Noi che crediamo nella nostra parte, e siamo sicurissimi che quegli altri sbagliano, dobbiamo essere consapevoli che “loro” credono nella loro parte, e sono sicurissimi che noi sbagliamo. Che fare quindi?

Noi che crediamo nella nostra parte, e siamo sicurissimi che quegli altri sbagliano, dobbiamo essere consapevoli che “loro” credono nella loro parte, e sono sicurissimi che noi sbagliamo. Che fare quindi?
Molte critiche all’accordo Calenda-Letta provengono da liberali duri e puri che non vogliono mescolarsi coi “comunisti”, e da riformisti duri e puri che non voglio mescolarsi coi “liberisti”. Ma il problema è interamente loro e del loro pensiero corto.
Fake news, balle elettorale, fedi inattaccabili e ideologie indiscutibili.
La strada da imboccare (in verità un sentiero stretto) è il disincanto e la liberazione dalle gabbie ideologiche.
Partendo dalla cronaca, proviamo a chiederci: cosa nasconde l’irrazionale rifiuto della scienza medica?
Se dico: “l’ultimo libro di Harper Lee è di molto inferiore al suo capolavoro Il buio oltre la siepe; manca di coerenza, sembra quasi la bozza di romanzo mai veramente completata”, se dico questo esprimo una mia opinione. Sono io che lo penso, alla luce di un discreto numero di fattori variabili (intelligenza, cultura, esperienze specie nel campo della lettura…) di cui il più rilevante è la competenza. Sono “competente”?
Nella faticosa approvazione in prima lettura della riforma del Senato sono state introdotte non poche modifiche rispetto all’impianto originario anticipato a suo tempo da Renzi. Ciò è inevitabile (si discute anche per migliorare e “venirsi incontro”) ma fra le varie buone intenzioni perse per strada una mi colpisce sfavorevolmente, ed è l’abolizione degli Statuti speciali regionali.
Il referendum scozzese, a prescindere dal suo risultato, ha scatenato speranze e data nuova linfa ai molteplici separatismi europei. Senza includere il baraccone leghista e la sua invenzione padana, nella sola Italia contiamo l’indipendentismo sardo, friulano, veneto, altoatesino (pardon: sud-tirolese), per citare solo i maggiori; i principali partiti indipendentisti europei sono rappresentati dall’European Free Alliance, sul cui sito troverete più informazioni sui membri che però – si veda in fondo a questo articolo – non esauriscono le ambizioni separatiste in Italia. Io non appartengo a comunità spiccatamente identitarie, mi sento italiano (che non è un concetto reazionario) ed europeo (che non significa essere un servo della Troika), e per ragioni familiari che non è necessario vi riveli ho forti sentimenti di compartecipazione anche verso un Paese lontanissimo dalla stessa Europa, e quindi non partecipo emotivamente a questa così forte sensazione di essere qualcos’altro, questo desiderio di marcare il proprio territorio con una divisione. Sono quindi in una condizione neutrale per fare una riflessione sul senso e sulle conseguenze dell’indipendenza della Scozia, o della Sardegna o della Valle d’Aosta. Immagino che molti lettori possono avere opinioni diverse da queste da me espresse e gradirò le loro critiche, specie se non umorali ma di carattere razionale come spero di mantenere questo articolo.
Il complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica. (Enc. Treccani)
A cosa vi fa pensare questa definizione? Sì, può essere il bar sottocasa, ma sarebbe anche una definizione di “Nazione”. Dico “sarebbe una” perché il concetto di nazione è ancora incerto, o quantomeno variabile nel tempo e nei tempi.
Di solito ci soccorre l’etimologia, che – etimologicamente parlando – sarebbe all’incirca lo studio del vero senso (etymon in greco). Ma in questo caso ci soccorre poco. Il termine trova un primo riferimento storico nel latino “natio” cioè nascita, dunque sarebbe lecito pensare che fosse riferito semplicemente a persone (o gentes, che è qualcosa di più di “persone”) che avevano in comune luogo di nascita e stirpe, dando poi al termine un senso estensivo connesso anche a lingua, religione e costumi. Dunque il concetto che abbiamo citato sarebbe simile a quello antico romano, ma se pensiamo che loro stessi non consideravano invece la romana una “natio” ma una “civitas” in quanto regolata da istituzioni e quindi di più elevato livello sociale, si comprende che parliamo di un concetto in continuo divenire che ha avuto nei tempi diverse definizioni e diverse accezioni, motivate, da un certo momento in poi, anche da esigenze “politiche”.