Il M5S muore, il populismo invece è vivo e vegeto

Questa mattina i quotidiani ci danno il buongiorno con la notizia della morte del M5S; l’accordo fra Casaleggio che voleva i soldi, il Movimento che voleva i nomi degli iscritti detenuti da Casaleggio, e Grillo che ormai vuole solo essere lasciato in pace, è stato raggiunto (QUI sull’HuffPost i dettagli). Io, comunque non festeggio.

Come sanno i lettori questo è un blog anti-populista, e io personalmente mi sono speso moltissimo per analizzare la natura del Movimento e indicarne l’intima connotazione protofascista, inconciliabile con qualunque modello politico democratico voi abbiate in testa, che sia liberale o socialdemocratico. Ho scritto una discreta quantità di post per spiegare l’equivalenza fra populismo e destra becera, giustizialista, illiberale, massimalista, autoritaria, antimodernista, tratti ben visibili malgrado le giravolte politiche, comportamentali, declaratorie, dei populisti italiani, non solo a 5 Stelle ma specie e soprattutto fra i 5 Stelle, che dei diversi populismi italiani rappresentano il distillato più genuino. E ho scritto un bel po’ di testi per criticare l’avventatezza del fidanzamento fra PD e M5S, una svolta che segna la fine di fatto dell’unico partito riformista di massa creando un vulnus di non poco conto al sistema democratico italiano.

Questo è il mio pensiero, e se lettori nuovi a questo modo di ragionare hanno delle perplessità li invito a cercare (li troveranno facilmente) i diversi ragionamenti sparsi negli anni su HR.

Ebbene, c’è poco da festeggiare per un semplice motivo: le ideologie non sono come abiti che uno mette e smette a piacimento (il populismo non è esattamente un’ideologia, ma ai fini del ragionamento va bene lo stesso); le ideologie, i sistemi di pensiero, valori, credenze, che si traducono poi in atteggiamenti e comportamenti, non cambiano con lo schioccar delle dita, non cambiano per una decisione razionale improvvisa, non cambiano. La maturazione di un sistema di valori (morali, politici, culturali) dura un’intera vita, cambia lentamente (salvo svolte epifaniche che qui non mi sembra il caso di evocare); chi si è riconosciuto in una proposta populista, per esempio quella grillina, era nel suo intimo un portatore di valori populisti, aveva un trascorso di elaborazione qualunquista, anti-istituzionale, ricca di stereotipi coltivati con assiduità; poi, certo, un lustro di grillismo è confluito nel mucchio esperienziale individuale e per molti pentastellati possono essere maturati barlumi di competenze e di credenze moderate – vedi la presunta svolta di Di Maio – ma si tratta di processi lenti che la grande massa non può avere fatto con lo stesso passo di Di Maio, più dentro alle cose, maggiormente travolto da esperienze oggettivamente nuove che possono avere fatto la differenza, almeno in parte.

Quindi la domanda che dobbiamo porci non è tanto dove andrà il M5S, se si trasformerà in un partito moderato o cosa; la domanda è: i milioni di italiani che hanno allegramente votato per i populisti, dove sono andati? Risposta: non si sono affatto mossi. Sono sempre lì. Molti si sono riposizionati in questi anni, sgonfiando la base elettorale pentastellata e gonfiando quella di Meloni (populista neofascista) e di Salvini (populista lepenista, ora in via di riposizionamento del brand); qualcuno è approdato nel PD (che con veloci falcate corre – dall’epoca di Zingaretti – nelle braccia del populismo). Molti, invecchiati, resteranno nel M5S di Conte, in un partito “moderatamente” populista, opportunista, buono per ogni maggioranza, senza strilli e senza idee di spicco (che d’altronde si sa, si nasce piromani e si muore pompieri…).

Gli ultimissimi sondaggi – per quello che valgono – danno le tre principali forze di destra populista (FdI, Lega e M5S) vicini al 60%. A molti lettori non piacerà la mia scelta di includere il M5S con quella destra; so bene che c’è chi continua a pensare che – addirittura! – i pentastellati siano di sinistra, solo perché hanno strillato contro la casta e i privilegi; un po’ di studio della storia del fascismo in Italia (intendo quello di Mussolini) potrebbe giovare loro. Ma se anche un vertice pentastellato “moderato” disdegnasse – per sole ragioni di opportunismo, che due anni fa erano gli spicciafaccende di Salvini – questa alleanza, sottolineo che la destra-destra (FdI, Lega e FI) arriva al 50%, sufficiente per governare, e scommetto il mio ultimo Euro che una bella fetta di M5S “moderato” starebbe bene con loro.

Quindi, cari lettori, non fatevi ingannare: le beghe penose del M5S sono risolte evitando i tribunali; Conte (quella cima, quel Grande Statista, quella Mente!) li guiderà verso un futuro di governicchi e sottogovernicchi (Di Maio si è fatto avanti col lavoro scusandosi per il passato giustizialista, e leggo di un sacco di commentatori che fingono di credergli – altri opportunismi, discorso lungo…). Ma il populismo è radicato nell’anima degli italiani. Sempre inclini a inchinarsi al potente, per poi gioiosamente impiccarlo appena il suo potere vacilla. A tessere le lodi di un popolo virtuoso (se sulla Terra esiste un popolo virtuoso, questo non è il popolo italiano) purché segua il capo come branco di pecore. A invocare scienza e coscienza salvo seguire il più torbido complottismo e rifiutare il vaccino. Per la libertà, intesa come libertà di fare quello che gli pare in barba a tutti gli altri. Contro la Casta, sì, ma desideroso di farsi Casta. Senza un’idea chiara di come funzioni il mondo e come lo si possa amministrare ma favorevole a dare le chiavi di casa del governo alla casalinga brava economa, che tanto la complessità del mondo “lo dice lei”, cioè lui, lo studioso con 50 anni di esperienza e competenza che però infastidisce con le sue noiose analisi.

Il populismo italiano ha avuto il suo stato nascente rumoroso, pirotecnico e folcloristico, con il “Vaffa-Day” e la Montalcini “vecchia puttana”; hanno con ciò dato il via libera, il fuori tutti, al sedimento populista che da sempre è incistato nella visione morale e politica degli italiani, tanto da poter andare fieri, alla luce del Sole, della massa di corbellerie messe in moto con sperpero di risorse collettive; il populismo, oggi, non solo non è morto, ma non è neppure malato; essendo il trasformismo un’altra delle sue caratteristiche, il populismo italiano ha semplicemente dato una riverniciata alla facciata e messo qualche vaso di fiori sulle finestre, ma è vivo e vegeto, è al potere da anni, continuerà ad esserlo a lungo.

Per Aspera.