. In questi mesi ha fatto più danni all’ISIS la resistenza della piccola Kobane che qualunque altro (tiepido e ambiguo) sforzo occidentale, proprio perché ne ha mostrato la debolezza militare, ha incrinato la sua illusoria invincibilità;
- occorre promuovere una diplomazia forte verso i falsi amici e gli ambigui alleati mediorientali: è noto anche alle pietre che l’Arabia e gli Emirati (loro componenti, in maniera non ufficiale) finanziano il jihadismo; si conosce tutto del corridorio turco che consente a uomini e armi di transitare fra Europa e Siria; anche se gli interessi economici occidentali sono forti con questi Paesi occorre costringerli a piegarsi ad atteggiamenti più chiari, più leali, più nettamente contrari al radicalismo;
- occorre un atteggiamento più chiaro anche in casa nostra: il velo non può essere obbligatorio in luoghi pubblici in nome di un’inesistente pretesa religiosa e non può essere tollerata alcuna discriminazione in nome di ipotetiche differenze culturali; gli imam devono predicare in italiano; i servizi di intelligence devono essere potenziati e ben finanziati; le persone note per precedenti legati al jihadismo devono essere espulse. No a tutto il resto: no a barriere alle frontiere, no a limitazioni del culto, no a censure su Internet, no a inasprimento di pene e no alla militarizzazione del nostro territorio, come invocano fascisti, leghisti, lepenisti. Ogni limitazione di libertà barattata per illusioni di sicurezza è contraria alla storia democratica e liberale dell’Occidente e sarebbe una proclamazione di vittoria dei nostri nemici. Le leggi ci sono già tutte, inutile farne di nuove sull’onda dell’emotività e della paura di perdere qualche voto.
Risorse
- Antonio Polito, Svegliamoci: troppi silenzi e amnesie, “Corriere della Sera”, 10 Gennaio 2015;
- Piero Ostellino, Il buonismo che ci acceca, “Corriere della Sera”, 10 Gennaio 2015;
- Lucia Annunziata, Prendere atto della Terza Guerra Mondiale, “L’Huffington Post”, 9 Gennaio 2015;
- Roberto Toscano, Le colpe dell’Islam e le nostre, “La Stampa”, 11 Gennaio 2015;
- Roberto Saviano, Arrivederci alla prossima strage, “la Repubblica”, 11 Gennaio 2015.