La Francia jupitérienne e l’Italia consociativa: due modelli inefficaci per la democrazia

La mia pressoché totale mancanza di sintonia col mondo si manifesta, fra le altre cose, nell’impossibilità di trovare, nei brutti quotidiani italiani, approfondimenti sui temi che a me interessano. Io sono convinto di essere interessato a questioni straordinariamente importanti (sono probabilmente fissazioni senili) che non trovo spiegate e dispiegate come io vorrei, ma che c’entra? Io mi interesso anche di poesia fidenziana e maccaronica, della burchiellesca e della leporeambica, che probabilmente non sono nelle prime dieci priorità di alcuno dei miei lettori, quindi sarò certamente sbagliato io. Come rimediare alla penuria di riflessioni su temi per me essenziali, se non argomentando ad alta voce, così, per rischiarare le mie idee e semmai incappare nel cortese commento di un lettore meno fissato di me, meno monomaniacale, che mi indirizzi caritatevolmente nel giusto binario?

Ecco allora il tema: le agitazioni in Francia per la riforma pensionistica che Macron cerca di varare. In due righe: Macron vuole portare l’età pensionabile da 62 a 64 anni; ma poiché guida un governo di minoranza e sa di non avere i voti in Parlamento, si è appellato a una norma costituzionale francese che gli permette di imporre tale innalzamento dell’età lavorativa senza discussione e voto parlamentari (maggiori informazioni QUI). In Francia ciò è perfettamente legale, e assomiglia a norme analoghe che abbiamo in Italia (per esempio imporre il voto di fiducia, varare decreti-legge…). Ovviamente, “legale” non significa di per sé “democratico” o, per dirla meglio: può prestarsi a letture diverse sulla democrazia da parte degli oppositori (in Italia ogni governo che decide per decreti o legifera con voti di fiducia viene accusato dalle opposizioni di essere liberticida).

Dato questo contesto, se ne possono trarre diverse riflessioni, fra le quali una interessante è la seguente: perché in Francia si fa una mezza rivoluzione per due anni di pensionamento (partendo dall’attuale età di 62-anni-62!) e in Italia, con la riforma Fornero (e le precedenti) ci si va a 67, con ricalcolo biennale di tale soglia, e salvo qualche fischio e qualche lazzo ci siamo tutti adattati?

Ho trovato – fra le pochissime – due riflessioni interessanti in merito. Una di Giuliano Ferrara e la seconda di Mario Monti (guarda caso due moderati liberali). Scrive fra l’altro Ferrara:

La situazione francese è incendiaria ma non è seria. Può mettere capo al nulla, nel caso migliore, o al peggio, ma in prospettiva storica nessuno saprà mai che cosa gli è preso ai cugini, il diritto all’ozio non spiega tutto, il rifiuto del lavoro non fa capire fino in fondo, l’art de vivre e la joie de vivre sono sullo sfondo, c’è qualcosa di più e di diverso in primo piano, c’è un odio personale e di gruppo per le competenze, le ricchezze, l’impresa, le banche capace di deporre un regime divenuto Ancien Régime. In confronto la malmostosità italiana verso le élite, e allora Bibbiano? e altre sconcezze triviali, è una minuscola ora di cattivo umore così poco italiano. Siamo penisola priva di angoli, l’esagono è immagine di fortezza. Coltiviamo ideali e interessi flessibili, abbiamo istituzioni permeabili, porose, disfunzionali, e per questo sembra addirittura che questa inarticolata varietà sistemica di presunzione egemonica priva di reale comando, questa bolgia folle che siamo diventati, funzioni meglio della grande piramide golliana. Mah. 

Gli fa eco Monti:

La loro è una Repubblica presidenziale: il presidente ha grande forza in teoria, ma ben difficilmente può mettere in campo l’unità nazionale, come noi nella nostra modesta e imperfetta Repubblica parlamentare potemmo fare, su impulso del presidente Napolitano, con il più ampio voto di fiducia che il Parlamento abbia mai espresso e con le parti sociali dimostratesi molto responsabili. Inoltre, da noi la riforma delle pensioni non sarebbe bastata: per agire con equità e per ricostruire la fiducia dei mercati verso l’Italia, varammo — sempre in quelle due settimane — un ampio pacchetto con varie altre riforme, che gravassero in modo equilibrato sulle diverse parti politiche e sociali. Dovendo noi scontentare un po’ tutti, lo scontento riguardante le pensioni non ebbe altrettanto spazio nelle prime pagine. Macron invece ha dovuto concentrarsi «solo» sulle pensioni. Ha avuto la fortuna di creare meno infelicità complessiva di noi, ma più concentrata su una sola parte. Infine, Macron non ha avuto l’«aiuto, il terribile aiuto», di una crisi finanziaria che stava per portarci al default .

In sostanza i Nostri dicono che l’uomo solo al comando (Francia) non riesce, non può, non sa parlare al popolo, mentre la superfetazione delle mediazioni e l’intreccio bilanciato dei poteri (Italia) sì; fa fatica, spesso fa le cose a metà, ma alla fine porta a casa il risultato in un clima decente di pace sociale.

Orbene, io non sono d’accordo sulla tesi consociativa (ancorché chiamata “concertativa”), certamente non sull’uomo solo al comando, e quindi il mio dilemma attuale è come spiegare la democrazia nel terzo millennio, e dove, e come, cercare di coglierne una possibile efficacia.


Sulla diffidenza hichrhodusiana al modello consociativo si può leggere:


Preciso: è probabilmente vero che l’atteggiamento consociativo italiano è più incline a smussare angoli, cercare un consenso preventivo, evitare scontri frontali, ma una conseguenza evidente è che così si imboccano strade dove la mediocrità è elettiva, dove la logica distributiva fa premio sull’eccellenza, dove il merito viene represso per non fare torto a nessuno, dove Francia e Spagna purché se magna e via discorrendo. Casi pratici e concreti? Come sprechiamo i soldi dei Fondi Europei (PNRR incluso); come non abbiamo fatto una riforma costituzionale che sia una, dotata di senso e intelligenza, ma diverse cretine all’insegna del populismo (populismo: un nome diverso per dire consociativismo all’italiana); l’inefficiente sistema regionale italiano e l’intricata selva di enti locali, partecipazioni pubbliche, enti strumentali, Autorità e Commissari, in un intrico di competenze che confliggono una con l’altra, ciascuna guardando al proprio orticello con un’insensatezza pari all’encomiabile rigore; la giustizia dei TAR; devo continuare?

Quindi: consociativismo italiano: sì alla scarsa conflittualità sociale, ma no all’efficacia dell’azione pubblica; presidenzialismo francese (ma non solo quello francese): tendenza all’efficacia ma contrapposizione frontale con gruppi politici, culturali, sociali. (Poi i francesi hanno antropologicamente più gusto alla rivoluzione, ma quella è un’altra storia).

Adesso affondo sul mio tradizionale tema della complessità sociale, perché è lì dove, assieme all’asino, cadono Macron e Landini.


I miei principali articoli sulla complessità sociale (da leggere in quest’ordine), ma ne troverete numerosi altri, volendo:


Poiché la complessità sociale cresce esponenzialmente, per fattori che ho già spiegato altrove, non esiste una “formula” risolutoria, per la quale agendo in un determinato modo tutte le pedine andrebbero al loro posto (i sindacati contenti, le opposizioni soddisfatte, i conti pubblici in ordine, i principali indicatori economici col segno più…). Non esiste. Al posto della desiderata formula possono esserci tentativi ed errori, teorie sociali ed economiche della cui validità cercare prove ex post, convenienze e resistenze momentanee (quelle comprese, intuite, intraviste, per come sono colte e interpretate), e ovviamente una buona dose di calcolo personale.

Rileggiamo quindi i due modelli:

  • l’atteggiamento jupitérien (copyright Ferrara) di Macron, depurato dalle contingenze francesi e assunto a modello di studio, presume una visione; un quadro interpretativo di insieme, fosse anche ideologico (e in parte, certamente, non può che essere anche ideologico); in questa costellazione di convincimenti (che sono elementi valoriali, inutile discuterli) e di conseguenti interpretazioni sociali ed economiche, chi ha il potere lo esercita, e poiché viviamo in vecchie democrazie liberali, lo esercita secondo le regole e le leggi vigenti, sottoponendosi alla critica delle opposizioni e al giudizio popolare nella successiva tornata elettorale. Naturalmente occorre gestire le proteste di piazza alimentate da corporazioni ostili; saper comunicare bene, con sapienza e intelligenza, la visione che è all’origine delle decisioni prese; fare i conti con la vendetta elettorale che ormai, come regola, premia chi si è opposto sempre e comunque;
  • l’atteggiamento consociativo italiano, come già scritto, offre il piatto di lenticchie della pace sociale in cambio della mediocrità, della continua apnea. Non si tratta affatto di gestione della complessità, ma di un continuo rimpiattino con essa. Per evitare errori, per evitare conflitti, per evitare seccature e accontentare questo e quello, si evita di affrontare di petto la complessità e la si schiva. Finquando, ovviamente, la complessità sociale non ti viene a sbattere in un tuo momento di distrazione. Monti, nel suo articolo (ma anche Ferrara) dimentica di dire che la sua riforma (“Fornero”) è stata possibile perché il suo era un governo tecnico, imposto appunto dalla realtà di una complessità che ci stava portando al default economico-finanziario. Per quello la riforma passò con tanti voti a favore, malgrado i mal di pancia collettivi. Analogamente – ma senza la corrispettiva drammaticità – per diversi provvedimenti di Draghi.

Quindi, a quanto pare, le cose funzionano (un pochino, giusto un po’ meglio) quando i due modelli si fondono, come nel caso italiano dei governi che scioccamente chiamiamo “tecnici”; vale a dire: schiva qui, schiva là, ecco che la globale, mondiale complessità sociale ed economica non è più gestibile col piccolo cabotaggio della nostra miserabile politica; emergenza, tutti ai posti di combattimento! Arriva un governo tecnico che, per amore o per forza, dispone di larga maggioranza, specificatamente chiamato a togliere le castagne dal fuoco; detto governo, almeno per un limitato periodo di tempo, può essere decisionista. Anzi: gli si chiede di esserlo. Deve essere decisionista (modello jupitérien, à la Macron); passata la festa, gabbato lo santo, il governo tecnico può andare a casa (è successo a Monti, è successo a Draghi), e chi lo ha condotto può tranquillamente andare a farsi friggere, largo ai politici veri, quelli eletti dal popolo, e vai con un altro giro di giostra di boiate sesquipedali, tempo perso, occasioni sprecate ma, per carità, senza troppi conflitti.

Questa aporia (fra decisione e compartecipazione) è un elemento centrale nella riflessione sulla democrazia moderna. Quasi 50 anni fa fu affrontata da un testo molto importante, La crisi della democrazia, scritto da Crozier, Huntington e Watanuki, nell’ambito di una Commissione che poi ha continuato, negli anni, a interrogarsi sul tema (QUI su HR abbiamo commentato il testo e riflettuto sulle sue implicazioni). Ebbene, già all’epoca i tre Autori sottolineavano la sostanziale impossibilità a coniugare decisione efficace con partecipazione popolare alla decisione. E se all’epoca quella tesi apparve originale e dirompente, oggi è manifestamente sotto gli occhi di tutti.

Conclusione: buona fortuna Emmanuel; buona fortuna Italia; buona fortuna a tutti. Comunque vada, sarà un insuccesso.