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Ogni giornale che chiude è un colpo alla Democrazia

Una delle battaglie del M5S e, in generale, degli indignati anti-casta, riguarda il finanziamento pubblico dell’editoria e, in particolare, dei quotidiani. Si tratta di una battaglia con molti risvolti superficiali e sbagliati, e voglio provare a spiegare il perché. Vorrei partire dalle ragioni di chi combatte l’editoria sovvenzionata. Il disegno di legge a firma Crimi e altri presentato il 10 Aprile dell’anno scorso viene motivato (art. 1, comma 1)

ai fini della promozione della concorrenza e della tutela dei consumatori nel settore dell’informazione nonché al fine di assicurare il conseguimento di rilevanti economie di spesa per la finanza pubblica.

Un discorso, in astratto, che può suonare molto liberale e opportuno ma che non tiene in minimo conto una serie di dati di sistema abbastanza noti sulla difficoltà, per l’editoria contemporanea, di sopravvivere all’editoria digitale, al calo dei lettori, alla perdita di quote pubblicitarie a favore, per esempio, della televisione.

Il libro ha un magnifico passato davanti a sé

Qualche sera fa, sono andato a passare un paio d’ore a una manifestazione estiva il cui nucleo è costituito da un mercatino di libri. La manifestazione è ormai un “classico” e si ripete da decenni, ma la qualità delle proposte nel corso degli anni è purtroppo calata, e da luogo dove si trovavano interessanti pubblicazioni di editori minori si è arrivati a una prevalenza indiscussa dei remainders e dei libri a bassissimo costo. Addirittura c’erano cestoni di libri a 99 cent con la scritta “costo meno di un e-book”. Come spesso mi capita in questi casi, mi è venuto da pormi la classica domanda da nostalgico del secolo scorso: forse davvero il destino del libro è segnato?