Smettiamo di chiamarla “sinistra”

Nel dibattito di questi giorni sull’imminente elezione del nuovo Capo dello Stato emerge con chiarezza cristallina la mancanza di idee e di iniziative della sinistra. Che non si muove, che è divisa, che non sa opporre una strategia alla candidatura di Berlusconi (che potrà anche non farcela, ma un brivido lungo la schiena ce l’abbiamo tutti). Mentre la destra sembra (appare, così dice, forse simula, chissà?) coesa sul suo candidato, a sinistra ognuno va per conto suo; ma non ‘ognuno’ nel senso di ogni partito, ma quasi ‘ognuno’ nel senso di parlamentare, che chiunque sia intervistato dice la sua sparando nomi, dichiarando pretese…

Al di là di ogni altra considerazione – e ce ne sarebbero parecchie – vorrei approfondire un solo argomento che titolerei così: Il grande equivoco su cosa sarebbe, oggi, la “sinistra”, un tema peraltro non nuovo per noi di Hic Rhodus.

Sul tema della sinistra, cosa significhi, e perché sia un concetto che ormai si presta più a equivoci che a spiegazioni, abbiamo scritto:

e diversi altri facilmente rintracciabili dai lettori.

Poiché il piano – chiamiamolo così – “filosofico” è stato ampiamente già sondato nei precedenti articoli (e quello linguistico e sociologico), mi permettete di tagliar corto e andare immediatamente in quello politologico, terra-terra, quello delle miserie del piccolo cabotaggio politico italiano.

Negli articoli dei giornali viene chiama ‘sinistra’ un ampio raggio di forze politiche che vanno da Renzi a LeU passando ovviamente per il PD e per il M5S. I giornalisti hanno bisogno di semplificazioni, e probabilmente anche i loro lettori, specie se memori del quadro politico di qualche decennio fa (non di ieri, di qualche decennio fa) quando la semplificazione destra-sinistra aveva un senso abbastanza chiaro. Vediamo nello specifico:

  • LeU (e ovviamente ogni altra forza ancor più a sinistra ma sostanzialmente extraparlamentare) è certamente di sinistra, sia intendendola come nell’epoca d’oro del secolo scorso sia in senso più moderno e “laburista”; nel loro Manifesto i temi della lotta al liberismo e per una maggiore uguaglianza, le parole d’ordine della partecipazione e del cambiamento radicale, eccetera; le parole ‘comunismo’ e ‘marxismo’ sono bandite da questo lessico, ed è giusto che sia così, ma se non i padri, almeno i nonni dei militanti LeU erano comunisti, e oggi questa piccola forza politica cerca di raccoglierne le loro idee migliori adattandole alla società complessa del Terzo Millennio. Viva la sinistra!
  • Già al PD cominciamo ad avere molte difficoltà. Prego i lettori di questa parte politica, specie se in età di avere partecipato alla trafila PCI-PDS-DS-PD, di mettersi il cuore in pace: il PCI era un partito di sinistra radicale e marxista, e nella lunga marcia verso la trasformazione post-comunista, per diventare una grande forza riformista, metà socialdemocratica e metà popolare, qualcosa deve essere andato storto; se prendiamo il loro Manifesto dei valori, praticamente l’unico documento vagamente programmatico sul loro sito, e se riusciamo a leggerlo tutto (è di una lunghezza esasperante, quanto la prosa) potremmo scoprire che è un ampio esercizio retorico, pieno di frasi genericamente buone quanto vaghe, che possono andar bene per un liberale, per un ex democristiano e per un socialdemocratico; basti dire che la parola ‘uguaglianza’ (un pilastro dei valori imputati alla sinistra) appare una sola volta nel lungo papello, e in un contesto specifico e limitato (“Il nostro impegno riformatore vuole garantire un’effettiva uguaglianza di opportunità e affermare una politica di emancipazione sociale in una società sempre più complessa e plurale”, come se fosse antani). Se poi, oltre al dichiarato, ci soffermiamo sull’azione concreta, cosa vediamo “di sinistra” nell’opera di Letta oggi, di Bersani ieri (di Renzi tratterò fra breve)? Vediamo azioni popolari, vagamente riformiste, pesantemente inquinate dalla pervicacia della ricerca di un rapporto coi 5 Stelle, una questione dirimente sulla quale sto per dire qualcosa.
  • Renzi, e la sua Italia Viva, vengono bollati come “destra” solo da faziosi e ignoranti; Renzi ha provato a fare il liberal-socialista nel PD, da segretario, e sappiamo com’è finita; ora si muove nell’area centrista-liberale, che certamente può essere inscritta nell’area di centro-sinistra ma non in maniera vincolante. Il pensiero liberale (per quanto si possa – con qualche forzatura – dire che l’Ego di Renzi sia tutto e solo quello) non è “di sinistra” come questo concetto ha significato per decenni nel secolo scorso; e certamente non è “di destra” come nei fatti si presenta la destra oggi nel mondo: sovranista, populista, lepenista per non dire fascistoide (nota: anche se Berlusconi da quasi trent’anni proclama di essere liberale, e il partito da lui fondato si autodefinisca tale, non sa neppure dove il liberalismo abiti di casa). Calenda, Bonino, sono altri esponenti di area liberale, con evidenti differenze fra loro, e valgono più o meno gli stessi discorsi.
  • Arrivati al Movimento 5 Stelle sarò breve, e rimanderò per gli interessati a testi precedenti: il M5S, in quanto movimento populista, è intrinsecamente proto-fascista, di destra. Il fatto che molti elettori “di sinistra” l’abbiano votato, riguarda la confusione nella loro testa, e non la realtà dei fatti. Anche se esiste un populismo di sinistra (è una deriva storica, in questa fase ci cascano più o meno tutti), la storia generale, mondiale, del populismo riguarda il sedimentarsi di un pensiero di destra: esclusivo, massimalista, verticista, statalista, diffidente dell’Europa, tendenzialmente magico e irrazionalista.

L’analisi del populismo come forza proto-fascista è stata ampiamente trattata da Hic Rhodus alla nascita del fenomeno dei 5 Stelle; chi volesse approfondire può leggere:

e molti altri facilmente rintracciabili dal lettore.

Che Di Maio, oggi, si presenti con giacca e cravatta e i congiuntivi in ordine; che Taverna non urli più, bava alla bocca, contro i vaccini (quelli prima del Covid!); che Conte sia usato come figurina “rispettabile”, eccetera, non deve ingannare sulla natura di base del Movimento che – non 20 anni fa, non 10 anni fa, ma fino al settembre ’19, quindi fino a poco più di DUE anni fa – governava col peggiore Salvini.

Allora, quando parliamo di “sinistra”, cosa abbiamo esattamente in mente? A quali forze politiche ci stiamo riferendo? C’è ovviamente un equivoco. Forse diciamo ‘sinistra’ per intendere tutti quelli che non appartengono alla destra becera (Meloni-Salvini-Berlusconi), ma capite che è un po’ poco, e affermare un’identità solo come contrapposizione (“Tutti quelli contro Salvini”) è cosa destinata al fallimento. Oppure diciamo ‘sinistra’ nel senso di riformismo? Escludo che i 5 Stelle siano riformisti, e i veri liberali – pur appartenenti a questa area – rifiuterebbero quell’aggettivo. Se poi – come dovremmo fare – cerchiamo di mettere in ballo dei valori o, almeno, dei programmi, apriti cielo! ‘Uguaglianza’ appartiene solo a LeU, neppur più ai dem – come vi ho mostrato – e nei 5 Stelle si è trasformato in omologazione (ne ho scritto QUI); ‘libertà’ sembra non significare più nulla di specifico, come ‘democrazia’, ‘lavoro’ e altri concetti-chiave della vecchia sinistra del secolo scorso.

Concludo brevemente: ovvio che non è scomparso il campo della sinistra, ma a differenza di quello di destra è diventato articolato, sfaccettato e non privo di contraddizioni; se sia l’effetto di un processo in divenire, o una crisi strutturale, non è il caso qui di azzardarlo. La sinistra deve evidentemente essere un campo politico segnato da specifici valori, cui far seguire pratiche inscritte in programmi: oggi i primi sono vaghi e ambigui, le seconde mutevoli e fragili e i terzi non esistono proprio. In ogni caso il populismo non è di sinistra; se è populista, non è di sinistra; se è populista, è di destra. Come questo non sia capito dal PD resta per me un mistero, e non pretendo che qualcuno me lo spieghi. Guardare all’area liberale, liberal-socialista, radicale: un’area certamente antifascista, anti populista, laica, europeista; è un’area di sinistra? No? Me ne infischio! Se fra i leader e gli intellettuali “di sinistra” si cominciasse a smettere col tatticismo, e si iniziasse a pensare (non più, necessariamente, in termini di destra e sinistra in senso novecentesco) a un “campo ristretto” dal quale ripartire per costruire le basi di un progetto politico, forse cadrebbero molti problemi che attagliano, oggi, questo lato dello schieramento.

Ma occorre una visione, certo…