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La stampa in Italia non è in pericolo, è solo mediocre

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Esce l’ennesimo indice globale in cui l’Italia ha punteggi vergognosi: è la volta della libertà di stampa in cui, secondo i promotori dell’indagine (Reporters Without Borders), siamo ben al 77° posto “dopo Burkina Faso e Botswana” (La Stampa) o dopo la Moldavia (la Repubblica) o il Nicaragua (il Fatto Quotidiano) a seconda di quale paese abbia colpito più la fantasia dei titolisti. Ogni volta che esce un rapporto di questo genere la stampa si scatena, con maggiore o minore veemenza, e io scrivo un post controcorrente per dire, sostanzialmente, che questi rapporti, coi loro indici, utilizzano di regola metodi discutibili

Siamo un popolo di scrittori

snoopy

Chi non è buono a nient’altro diventa scrittore.

(William Somerset Maugham, Il filo del rasoio)

Sul piano culturale uno degli indicatori classici è quello della lettura: quanto leggi? (e cosa) è sempre stata una classica domanda nelle inchieste sui consumi culturali, quando non c’era Internet. Poi il combinato disposto di vari fattori, in primis appunto le nuove tecnologie della comunicazione, ha creato le condizioni per un drammatico calo della lettura (di libri, di quotidiani), un aumento dei fruitori Internet e – questo sì è veramente interessante! – un aumento degli scrittori. Paradossalmente calano i lettori (ma non tanto quanto si crede) e aumentano gli autori, un po’ come calano gli elettori ma aumentano i commentatori politici nei social network…

Ogni giornale che chiude è un colpo alla Democrazia

Una delle battaglie del M5S e, in generale, degli indignati anti-casta, riguarda il finanziamento pubblico dell’editoria e, in particolare, dei quotidiani. Si tratta di una battaglia con molti risvolti superficiali e sbagliati, e voglio provare a spiegare il perché. Vorrei partire dalle ragioni di chi combatte l’editoria sovvenzionata. Il disegno di legge a firma Crimi e altri presentato il 10 Aprile dell’anno scorso viene motivato (art. 1, comma 1)

ai fini della promozione della concorrenza e della tutela dei consumatori nel settore dell’informazione nonché al fine di assicurare il conseguimento di rilevanti economie di spesa per la finanza pubblica.

Un discorso, in astratto, che può suonare molto liberale e opportuno ma che non tiene in minimo conto una serie di dati di sistema abbastanza noti sulla difficoltà, per l’editoria contemporanea, di sopravvivere all’editoria digitale, al calo dei lettori, alla perdita di quote pubblicitarie a favore, per esempio, della televisione.