Per andare avanti nella nostra esplorazione sulla possibilità (e i limiti) della conoscenza sociale, dobbiamo fare una digressione sulla complessità.

Per andare avanti nella nostra esplorazione sulla possibilità (e i limiti) della conoscenza sociale, dobbiamo fare una digressione sulla complessità.
Tutti concordi, di fronte al penoso spettacolo dell’elezione del Capo dello Stato: questi politici sono inadeguati. Ok, ma dobbiamo chiederci perché mai lo siano…
La bagarre in aula sul ddl Zan è uno specchietto per le allodole, una grande finzione simbolica da parte di una politica che non conta, non sa contare, non è rilevante sui problemi cruciali del Paese.
Nessuno può governare la complessità sociale a livello globale. Ciascuno di noi non può che attendere, impotente, ciò che accadrà, che sia un asteroide, un terrorista islamico o Rita Pavone al festival.
Il concetto di “complessità sociale” è fondamentale per comprendere che non possiamo arrivare ad alcuna verità…
I programmi populisti: cantonate fantasiose, falsi e improbabili scorciatoie alla realtà. Per questo vinceranno.
La percezione che il mondo vada a rotoli non è poi del tutto sbagliata. La domanda è: perché? Noi siamo parte di questo disastro? Cosa possiamo fare?
È noto che le funzioni delle avanguardie riguardano il progresso (o una sua idea), il superamento del vecchio (o ritenuto tale), l’innovazione. Senza qualcuno che insiste nella sua idea, credendola buona e rischiando per essa, resteremmo perennemente fermi nelle convinzioni, nelle tecnologie, nelle soluzioni che già furono dei nostri padri e nonni, collettivamente rassicurati dal fatto che se hanno funzionato per loro funzioneranno anche per noi. Ed effettivamente, in un certo senso, è proprio così. Quando si moriva a quarant’anni per mancanza di farmaci non si pensava che infilandosi inquietanti aghi nelle vene si sarebbe potuti vivere… chissà? Fino a cinquant’anni, forse addirittura sessanta! E doveva essere pazzo chi si assoggettava a tali punture! La stessa cosa vale per la scienza in generale, per l’arte, la filosofia, la politica e non si creda che non valga anche per i piccoli comportamenti quotidiani che ci riguardano. Il termine |avanguardia| è particolarmente legato ai gruppi sperimentali artistici fra fine ‘800 e ‘900, riprendendo dal linguaggio politico rivoluzionario dell’epoca; qui verrà utilizzato in senso più generale e politicamente neutrale nel senso di individui o gruppi con idee innovatrici contrapposto a mainstream, omologazione, potere culturale costituito. La riflessione che voglio proporre riguarda la necessità delle avanguardie anche politiche, e la difficoltà crescente che possano emergere nell’epoca contemporanea.
Ho accennato un sacco di volte, in miei articoli passati, al concetto di ‘complessità’ come elemento che spiegherebbe situazioni sociali ed economiche particolarmente ingarbugliate della nostra epoca. In questo articolo cerco di spiegarvi di cosa si tratta perché, veramente, se non capiamo la complessità, e le sue conseguenze, non riusciamo a spiegarci il mondo e restiamo schiavi di pregiudizi, stereotipi, posizioni ideologiche. Specialmente di posizioni ideologiche.
Prendo spunto dalla recente vicenda Aldrovandi per parlare in realtà dell’atomizzazione sociale che sta attraversando la nostra società, della frammentazione delle appartenenze, dell’irriducibilità dei presunti diritti contrapposti. Inizio da Androvandi ma parlerò poi di politica, di economia, di un mucchio di cose perché il tema che voglio affrontare è generale, trasversale, ammorba tutto e tutti e come una malattia tardivamente riconosciuta e mal curata sta disgregando il tessuto connettivo della nostra società.