1^ parte – Le avanguardie politiche
È noto che le funzioni delle avanguardie riguardano il progresso (o una sua idea), il superamento del vecchio (o ritenuto tale), l’innovazione. Senza qualcuno che insiste nella sua idea, credendola buona e rischiando per essa, resteremmo perennemente fermi nelle convinzioni, nelle tecnologie, nelle soluzioni che già furono dei nostri padri e nonni, collettivamente rassicurati dal fatto che se hanno funzionato per loro funzioneranno anche per noi. Ed effettivamente, in un certo senso, è proprio così. Quando si moriva a quarant’anni per mancanza di farmaci non si pensava che infilandosi inquietanti aghi nelle vene si sarebbe potuti vivere… chissà? Fino a cinquant’anni, forse addirittura sessanta! E doveva essere pazzo chi si assoggettava a tali punture! La stessa cosa vale per la scienza in generale, per l’arte, la filosofia, la politica e non si creda che non valga anche per i piccoli comportamenti quotidiani che ci riguardano. Il termine |avanguardia| è particolarmente legato ai gruppi sperimentali artistici fra fine ‘800 e ‘900, riprendendo dal linguaggio politico rivoluzionario dell’epoca; qui verrà utilizzato in senso più generale e politicamente neutrale nel senso di individui o gruppi con idee innovatrici contrapposto a mainstream, omologazione, potere culturale costituito. La riflessione che voglio proporre riguarda la necessità delle avanguardie anche politiche, e la difficoltà crescente che possano emergere nell’epoca contemporanea. Poiché il ragionamento che intendo sviluppare è abbastanza lungo l’ho diviso in due parti, immaginate per essere lette in sequenza. In questa prima metto in campo i concetti fondamentali del tema “avanguardia/innovazione politica”; difficoltà a realizzare oggi una reale innovazione politica, cause di tali difficoltà e comunque la necessità di evitare l’omologazione almeno in un ambito politico ristretto e quotidiano saranno temi sviluppati nel secondo capitolo.
Il ruolo delle avanguardie è molto evidente nello sviluppo del pensiero scientifico dove si alternano, secondo T.S. Kuhn fasi di scienza “normale” a vere “rivoluzioni scientifiche” in grado di cambiare paradigma in maniera radicale. Il funzionamento di questa transizione è caratterizzato dalla capacità argomentativa (in particolare nelle scienze sociali) o dalla formulazione di leggi non confutabili al momento (nelle scienze “della natura”). L’introduzione di un nuovo paradigma non è indolore, non è semplice, non è necessariamente destinato al successo. In epoche lontane, in cui il metodo sperimentale era lontano dall’essere introdotto e perfezionato, si trattava si convincere in maniera dialettica e in parte empirica della bontà delle proprie idee in alternativa a quelle vigenti e in conflitto col sistema di potere costituito attorno ad esse. La storia di Galileo è emblematica in proposito e dovete permettermi una digressione su questo campione del pensiero scientifico, continua fonte di ispirazione per quanto mi riguarda.
Siamo nei primi del ‘600, fra Venezia, Firenze e Roma, e la dottrina della Chiesa – appoggiandosi su un passo peraltro non chiarissimo del “Libro di Giosuè (X, 12-13)” – difende il sistema tolemaico come cosmogonia conforme al pensiero religioso. Copernico ribalta quel sistema e toglie la Terra dal centro dell’universo collocandovi il Sole. In Italia Galileo Galilei, fisico e astronomo, e matematico, e altro ancora, sostiene l’intuizione copernicana con osservazioni dirette delle evoluzioni di alcuni satelliti di Giove e delle fasi di Venere, fenomeni celesti interpretabili solo al di fuori del sistema tolemaico. Perché la Chiesa è ostile a Copernico e a Galileo, finendo col denunciarli come eretici? Perché la Terra (e l’uomo) al centro del’Universo significa la Chiesa al centro della Terra e il suo potere temporale al centro di tutto. E di converso dubitare del Libro di Giosuè – ovvero dell’interpretazione semplicistica che se ne faceva ad uso del volgo ingenuo – significa incrinare più in generale la fede nelle Scritture, e quindi nella Chiesa, e quindi in quel potere spirituale e temporale; seminare il dubbio, lo scetticismo e il relativismo è sempre stato il più grave attentato a tale potere, in tutte le epoche, e dal ‘600 al ‘700 si è consumata una lotta intensa in questo senso, fra menti libere che anelavano alla ricerca e poteri repressivi che cercavano di impedirla.
Ebbene: Galileo vede la verità attraverso il suo cannocchiale; basta guardarvi dentro per capire che le sfere celesti tolemaiche non possono esistere:
GALILEO: […] Se lor signori sono d’accordo, potremmo incominciare con l’osservazione dei satelliti di Giove, le nuove stelle medicee?
FILOSOFO: […] Prima di far uso del vostro celebre occhiale, signor Galilei, gradiremmo la cortesia di una disputa sul tema se questi pianeti possano realmente esistere.
MATEMATICO: Una disputa secondo le regole.
GALILEO: Permettetemi un consiglio: cominciate col dare un’occhiata. Vi convincerete subito.
MATEMATICO: Certo, certo… Naturalmente voi sapete che, secondo le teorie degli antichi, è impossibile che esistano stelle ruotanti intorno a un punto centrale diverso dalla terra, nonché stelle mancanti di sostegno fisso nel cielo?
GALILEO: Sì.
FILOSOFO: E, a prescindere dalla possibilità che tali stelle esistano, possibilità che il matematico (s’inchina al matematico) sembra porre in dubbio, potrei io, nella mia modesta qualità di filosofo, rivolgervi un’altra domanda, e cioè: sono queste stelle necessarie?
GALILEO: E che avverrebbe se Vostra Altezza potesse ora osservare quelle stelle impossibili e non necessarie per mezzo di questo occhiale?
MATEMATICO: Si potrebbe essere tentati di rispondere che un occhiale che ci mostra cose poco probabili, non può essere che un occhiale poco attendibile, nevvero?
GALILEO: Che intendete dire?
MATEMATICO: Che sarebbe molto più utile alla discussione, signor Galilei, se voi ci esponeste gli argomenti da cui siete indotto a supporre che, nella suprema sfera dell’immutabile cielo, possano darsi stelle ruotanti liberamente.
FILOSOFO: Argomenti, signor Galilei: argomenti!
Il dialogo continua ancora per un po’, con la sconfitta di Galileo che non riesce a far porre l’occhio nel cannocchiale ai suoi interlocutori, che anziché voler trovare la verità guardando, chiedono un’argomentazione preliminare impossibile da fornire tramite le loro categorie mentali. Il dialogo è tratto dalla “Vita di Galileo” di Brecht, IV scena e riprende un fatto vero: il filosofo Cremonini, infatti, rifiutò di accostare l’occhio al cannocchiale per non dover dubitare delle teorie aristoteliche (appoggiate dalla Chiesa, che ponevano la Terra al centro dell’universo).
Le avanguardie sono il sale anche dello sviluppo artistico, pensiamo solo ai movimenti innovativi fra fine ‘800 e ‘900 nella pittura e nella letteratura e alla loro influenza nella società e nella politica. Ed è appunto alla politica che voglio arrivare perché in diverse stagioni della nostra storia anche in questo campo ci sono stati innovatori straordinari che hanno avuta una visione, colta una possibilità storica, immaginata una più ampia rappresentazione del mondo, del loro Paese e del loro ruolo: in Cina Deng Xiaoping è stato uno straordinario artefice del superamento dell’abisso maoista verso una società moderna quale conosciamo oggi. Roosevelt in America col suo New Deal e la visione geopolitica all’epoca decisamente innovativa; Adenauer, De Gasperi, Monnet e gli altri padri fondatori dell’Europa moderna sono stati dei giganti, se si pensa alle macerie della guerra appena combattuta nel nostro continente e alla loro capacità di indicare una strada completamente nuova. Naturalmente oltre ai giganti ci sono anche i semplicemente grandi, i grandicelli e i più piccoli innovatori che lasciano minor traccia, semmai solo locale, della loro capacità di interpretare in maniera differente l’epoca in cui vivono, capaci inoltre di giocare la loro personale credibilità e di spendere le proprie energie in un’avventura incerta al servizio della propria comunità.
Per ogni innovatore che si impone, vince, e viene poi osannato, ce ne sono diversi che provano e falliscono, non necessariamente per colpa loro. Se infatti nel mondo scientifico moderno l’innovazione non ha bisogno (eccessivamente) dell’appoggio delle consorterie accademiche e della Chiesa per mostrare (alcune) proprie verità sperimentali (entro certi limiti, almeno), nel mondo politico – che significa poi il nostro mondo quotidiano – non ci sono “dimostrazioni” ma solo “argomentazioni”; non ci sono prove sperimentali ma tentativi ed errori e – per poter tentare – occorrono amici, alleati, fazioni almeno neutrali, ciascuna delle quali in attesa di un beneficio materiale o simbolico per la propria alleanza. Perché è diventato così estremamente difficile essere avanguardia innovativa in politica? Le ragioni sono state spiegate in diversi vecchi articoli su Hic Rhodus che ricordo qui per sbrigare questa parte e andare oltre. La sostanziale impossibilità a trovare un grande leader come quelli sopra menzionati riguarda almeno le seguenti questioni:
- il tema dell’enorme complessità sociale che impedisce di costruire percorsi lineari e condivisi di innovazione (ne ho parlato in questo articolo);
- le conseguenze materiali, tecnologiche, sociali e geopolitiche di tale complessità avvenute circa un venticinquennio fa creando una frattura fra un “prima” e un “dopo” storico, gravido di conseguenze negative specie per il nostro Paese (ne ho parlato in questo articolo);
- per quanto riguarda l’Italia: un’antropologia segnata da eredità storiche negative che hanno inciso in modo particolare sul carattere nazionale (ne ho parlato in questo articolo).
Il pantano nel quale ci siamo cacciati ha origini lontane (nei vari link fin qui proposti troverete vari riferimenti) ma ha visto in questi ultimissimi anni due tentativi significativi di superamento, almeno parziale, nelle figure politiche di Grillo e Renzi e nei rispettivi programmi e azioni politiche. So che per molti ho confuso diavolo e acqua santa (o due diversi diavoli, chissà…) ma sgomberando la mente dalle proprie convinzioni di parte, e senza considerare per un momento i fallimenti di entrambi, a me appare chiaro che in forme differenti se non antitetiche entrambi abbiano provato (e con minor slancio ancora tentano) a dare una scossa profonda a modi vecchi di intendere la cosa pubblica, la politica e il suo linguaggio. Poiché anche di questo se n’è già parlato su HR, e sono ancora alle premesse rispetto al discorso che intendo fare, mi permettete di segnalare vecchi articoli che andrete a leggere se interessati:
Sono entrambi critici, così ho rispettato la par condicio, ma lasciano intendere perché e in che senso rappresentano delle discontinuità e perché, purtroppo, Grillo ha decisamente fallito e Renzi è lì lì per fare altrettanto.
Sgomberato il campo dalle tante premesse concettuali che mi servivano, vi rimando ora alla seconda parte di questo post dove potrò discutere sulle cause generali della difficoltà contemporanea all’innovazione politica e lo spazio (esiguo) per la risposta individuale dettata dalla responsabilità.