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Scuola e migranti: istruzioni per l’uso

 

L’istruzione dei figli che provengono dal mondo dell’immigrazione è un tema scottante: una parte dell’opinione pubblica, una frazione degli insegnanti, molte autorità scolastiche, molti responsabili politici ritengono che gli immigrati (o, meglio, i loro figli ) siano responsabili del degrado del rendimento scolastico, dei problemi disciplinari che si accumulano nelle scuole e della pessima classifica del sistema scolastico ottenuta dal loro paese (o regione) nell’indagine internazionale PISA (qui i risultati provvisori dell’indagine più recente). In molte scuole non c’è traccia di studenti immigrati, ma questo fatto purtroppo è ignorato.

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Buona Scuola e insegnanti: martiri, deportati o parassiti?

Nelle ultime settimane, abbiamo assistito al culmine (almeno finora…) delle polemiche prodotte dalle nuove norme introdotte dal programma governativo battezzato un po’ ottimisticamente La Buona Scuola. Gli insegnanti precari sono vivacemente insorti contro i criteri per le nuove assunzioni e soprattutto per l’assegnazione delle destinazioni che potrebbero costringere molti di loro a spostarsi in regioni diverse, con le ovvie difficoltà logistiche ed economiche. I toni del dibattito sono diventati molto accesi, con gli insegnanti e i loro sindacati che hanno evocato scenari di “deportazione”, mentre altre voci hanno invitato gli insegnanti stessi a smetterla di lamentarsi “di non poter lavorare a qualche minuto di macchina da casa”. Noi di Hic Rhodus abbiamo deciso di sfidare il calor bianco di questo argomento e di proporre un nostro punto di vista, cercando di rappresentare la situazione in modo non di parte.

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La buona scuola e qualche insegnante così così

 

A me pare che la protesta degli insegnanti, assieme a molte giuste ragioni vorrei dire “d’ufficio” (nel senso che ognuno è ben titolato a comprendere il proprio stato e legittimato a protestare per quel che gli pare), ne abbia altre di spiccato corporativismo meno accettabili. E anzi questo corporativismo è banalmente analogo ai mille e mille corporativismi, particolarismi, sclerosi sindacali che bloccano da sempre l’Italia, non mostrando particolare specificità intellettuale, per capirsi, non distinguendosi per dialettica argomentativa o per liberalità pedagogica o per una qualsiasi proprietà distintiva rispetto alle proteste dei tassisti, dei netturbini, dei medici, degli statali, dei commercianti, dei notai, dei farmacisti, di qualsivoglia categoria alla quale un qualunque governo abbia tentato di mettere mano nei decenni. Tolte le molteplici buone ragioni degli insegnanti, che vanno ascoltati anche come portatori di competenze, oltre che di meri interessi, a me pare che raschiando un pochino la scorza corporativa faccia premio.

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L’abbandono scolastico e i suoi danni irreparabili

Molte volte, qui su Hic Rhodus, abbiamo parlato della scuola italiana, in termini anche molto critici, per il livello disuguale e insufficiente di preparazione che garantisce agli studenti, per l’obsolescenza dei suoi programmi e dei suoi docenti, per la sua tendenza a dare priorità ai pur legittimi problemi occupazionali della categoria piuttosto che alla qualità del servizio che offre.

Tuttavia, nonostante (o forse anche per) tutto ciò, non c’è dubbio che il sistema scolastico italiano sia uno dei fattori decisivi per un rilancio del nostro Paese, che della conoscenza non può fare a meno. Proprio per questo, è particolarmente sconfortante leggere i dati relativi alla dispersione scolastica, che vedono l’Italia nei primissimi (o meglio ultimissimi) posti relativamente ai tassi di abbandono scolastico.

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La Buona Scuola di Renzi merita un cinque in pagella

Come è stato ampiamente riportato dalla stampa, il nostro Governo ha annunciato un’importante riforma del sistema scolastico, uno dei provvedimenti più vistosi e discussi della quale è l’assunzione di 150.000 “precari” entro settembre 2015. Ora, la scuola e la formazione in generale sono un tema fondamentale per l’Italia, di cui ci siamo più volte occupati, e vederlo al centro dell’azione di governo è certamente importante. Abbiamo quindi letto con attenzione il lungo documento intitolato la buona scuola, che è giusto commentare con un certo approfondimento.

Purtroppo, però, il nostro giudizio è complessivamente negativo, e nel seguito cercheremo di spiegare perché.

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I nostri ragazzi non capiscono nulla di economia. È solo colpa loro?

[I dati qui presentati sono stati aggiornati con un post del 21 Marzo 2018]

Qualche giorno fa, sono stati resi noti i risultati di un’indagine condotta in 18 paesi nell’ambito del PISA (il programma OCSE per la valutazione degli studenti) sulle competenze di base in ambito economico-finanziario degli studenti quindicenni.

I risultati, come non di rado accade, sono particolarmente poco lusinghieri per i ragazzi italiani (che sono risultati complessivamente al 17° posto seguiti solo dai coetanei colombiani), e vale la pena di analizzarli più da vicino, chiedendoci anche se in questo caso quella emersa sia una lacuna imputabile principalmente ai ragazzi stessi, alla qualità dell’istruzione che ricevono, o ad altre ragioni.