2) La società umana è inconoscibile (in modo finito) – Parte I

Questo testo fa parte di una serie; la presentazione del lavoro e l’introduzione generale la trovate QUI.

Il primo capitolo lo trovate QUI (parte I) e QUI (parte II).

Tutta la serie la trovate cliccando l’hashtag #dossier-metodo.

2.1) Tutta la complessità del mondo

Se io sono “mosso” e complesso, il mio linguaggio è vago e ambiguo, eccetera, cosa succede a livello sociale? Che le complessità si moltiplicano indefinitivamente. La società è relazione, l’individuo esiste in quanto in relazione. Ma la relazione fra micro-complessità  non può che generare una macro-complessità.

I molteplici Ego di ciascun individuo, nel variare dei momenti in cui scorre (‘scorre’, fluisce nel tempo più che nello spazio), si riverbera negli Ego altrui, nel loro processo di scorrimento. Utilizzando l’immagine della fotografia “mossa”, fatta nel precedente capitolo, questo continuo fiorire di relazioni sociali è come un insieme di fotografie mosse scattate da fotografi mossi.

E poiché ogni interazione è un elemento di scelta, variazione, mutazione, diversificazione, reazione, ecco spiegata la complessità sociale; il mondo sociale è un mondo in cui tutto, continuamente, muta, sulla spinta di otto miliardi di persone che fanno continuamente qualcosa che modifica l’ambiente attorno a loro: io, personalmente, seduto davanti al mio computer, le modifico poco, mentre Putin, in questo momento, le modifica impetuosamente. Ma anche se la stragrande maggioranza degli esseri umani modifica l’ambiente più o meno come me, vale a dire pochissimo, solo localmente, senza elementi eclatanti, queste micro-modifiche moltiplicate per otto miliardi producono un caos inestricabile.

Per comprendere appieno la complessità sociale occorre richiamare due considerazioni: la prima riguarda il fluire storico, la seconda il fatto che le interazioni sono un elemento di complessificazione in loro stesse. Vediamo.

Fissando “Ora” come momento di analisi della complessità sociale, con un artificio esclusivamente didattico, e supponendo – sempre al servizio dell’artificio – che sia possibile descriverne tutte le componenti (tutti gli otto miliardi di esseri umani, nei loro rispettivi Ego, nelle loro situazioni al momento chiamato ‘Ora’), dovremo gettare nel cestino il lavoro al momento successivo, che chiamiamo “Ora-1”, perché ciascuno degli otto miliardi è andato da un altra parte; non tutti, ovviamente, ma quel che importa considerare è che chi si è mosso non lo ha fatto necessariamente in maniera lineare, come il runner al parco, per capirci. I tanti Ego di cui abbiamo parlato (par. 1.4) hanno in parte proseguito nella loro azione nel medesimo contesto, col medesimo Ego, ma molti altri hanno fatto risalire altri Ego, con altre visioni del contesto in cui stanno agendo, e quindi deviando dal percorso, se così (malamente) posso esprimermi, facendo fra le altre cose cadere la capacità predittiva – a livello individuale – della nostra analisi al momento ‘Ora’.

Poi, come ho accennato, le interazioni sono in loro stesse un elemento di complessità perché modificano il contesto (ogni nostra azione modifica il contesto). 

La complessità sociale è quindi il prodotto fattoriale degli otto miliardi di esseri umani moltiplicati gli Ego in uso, le interazioni, le parole usate, gli accadimenti, etc. Non esiste un numero finale, e sarebbe sciocco cercare di calcolarlo, o stimarlo, perché oops!, siamo al momento “Ora-2” e bisogna ricominciare daccapo.

Quindi, non solo i singoli individui sono, in parte almeno, non prevedibili in quanto “mossi” e in movimento, ma lo è anche la società nel suo complesso.

2.2) Eppure comprendiamo la società

A questo punto il lettore critico potrebbe obiettare che gli individui saranno pure “mossi”, e la società ipercomplessa, e che sì, le scienze sociali non sono così precise come quelle fisiche ma, insomma, una comprensione generale della società umana l’abbiamo; abbiamo teorie sociali che ci spiegano perché le persone fanno certe cose e non altre, e la validità di queste teorie è che hanno un certo grado di predittività (se no non sarebbero teorie). Ebbene, questa obiezione sarebbe da accogliere solo molto parzialmente e con così tante precisazioni da allontanare assai le teorie sociali da quelle delle scienze della natura.

Per non affrontare troppi lunghi ragionamenti andiamo diretti al punto; se le scienze sociali avessero davvero un discreto grado di capacità predittiva, gli economisti sarebbero gli uomini più ricchi del mondo, i sociologi governerebbero e, probabilmente, gli psicologi manovrerebbero entrambi. Ma sappiamo bene che non è così; ad ogni crisi economica c’è qualche economista che alza il ditino per esclamare “Io l’avevo detto!”, ma quel tizio invocò la sua verità in un mare di altri suoi colleghi che quella crisi non avevano affatto previsto; e solo dopo, a crisi acclarata, si affannano tutti a spiegarla, sovente con opinioni differenti, facenti capo a teorie e scuole alternative. E l’economia è notoriamente la scienza sociale più formalizzata. Gli psicologi poi (ampliando il termine anche alle psicologie dinamiche) sono frazionati a loro volta in miriadi di scuole, ciascuna che intende spiegare determinate patologie – per esempio – in una determinata cornice, e “curarla” con strategie diversissime (pensiamo per esempio all’autismo e al continuo mutare delle spiegazioni e delle terapie). L’analisi psic[o]analitica dura anni, produce indubbiamente qualche beneficio, ma chi si abbandona alla religione e al misticismo ottiene spesso gli stessi risultati a prezzi assai inferiori. E stendiamo un velo sui sociologi, le cui teorie sono sovente considerazioni da uomo della strada razionalizzate secondo retoriche accademiche che aiutano, a volte, nella comprensione, ma rarissimamente nella spiegazione, specie dei fenomeni complessi, e salvo livelli abbastanza generali.

Consideriamo un momento questi “livelli abbastanza generali”.

E’ piuttosto evidente che tutti gli individui di un medesimo gruppo culturale, sociale, locale, siano “più o meno simili”, e che facciano (più o meno) le stesse cose. Tutti vogliamo fare tre pasti al giorno, essere felici, benestanti, in salute; come si declina questo benessere dipende dalle diverse culture per la semplice ragione che i nostri concetti (inclusi quelli di ‘benessere’, ‘felicità’ etc.) nascono sulla base di schemi mentali costruiti, in ciascuno di noi, sulle esperienze fatte. Poiché i ragazzi romani vivono nella stessa città, nella stessa epoca, vanno in scuole con i medesimi programmi, tifano presumibilmente per la stessa squadra, mangiano gli stessi spaghetti all’amatriciana, chattano sugli stessi social media, è quindi abbastanza facile descriverli, all’ingrosso, con una certa attendibilità. Poi ci sono differenze di genere, per esempio, e ancora è facile immaginare teorie per differenziare la descrizione dei giovani romani dalle giovani romane. Poi ci sono differenze sociali eclatanti, per esempio fra giovani dei Parioli e di Tor Bella Monaca, poi fra chi intraprende studi tecnici o umanistici, e insomma l’osservazione delle differenze più eclatanti, con aggiunta di una discreta mole di esperienze empiriche, aiutano a formulare descrizioni, ipotesi, e quindi teorie comportamentali sui giovani romani. Quei giovani, nelle diverse sotto-articolazioni (di genere, economiche, etc.) hanno schemi mentali simili, elaborano concetti simili, vedono la realtà in maniera abbastanza simile e si comportano di conseguenza. Le diversità eclatanti sono spesso ignorate dai sociologi perché fuori dalla parte centrale della gaussiana, quella che spiega il 95% del mondo.

Già i giovani di Palermo sono un po’ diversi, i giovani cinesi ancora di più, i giovani testimoni di Geova, scout, omosessuali, abusati, figli di boss della mala, con deficit cognitivo, scampati al bombardamento di Mariupol, con patologie congenite etc., ecco, tutti questi presentano dei tratti personologici significativamente differenti dalla media generica dei romani perché hanno percorso (quasi di regola: non per loro merito o colpa) delle strade molto specifiche, che hanno prodotto schemi mentali leggermente diversi ed elaborato concetti specifici. Costoro, solitamente, sono nelle code della gaussiana e il ricercatore sociale rubrica le loro risposte divergenti nella categoria “Altro”, e la nostra conoscenza generale della società risulta, alla fine, confermata.

(Continua…)

(Foto di Claudio Bezzi)