La fine del PCI ha portato a partiti riformisti (oggi il PD) privi di identità, di una visione, di un quadro programmatico organico. Difficile porvi rimedio ora col congresso.

La fine del PCI ha portato a partiti riformisti (oggi il PD) privi di identità, di una visione, di un quadro programmatico organico. Difficile porvi rimedio ora col congresso.
Stupefacente il penoso flirt che parte del PD cerca ancora di avere col M5S. E non si può sperare in un ravvedimento.
Analizzeremo poi il voto. Intanto preoccupiamoci per l’astensione, per il voto populista al Sud e per la morte del PD.
Chi più chi meno, i partiti che stiamo per votare hanno mutato idee, visione, programmi nel corso degli anni. Facciamo un ripasso, per non finire col votare partiti che crediamo essere chi non sono.
Il programma del PD è un enorme elenco di cose mirabolanti (e a volte ridicole) da fare, senza alcuna visione strategica e senza una sola indicazione sulle risorse da impiegare.
Calenda si separa dalla coalizione di Letta, e noi di Hic Rhodus non facciamo in tempo a entusiasmarci per qualcosa che subito arriva una doccia fredda.
Finalmente la svolta necessaria del PD, che chiama a raccolta i razionalisti, europeisti, riformisti, per battere la destra populista e sovranista.
Votare Forza Italia perché ci si dichiara liberali, oppure votare PD perché si è riformisti, è come trascinare le racchette di nordic walking a casaccio, sprecando energie e procurandosi un danno.
Grillo e il grillismo se ne vanno fra le risate dovute a un comico, alla sua opera umoristica più spettacolare, ma sarebbe da folli sperare che con lui se ne vada il populismo. Alle Politiche del ’18 la somma dei voti di Movimento, Lega e Fratelli d’Italia dava il 54,4 per cento e secondo i sondaggi i tre partiti oggi ne assommano il 51/53 per cento. Non è cambiato niente. Più della metà degli elettori continuano a essere populisti e ad affidarsi al populismo, sebbene io qui stia usando il termine in modo scorretto. Il Movimento è stato pienamente populista, cioè un partito nato per il riscatto del popolo integerrimo dalle turlupinature e dalle soperchierie delle élite. La Lega e soprattutto Fratelli d’Italia hanno evidenti quote di populismo, ma non prevalenti sul sovranismo, che invece è soprattutto peronista e demagogico. Ma non c’è partito italiano oggi immune al populismo e alla demagogia: la gara del consenso si gioca lì, c’è poco da fare. Se non si è populisti e demagogici si è fuori dal gioco. Pure il Partito democratico e il suo leader Enrico Letta – probabilmente i meno populisti sul mercato, a parte +Europa e le varie derivazioni del Partito radicale – hanno cedimenti disastrosamente populisti, a cominciare dall’idea di estendere il diritto di voto ai sedicenni, o della tassa di successione da devolvere ai diciottenni. (Mattia Feltri, “HuffPost”, 12 feb 2022)
Qual è la posizione della sinistra sull’elezione del Presidente della Repubblica? O su qualunque altra cosa? Non sarà che sbagliamo noi, a chiamare “sinistra” forze politiche così variegate?
Buon successo PD alle amministrative, ma illudersi prematuramente di un nuovo vento politico in Italia, potrebbe essere un errore fatale.
I sondaggi confermano la forza della destra e il pantano in cui stanno tutti gli altri. Ma non tengono conto di Draghi.
Risolte le beghe fra M5S e Casaleggio si prefigura la morte del vecchio M5S, destinato a un futuro più moderato. Ma dietro la fine di questo capitolo inglorioso resta una grande verità: il populismo non solo non è morto ma è vivo e vegeto, ed è al potere.
In alcune interviste Letta loda i big del partito (quelli che hanno i voti, quelli che fanno il bello e il cattivo tempo nel PD) e promette continuità nell’alleanza coi 5 Stelle. Però ha messo un po’ di donne in posizione di visibilità, così mostra di essere un vero democratico sensibile alla questione di genere. Uno Zingaretti calzato e vestito, insomma, solo un po’ più sveglio.
Letta o non Letta il PD è morto. Quali alternative possibili per una sinistra moderna?