La polemica è ormai aperta: l’annunciata presenza al Salone del Libro di Torino della casa editrice Altaforte, descritta come “vicina a Casa Pound”, dotata di un catalogo focalizzato su opere che vanno da quelle dedicate ad autori tradizionalmente “di riferimento” per il fascismo (Julius Evola, D’Annunzio, Gentile, Pound…) ad altre apertamente apologetiche del Ventennio e, tra i contemporanei, di posizioni sovraniste, nazionaliste e in particolare, appunto, di quelle di Casa Pound. Altaforte è stata scelta dal ministro Salvini per pubblicare un suo libro-intervista che certamente sarà uno dei “pezzi forti” dello stand al Salone, e questo ovviamente ha contribuito a dare grande visibilità a questa presenza.
Il fatto è stato sottolineato e posto al centro dell’attenzione mediatica dalla presa di posizione di alcuni noti autori “di sinistra” (peraltro diversissimi come Wu Ming e Zerocalcare) che hanno annullato la loro partecipazione al Salone per non avallare la presenza appunto della discussa casa editrice. Il dibattito che ne è seguito, e che è tuttora in corso, ha visto posizioni differenti non solo tra commentatori “di destra” e “di sinistra”, ma anche all’interno della sinistra stessa, dove, come sempre, la critica al vicino sembra più allettante della critica agli avversari politici.
Come qualche volta accade (perché il pensiero unico non è una caratteristica della nostra redazione), anche tra noi di Hic Rhodus ci sono opinioni diverse, pur ovviamente a partire da un antifascismo di base su cui non è neanche necessario discutere. Abbiamo pensato che su queste differenze valesse la pena comporre un “mini-dibattito” a due voci, una contro la scelta di ammettere Altaforte al Salone (quella di Filippo Ottonieri), e una a favore (quella di Claudio Bezzi). A voi lettori aggiungere la vostra, se vorrete.
Perché Altaforte non dovrebbe essere al Salone del Libro (Filippo Ottonieri)
Cominciamo escludendo dalla discussione un argomento che potrebbe creare solo confusione: Salvini, con le ragioni a favore dell’esclusione di Altaforte, non c’entra nulla. Per quanto si possa (e forse si debba) considerare deprecabile e disprezzabile l’azione politica di Salvini, non è certo di “apologia di Salvini” che considero responsabile Altaforte. La questione è altra, e sinteticamente può essere ridotta a una domanda semplice: ha senso oggi, in Italia, una pregiudiziale antifascista?
Personalmente, credo di sì. Credo che concedere, o non concedere, spazio di comunicazione al fascismo non sia un atto “neutro”, equivalente a farlo nei confronti di un qualsiasi movimento di opinione. Credo che una conventio ad excludendum che tenga fuori dagli spazi pubblici di promozione della cultura l’ideologia fascista e neofascista non solo non sia antidemocratica, ma sia una necessaria applicazione dei principi di democrazia, perché la democrazia non è solo astensione dalla discriminazione ma contrasto attivo della discriminazione. Credo che il Salone del Libro, organizzato e gestito da una ampia collaborazione di soggetti pubblici e privati, debba avere un’impostazione democratica e, proprio per questo, non priva di argini, come ha scritto il Direttore del comitato editoriale Nicola Lagioia, che non condivide la scelta di ammettere Altaforte al Salone.
Molti, tra cui il Comitato di indirizzo del Salone del Libro (che ha deciso di accettare la richiesta di Altaforte), hanno invocato la libertà costituzionale di parola e di espressione a favore della decisione presa. A me sembra che questo sia un gravissimo equivoco: certamente, anche un nostalgico del fascismo ha il diritto di dire e di pubblicare (a sue spese) quello che crede, finché non commetta il reato di apologia di fascismo, o di incitamento all’odio razziale. Ma se ogni cittadino ha il diritto di esprimere la propria idea politica, è altrettanto vero che ogni cittadino democratico ha il dovere di emarginare le idee politiche totalitarie, antidemocratiche, in una parola fasciste. Ogni cittadino, e vieppiù chi ha responsabilità istituzionali, ha il dovere di negare ogni spazio legalmente negabile a chi fa della discriminazione il nucleo della propria comunicazione. Il Salone non è Hyde Park: tenerne fuori i fascisti era possibile, e quindi era necessario, punto e basta. Bene hanno fatto coloro che, pur di attirare l’attenzione su questa bruttura, hanno rinunciato a parteciparvi, subendone ovviamente anche un danno. Altrettanto bene faranno, ora che l’attenzione è massima, tutti i cittadini e gli addetti ai lavori che andranno al Salone e dimostreranno in qualche modo evidente e pacifico la loro condanna per una presenza indegna.
Infine, a chi si chiedesse se Altaforte sia effettivamente una casa editrice simpatizzante del fascismo e del neofascismo ha eloquentemente risposto Francesco Polacchi, coordinatore regionale per la Lombardia di Casa Pound e responsabile della casa editrice, in un’intervista radiofonica: «Sì, sono fascista. Mussolini? Il più grande statista del Novecento». E basta così, direi.
Perché Altaforte ha il diritto di essere al Salone del Libro (Claudio Bezzi)
Credo di avere espresso le mie ragioni in diversi post di questi ultimi tempi, e ritengo di collocarmi in coerenza con quelli. A mio modo di pensare ci sono diversi “fascismi” con diverse intensità di reazione, almeno da parte mia:
- chi è fascista (dichiara di esserlo, assolve Mussolini delle sue storiche colpe, desidera un governo autoritario di destra e vota, per dire, CasaPound) non sarà mai un mio amico; non desidero la sua compagnia, penso che abbia dei problemi con la Storia, con la Politica, ma forse anche con se stesso, e cerco di combatterlo come posso, più che posso, sul piano delle idee; non mi sognerei mai e poi mai di censurarlo, di impedirgli di esprimere le sue preferenze e – se ne è in grado – di argomentare a loro favore. Credo difficile sospettarmi di intelligenza col nemico, visto che di post antifascisti ne ho scritti non pochi, impegnandomi ultimamente in maniera chiara e vistosa contro quella forma di fascismo al potere oggi, in Italia;
- chi è fascista attivamente e violentemente, nelle peggiori orme mussoliniane, chi prevarica, picchia, stupra, non solo è un mio nemico ma chiedo la fermezza dell’intervento della forza pubblica; se tale comportamento violento si traduce anche in un progetto organizzato, allora si configura anche il reato di ricostituzione del partito fascista che va combattuta con fermezza e chiarezza.
Come vedete il mio ragionamento sconfina nel banale. Mi ripugna reprimere attivamente chi pensa in maniera differente dal mio. Se condanniamo il pensiero, per quanto distante dal nostro, per quanto pericolosamente vicino al suo diventare atto materiale, creiamo un precedente chiaramente antidemocratico: chi decide quale forma e articolazione di pensiero sia condannabile? Come impedire che quei confini si allarghino? E perché non applicare una sanzione ad altri “pensieri”, dal comunismo all’antivaccinismo fino a qualunque manifestazione contraria al piacere e al volere dell’ordine costituito del momento?
Sono quindi d’accordo con la scrittrice Murgia (che andrà al salone) che dice:
da sempre preferisco abitare la contraddizione piuttosto che eluderla fingendo di essere altrove. Per questa ragione al Salone del libro di Torino io ci andrò e ci andranno come me molti altri e altre. Lo faremo non ‘nonostante’ la presenza di case editrici di matrice dichiaratamente neofascista, ma proprio ‘a motivo’ della loro presenza.
Mentre trovo irritante e rivelatrice la dichiarazione di Carlo Ginzburg (che non andrà) che afferma:
L’istituzione può cavillare, distinguere e riservare alla magistratura il compito di combattere il fascismo. Il singolo cittadino può invece praticare un antifascismo più diretto e sanguigno, per questo non sarò a Torino.
Certamente il singolo cittadino ha tale diritto, e chi crede, semplicemente, non andrà al Salone, ma in quell’aggettivo, sanguigno, a sostegno dell’antifascismo di Ginzburg (e, suppongo, della maggioranza di coloro che stanno criticando) trovo l’irrazionalismo, l’ideologismo, l’esclusione, tipica del fare e pensare la politica del Novecento e incapace di costruire nuove opzioni, nuove “resistenze”. Come scrive Giuliano Ferrara,
è probabile che il politicamente corretto, nel suo truce zelo missionario e nella sua intolleranza per la libertà di parola, sia da considerarsi come un parente ideologico, e una concausa, del dilagare presente degli intolleranti in divisa trucista.
Ciò mi fa concludere con la terza tipologia di “fascisti” sui quali mi scaglio da tempo (poiché un amico – sapendo della mia posizione – mi chiedeva sarcastico se avessi ceduto rispetto alla mia proverbiale intolleranza):
- i fascisti dell’ideologia, del paraocchi, dell’ignavia, dell’odio o del “mi piace” dispensati con generosità su Facebook, di quelli che parlano senza informarsi contribuendo a decisioni che influenzeranno anche la mia vita, e che se si informano non capiscono, o rifiutano l’informazione perché in contrasto con una loro generica credenza (il “questo lo dice lei!” di Castelli, per capirsi). Su perché chiamo costoro ‘fascisti’ ho speso moltissimo tempo scrivendo post e anche un libro, quindi non mi dilungo.
Se non vi piace chiamateli in altro modo ma, concludendo, codesti stupidi, imbecilli, ignoranti, omologati sono il vero pericolo della nostra democrazia, non certo i quattro scalmanati di CasaPound e la loro piccola casa editrice.