Il complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica. (Enc. Treccani)
A cosa vi fa pensare questa definizione? Sì, può essere il bar sottocasa, ma sarebbe anche una definizione di “Nazione”. Dico “sarebbe una” perché il concetto di nazione è ancora incerto, o quantomeno variabile nel tempo e nei tempi.
Di solito ci soccorre l’etimologia, che – etimologicamente parlando – sarebbe all’incirca lo studio del vero senso (etymon in greco). Ma in questo caso ci soccorre poco. Il termine trova un primo riferimento storico nel latino “natio” cioè nascita, dunque sarebbe lecito pensare che fosse riferito semplicemente a persone (o gentes, che è qualcosa di più di “persone”) che avevano in comune luogo di nascita e stirpe, dando poi al termine un senso estensivo connesso anche a lingua, religione e costumi. Dunque il concetto che abbiamo citato sarebbe simile a quello antico romano, ma se pensiamo che loro stessi non consideravano invece la romana una “natio” ma una “civitas” in quanto regolata da istituzioni e quindi di più elevato livello sociale, si comprende che parliamo di un concetto in continuo divenire che ha avuto nei tempi diverse definizioni e diverse accezioni, motivate, da un certo momento in poi, anche da esigenze “politiche”.
Occorre anche tornare un attimo alla definizione iniziale per chiarire che per entità giuridico politica si intende quello che chiamiamo Stato, la cui presenza è autonoma e non è essenziale alla Nazione, anche se è vero che senza Stato la nazione rimarrebbe come uno spirito senza corpo.
Stato significa anche potere e quella sovranità che si esplica sui componenti della Nazione ma anche nei confronti delle altre Nazioni e/o Stati.
La coincidenza tra il “popolo”, che compone la nazione e lo stato avviene in modo storicamente rilevante con la Rivoluzione francese.
Nel secolo successivo infatti il concetto di nazione diventa quello di un soggetto politico unitario in cui assume prevalenza unificante il “popolo” e dunque la cittadinanza e il territorio. Nel secolo XIX prende forma e sostanza il concetto di ”Patria” (ma anche di “nazionalismo”).
Di fatto l’attualità storica vede prevalere con pochissime eccezioni le forme di Stato-nazione, e tuttavia è opportuno tenere sempre presente – come poi vedremo – la differenza tra le persone che formano la nazione e l’istituzione che ne regola la convivenza. Non a caso sui documenti leggiamo “nazionalità” e “cittadinanza” di cui non devo certo spiegare le differenze. E non devo neppure segnalare l’erroneità di accomunare in un unico significato nazione (persone), paese (territorio) e stato (istituzioni amministrative).
Ai tempi nostri possiamo ancora riconoscere come base delle identità nazionali le caratteristiche che possono unire persone che hanno in comune almeno alcune caratteristiche di stirpe, lingua, storia, cultura, religione (a prescindere dalla praticanza effettiva), ma è essenziale la coscienza (e dunque la volontà) di costituire un’unica entità etico-sociale.
Quella che infatti non mancò mai nell’Italia di dolore ostello soprattutto negli uomini che nelle arti, nella letteratura e in tutte le manifestazioni della cultura la rappresentarono anche nell’epoca della sua massima “parcellizzazione” delle tante sovranità locali. Si tratta di un aspetto di grande rilievo, poiché è fuori di dubbio che il concetto di nazione, e ancor più la coscienza di ciò che esso significa, è sicuramente tra quelli che hanno trovato germoglio nelle persone di più elevato livello culturale. Asserzione che trova alta e sicura testimonianza, per quanto ci riguarda, nel Risorgimento italiano, sia pure al netto della discutibile strategia politica sottostante.
Abbiamo fatto un po’ di teoria (con poche righe di farina del mio sacco) ma passando finalmente dal teorico al pratico e guardandosi intorno (twitter compreso) qualcuno vede tracce consistenti di questa coscienza (in molti giovani totalmente assente o sostituita da indifferenza) ma soprattutto di questa volontà (che non può che essere un momento successivo alla coscienza)?
Io ne vedo poche. Anche perché vedo pochi barlumi di conoscenza dell’argomento.
Chi volesse fare riferimento al tifo sportivo per gli “azzurri” farebbe un errore pacchiano essendo evidente che il sentimento è spesso il medesimo che muove episodi di inconcepibile violenza anche in agoni non internazionali.
Se poi mi azzardassi (e in tal caso lo farei con convinzione) a parlare di Patria, so che verrei deriso e compatito (sentimenti che a buon conto ricambierei con sovrapprezzo).
Che origini ha questa deriva antinazionalista? Sicuramente possiamo riconoscerne alcune attuali: una è quella di non distinguere tra nazione e stato e dunque coinvolgere tout court la nazione nelle critiche di inefficienza, incompetenza e disonestà rivolte giustamente alle istituzioni, che però sono solo espressione politica e amministrativa dello Stato (e dunque situazione marxianamente contingente, in termini di materialismo storico tornato di moda).
Un’ altra è quella di aver trasformato (non da oggi) il confronto politico in quella che Crozza ha tragicomicizzato in uno sketch come “ … una guerrrraaaaaa!” e quindi di fomentare nei peggiori seguaci un odio che non troverebbe neppure valida motivazione ideologica nei noti ed emblematici steccati e schieramenti del secolo ormai scorso.
Considero anche rilevante il contributo negativo di un’informazione della carta stampata ma soprattutto della TV che ha individuato nelle bagarres dei talkshow la fonte prevalente dei record di ascolti, finalizzati a meri e cinici interessi commerciali.
Sembra in effetti che la Globalizzazione sia nemica naturale della Nazione.
Tutto questo, aldilà delle contingenti, ma non trascurabili, difficoltà derivanti da una lunga e dura crisi economica particolarmente e crudelmente acuta, ha alimentato sentimenti e manifestazioni di protesta che evidentemente in persone non use all’equilibrio e al raziocinio mirano, anche se fosse solo a parole, alla distruzione non solo del palazzo, ma anche delle sue fondazioni, che nel caso della nazione sono le radici storiche e culturali comuni anche se differenziate nel folklore delle diverse tradizioni popolari.
Leggo e sento di molti che vorrebbero andare altrove e altri che lo hanno già fatto, e, aldilà della tiritera sulla fuga dei cervelli, non ci trovo nulla di male poiché la nazione non è una gabbia e andare a vivere in un altro “paese” non significa in alcun modo assumere un’altra nazionalità, ma, semmai, se si vorrà e potrà, un’altra cittadinanza. Almeno fino alla generazione futura. Il cimitero americano in Normandia è pieno di croci con nome italiano.
Mi infastidisce invece (e uso un eufemismo solo per rispetto dell’espressione scritta del mio giudizio) chi, a proposito della propria nazionalità, usa, dimostrando di non esserne dotato, il termine vergogna.
Contributo scritto per Hic Rhodus da Manrico Tropea Calabrese nato a Milano; mi vanto di aver preso le caratteristiche migliori da entrambe le circostanze!