Morale liquida nella società globale. Altrimenti detto: perché siamo tutti più stronzi

Osservazione preliminare: pare (poi vedremo se è vero) che ne succedano di tutti i colori. Aprite il giornale: pestato a sangue in discoteca; ammazzato perché intralciava con la macchina; insulti terrificanti a Boldrini, di una grevità che suscita ribrezzo per la 89fghjkm,òuytresxcvbnmlp8.001ricerca di immagini e parole incisive; spiagge delicate e stupende devastate da turisti cafoni;  bagni in fontane storiche; graffiti ovunque; donna uccisa e poi tagliata a pezzi per smaltirla più facilmente; pipì nei cestini dei rifiuti; amplessi in pubblico; gente che gira nuda in città; animali ammazzati per gioco. Non si può più neppure parlare di “buona – o cattiva – educazione”, farebbe ridere i polli. La buona educazione è dire “Buongiorno signora”, “Grazie” e “Scusi”, parole da cancellare dal dizionario perché desuete. Qui siamo ben oltre, siamo alla rissa per uno sguardo, all’uso smodatamente provocatorio della parola, al vandalismo gratuito e continuo, al faccio-quello-che-mi-pare. Questa è la percezione, amplificata probabilmente dai media che in questo periodo non parlano d’altro. La sensazione è di sottile violenza, grossolanità delle persona, egotismo imperante; l’umanità come sciame di cavallette che tutto distrugge al passaggio. La gente (nel senso: “gli altri”, quasi tutti al di fuori dei lettori di HR) è sempre più ignorante; più auto-centrata; più disponibile a giudizi tranchant; più litigiosa. E’ vero?

Verifica empirica: vediamo innanzitutto se l’impressione è fondata. Prendiamo l’Istat; dal 1980 al 2014 sono registrati questi delitti (arrotondamenti miei molto grossolani, per evidenziare i trend):

  • omicidi volontari consumati da 1.500 a 500 circa;
  • lesioni personali volontarie da 30.000 a 65.000 circa;
  • violenza sessuale da 1.000 a 4.500 circa;
  • furti da 800.000 a 1.550.000 circa;
  • rapine da 10.000 a 40.000 circa;
  • estorsioni da 2.000 a 7.000;
  • TOTALE delitti, da 1.100.000 a 2.800.000;
  • presenti in istituto di custodia cautelare da 25.000 a 45.000 circa.

Non c’è male. Se gli omicidi volontari sono drasticamente calati (come i sequestri di persona, i delitti mafiosi, le rapine in banca…) sono contemporaneamente aumentati i furti  e le rapine in casa, la pedopornografia, percosse e lesioni eccetera. Azzardo: cala la malavita professionista, organizzata; cresce quella diffusa sul territorio assieme alla maggiore tendenza degli individui a lasciarsi coinvolgere in reati minori, risse e violenze. Non vorrei trattare ora la questione degli immigrati e del contributo che danno alle statistiche sulla criminalità. Questo contributo c’è, è significativo, per certe nazionalità anche davvero importante, ma è in buona parte anche il frutto della maggiore facilità con la quale i migranti rischiano di delinquere, anche semplicemente per trasgressione alla attuale normativa o per banali furti. Certamente il fenomeno è in crescita; scrive il sociologo Barbagli:

La crescita dei reati degli immigrati non vi è stata per tutte le attività illecite né a tutti i livelli a cui queste vengono di solito svolte.  Nel sistema di stratificazione sociale del nostro paese, gli immigrati si trovano ancora nei gradini più bassi. E dunque essi sono esclusi dalle possibilità di commettere determinati tipi di reati che hanno  gli appartenenti ai ceti più elevati: deputati e ministri, assessori e sindaci, imprenditori e dirigenti di azienda, farmacisti, avvocati e medici. Questo tuttavia non significa che, nel sistema di stratificazione della attività illecite, gli immigrati occupino solo le posizioni più basse e meno remunerative. Certo, le rapine contro le banche, gli uffici postali e le gioiellerie continuano ad essere compiute quasi esclusivamente dagli italiani, così come sono ancora saldamente nelle mani degli italiani i settori tradizionalmente controllati dalla criminalità organizzata. Ma nel mercato degli stupefacenti, nel contrabbando, nel traffico di clandestini, nello sfruttamento dei minori e della prostituzione, gli immigrati occupano spesso anche posizioni medio alte, in termini di potere e di ricompense economiche.

In ogni caso al momento i numeri non si prestano ancora a evidenze del tipo “immigrato → delinquenza” ed è sbagliato insistere su questo tasto (alcuni dati sintetici e chiari QUI e QUI).

Ricerca di una spiegazione: siamo quindi più litigiosi e violenti; sulla stratosferica violenza verbale e gli odiatori in Rete non vale la pena insistere tanto è diventato noto il problema; sull’intolleranza basta leggere le cronache di questi giorni sulle discriminazioni razziali e di genere. L’analisi mostra che, indubbiamente, Internet ci ha resi molto più intolleranti e irragionevoli ma non bisogna scambiare il mezzo col contenuto, anche se sappiamo che vi è un stretta connessione fra i due. Se Internet ci permette di mostrare, in misura decuplicata rispetto a trent’anni fa, quanto siamo rozzi, stupidi e aggressivi, è perché lo siamo effettivamente, e trent’anni fa non avevamo modo di mostrare senza pudore la nostra imbecillità al mondo. Internet c’entra, indubbiamente, ma come epifenomeno della globalizzazione. La globalizzazione, che include Internet, ha prodotto un cambiamento radicale ed epocale nella cultura sociale dell’Occidente (mi limito all’Occidente per non complicare l’argomentazione…). La globalizzazione è espansione: è superamento dei confini, interrelazioni complesse e caotiche, fine degli orizzonti. Ma questa fine degli orizzonti ha rapidamente imposto un prezzo culturale di non poco conto che, per spiegare, mi impone una piccola digressione. Devo infatti introdurre sinteticamente i concetti di Intensione ed Estensione che sintetizzo in questo modo (poco ortodosso, ma al link precedente troverete definizioni più puntuali):

  • intensione è la profondità argomentativa del pensiero e la sua capacità dialettica; la diversificazione, la percezione delle differenze; la capacità di comparare e differenziare, e quindi di intendere concetti complessi; l’intensione ha a che fare col senso (semantica)
  • estensione è la diffusione del pensiero e degli argomenti; l’uniformità, la somiglianza tramite proprietà comuni. Per certi aspetti l’estensione è prodromica del concetto di verità. Ha a che fare col significato (sintattica).

Intensione ed estensione; come la globalizzazione ci ha fregati. Messi in gioco i vari concetti che ci servono possiamo arrivare a una spiegazione esplicativa. Appare ovvio che la globalizzazione sia estensione: il mondo è sempre più (in parte, a volte solo apparentemente, con molte sottolineature e digressioni importanti che qui non si possono fare) uguale. Possiamo andare ovunque. Possiamo mangiare qualunque cosa in qualunque periodo dell’anno. Possiamo vestire come vogliamo. Posso comperare un libro in America, un giaccone in Scozia, una bibita in Giappone e il tutto mi arriverà a casa entro due o tre giorni. Mangiamo sushi come i giapponesi mentre i cinesi si fanno chirurgicamente gli occhi tondi come gli occidentali. Impariamo parolacce dai film americani e insegniamo i nostri gesti ai nord europei. La globalizzazione dei mercati, e Internet, hanno allargato enormemente il mondo e l’hanno reso più uguale, e sempre di più l’omologazione dei consumi, del linguaggio, dei gusti sarà un dato di fatto. Ma questa estensione è avvenuta a scapito dell’intensione (è quasi una regola: maggiore estensione = minore intensione; e viceversa): capiamo meno, elaboriamo meno, concettualizziamo meno. Facciamo più esperienze ma le capitalizziamo in maniera superficiale; viaggiamo di più senza comprendere i luoghi che visitiamo; comunichiamo moltissimo entro reti fittissime di scambi, ma in maniera sempre più stereotipata e irriflessiva.

Perdendo lo spessore intensionale perdiamo la nostra capacità elaborativa del senso storico in cui siamo inseriti, in un continuo presente in cui i valori diventano sottili, trasparenti, fungibili. I valori (e quindi quell’insieme più o meno coerente che chiamiamo “morale”) diventano opzioni; sono cangianti, provvisori, negoziabili in una maniera e con una velocità mai vista prima. Siamo immersi in una morale liquida dalla quale uscire gocciolanti di guazzabugli sincretici, di credenze provvisorie, di disincanto opportunista. Tutto questo, io credo, è per certi versi necessario alla società globale, almeno in questa fase di transizione. O, almeno, ne è funzionale. Ma il prezzo da pagare è alto sotto il profilo della tenuta sociale; come ho spiegato un’altra volta siamo entrati nell’epoca dei legami deboli e della scomparsa del futuro; ciò implica valori “orizzontali”: io uguale a te e quindi scarsamente disponibile a mediare e negoziare con te; io in un continuo presente e quindi alla ricerca edonistica di un’effimera soddisfazione immediata; io nel gorgo della complessità, e quindi lacerato, e quindi meno capace di empatia e responsabilità.

Tutto questo ha che fare con molteplici fenomeni dei nostri giorni: dalla litigiosità dalla quale siamo partiti al populismo di massa; dall’odio riversato sui social al turismo spazzatura e ignorante che distrugge città e monumenti.

Come evolverà tutto questo? Impossibile a dirsi, almeno per me. I legami sociali forti non possono essere stabiliti per decreto; il recupero dell’orizzonte temporale e dell’appartenenza storica non può essere oggetto di una tavola rotonda. La globalizzazione poi, non è affatto il male; è ricchezza di opportunità e di conoscenza e di comunicazione, ma la sua fruizione è complicata e riservata a élite consapevoli. Tutti possono scrivere bestialità su Facebook, ma sta ai saggi sapere discernere. Tutti possono andare a Venezia, ma sta ai colti capire il suolo che calpestano. Tutti possono fare politica, ma sta ai consapevoli comprendere il disegno più ampio. Se non vogliamo relegare i saggi, i colti e i consapevoli in una riserva indiana occorre investire moltissimo nella scuola, nella ricerca e nell’Università. Molto più di moltissimo, e per numerosi anni. Occorrono leggi di educazione civica, di uguaglianza e inclusione, di prospettiva e di razionalità. Occorre che tutti i capaci si prendano delle responsabilità e insistano con una continua testimonianza. Se poi tutto questo possa bastare o no, non lo so e non avrò modo di vederlo.