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L’immunità parlamentare e la riforma del Senato

Si è infiammato il dibattito sull’introduzione dell’immunità parlamentare nella proposta di riforma del Senato. La indignants-united ha riaperto bottega in un batter d’occhio per denunciare, dissacrare e (ah! se solo si potesse non solo metaforicamente!) linciare i bastardi della casta che ci provano sempre, a fregarci. Mi permetto di dissentire fortemente e di denunciare a mia volta la piccolezza d’analisi, la pura umoralità che sempre e sempre e sempre guida le denunce degli italiani, che si tratti di stabilire se Anna Maria Franzoni è vittima o assassina, se la Nazionale ai Mondiali sia eccezionale o brocca, se l’amatriciana si debba fare col guanciale o con la pancetta e se l’immunità parlamentare sia roba da schifosi profittatori della politica o no. Tanto l’argomento non è mai veramente importante, ciò che conta è denunciare, allarmare, inquietare, additare al pubblico ludibrio, graffiare il dibattito per dimostrare di esserci, come il vecchio Qfwfq nel racconto di Calvino Un segno nello spazio.

Lo spazio del dissenso individuale nelle organizzazioni politiche

In che modo gestire il dissenso di un parlamentare, o di pochi, dentro un’organizzazione politica? Se un leader politico propone una linea, e la maggioranza degli aventi diritto nell’organo decisionale preposto l’avvalla, quanto è tollerabile un successivo dissenso esplicito da parte di membri della minoranza? Il problema è spinosissimo perché da un lato abbiamo ben chiari i concetti di libertà, coscienza, responsabilità, e dall’altro lato quelli di decisione, democrazia maggioritaria e funzionalità organizzativa. Supponiamo, per esempio, che il leader di un partito – Renzi, diciamo – abbia in animo di riformare in un certo modo il Senato e che la sua proposta raccolga una paio di proteste, qualche mugugno e poi un bel po’ di consensi, certificati da una votazione alla Direzione nazionale. A quel punto l’azione parlamentare di questo partito e dei suoi parlamentari dovrebbe essere di sostegno all’iniziativa, sempre e comunque, oppure no? Mi riferisco in particolare ai contrari e mugugnatori, ovviamente. Costoro hanno seriamente, sinceramente, democraticamente espresso il loro diverso avviso, hanno partecipato alla discussione ma sono risultati pochi e non hanno potuto far cambiare la linea del partito. Devono allinearsi? Sono liberi di continuare per l’eternità a distinguersi? Qualunque sia la vostra risposta ha almeno un elemento di debolezza.

Perché abolire le Province (per iniziare).

[I dati qui presentati sono stati aggiornati con un post del 21 Marzo 2018]

Il dibattito in corso sull’abolizione delle Province è falsato artatamente da alcuni critici. Assistiamo in particolare all’alleanza fra sostenitori del mantenimento delle Province (per esempio molti di coloro che fanno politica in questo ambito) e antigovernativi a oltranza, o meglio anti-renziani, che nella migliore tradizione della politica italiana sono contro a prescindere; costoro propongono argomenti limitati e dati parziali che mostrerebbero l’irrisorio risparmio e l’inutilità semplificativa di questa riforma. A me pare che questi due argomenti non siano ben impostati, e che ne manchi un terzo che invece costituisce l’elemento centrale della riforma (se inquadrata – come dirò – in un disegno più generale), ovvero quello della diminuzione dei centri amministrativi e di potere a vantaggio di una semplificazione funzionale di sistema.

Orfani delle Magnifiche Sorti e Progressive

Questo post parlerà del dibattito in corso sulla legge elettorale ma non prenderà una posizione sulla proposta Renzi. Non sarà un post politico ma sociologico e quindi lo potete leggere sia se siete renziani sfegatati sia se siete ferocemente anti-renziani. Perché vuole rispondere alla domanda: Renzi o non Renzi, è possibile una riforma elettorale equa e largamente condivisibile? La risposta, anticipo, è un sonoro “No”, e dopo avere spiegato perché “No” cercherò di precisare un punto di vista, forse un po’ eccentrico, su come fare per rendere propositiva anche questa risposta negativa.

La valutazione delle politiche pubbliche e la situazione in Italia

Parlare di azione pubblica, rinnovamento dello Stato, efficacia della politica e naturalmente, alla fine, di democrazia, è uno dei filoni tematici che vogliamo trattare qui su Hic Rhodus con un taglio che vuole essere razionale e argomentato, anziché umorale e assertivo. E non è una cosa bizzarra, non è demagogica, non è irrealizzabile se molteplici Paesi chiaramente più virtuosi adottano politiche più efficaci, corrono prima di noi ai ripari quando le cose non funzionano, spendono meglio il denaro pubblico indebitandosi di meno, garantiscono servizi veri ai cittadini e via discorrendo.

Uno dei modi conosciuti per far funzionare meglio la macchina pubblica è lo strumento della valutazione; molto meglio della buona volontà, molto ma molto meglio degli impegni politici e indiscutibilmente meglio della navigazione a vista che dice di sì a tutto e al contrario di tutto.