Invalsi: il paradossale boicottaggio degli insegnanti

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Assieme alla primavera, nelle nostre scuole tornano le prove Invalsi, accompagnate dalle consuete, feroci polemiche e, ancora una volta, da una “chiamata alle armi” dei sindacati di base e di alcune associazioni di studenti che invitano al boicottaggio di questa “schedatura dei bambini, dei docenti e delle scuole”, affidata, come recita un volantino dei Cobas, a “demenziali e umilianti indovinelli”. Ma come stanno davvero le cose?

Cominciamo da una breve sintesi per i non addetti ai lavori:

  • le prove Invalsi sono costituite da test standardizzati, ossia uguali per tutte le scuole e che possono essere corretti secondo criteri fissi, in modo da fornire risultati confrontabili;
  • le prove Invalsi riguardano diversi livelli della nostra scuola, come si può leggere sul sito appunto dell’Invalsi: II elementare, V elementare, III media (all’interno dell’esame di Stato), e infine II anno della secondaria;
  • i test sono relativi a Italiano e Matematica;
  • le prove devono essere effettuate in tutte le scuole.

Lo scopo dichiarato delle prove, secondo il Miur, è “migliorare e rendere più omogenea la qualità della scuola italiana”, utilizzando appunto le evidenze che possono essere fornite da un test standardizzato. Ovviamente, prove simili si svolgono in moltissimi paesi, e in realtà l’OCSE organizza test simili (ovviamente a campione) all’interno del programma PISA, di cui abbiamo già parlato e i cui risultati non sono certo lusinghieri per l’Italia; una delle evidenze critiche che per l’Italia emergono dal PISA è appunto la notevole disomogeneità di risultati tra le diverse scuole e i diversi territori, oltre che un livello medio mediocre, con qualche recente segno di miglioramento.

Fin  qui le premesse, che francamente a mio avviso giustificherebbero delle critiche nei confronti del Ministero se in Italia non si facessero dei test simili all’Invalsi. Invece, la mera esistenza delle prove Invalsi suscita l’indignazione, la protesta e addirittura la ribellione di una parte non irrilevante di docenti e studenti: in particolare, sono fieramente contrari la CGIL e i Cobas della scuola, oltre che alcune associazioni di studenti. Dato che questo può apparire paradossale a chi non sia parte in causa, è opportuno riportare qui alcune delle principali argomentazioni degli oppositori:

  1. I test in sé sono poco significativi (se non “demenziali”), risentono della maggiore o minore motivazione degli studenti, e, secondo una guida del portale http://www.forumscuole.it, “tendono a sopravvalutare la nozione più del ragionamento”, richiedendo “una capacità di concentrazione e comprensione che supera quella che riconosciamo nei nostri alunni” [il che non sembra coerente con l’accusa di nozionismo, en passant].
  2. Il sistema valutativo, così come riaffermato nei provvedimenti della cosiddetta Buona Scuola del Governo, avrebbe un “carattere burocratico, sanzionatorio e sostanzialmente autoritario”, secondo un comunicato della CGIL. In pratica, uno degli scopi dei test sarebbe fornire strumenti per giudicare e discriminare autoritariamente tra diverse scuole e diversi insegnanti, orientando le risorse e il sistema premiante in funzione dei risultati.
  3. In particolare, le prove Invalsi sono al centro del Sistema Nazionale di Valutazione su cui si baserà il sistema premiante e che porterà benefici solo a una minoranza di scuole e docenti, in presenza invece di una generalizzata penuria di risorse per la scuola pubblica che penalizza proprio le scuole più in difficoltà.
  4. Infine, l’esito finale del sistema di valutazione all’interno del quale si collocano le prove Invalsi sarebbe una “deriva classificatoria” che condurrebbe a stabilire e cristallizzare una gerarchia tra scuole di “Serie A” e di “Serie B”, innescando un circolo vizioso grazie al quale alle scuole “migliori” sarebbero riservate maggiori risorse, e verso di esse si orienterebbe inevitabilmente la domanda delle famiglie. Insomma, le scuole di eccellenza avrebbero più aspiranti iscritti e potrebbero selezionarli in base al merito, allargando ulteriormente il divario con le scuole di “Serie B”.
  5. Un’ultima critica, più generale, è relativa alla pratica generale dei test standardizzati, che, se usati in modo pervasivo ed eccessivo, possono distorcere la normale didattica inducendo gli insegnanti a insegnare per il test limitando la libertà e la ricchezza dell’insegnamento, come si discute nei paesi (USA in testa) dove i test standardizzati hanno uno spazio enorme.

Contro questo sistema valutativo, gli insegnanti si sono mobilitati in diverse forme (anche invitando famiglie e studenti al boicottaggio) con l’obiettivo dichiarato di “rendere inservibili i risultati finali”; dato poi che il Ministero ha inserito i risultati dei test all’interno del portale Scuola in Chiaro, dove sono disponibili tutte le informazioni sugli istituti scolastici italiani, la CGIL ha provveduto a denunciare il Miur al Garante per la Privacy per aver pubblicato i risultati dei test delle singole classi, il che potrebbe consentire alle famiglie di “incrociare il dato sui livelli di apprendimento in una materia degli alunni di una classe con il nome del docente titolare di quell’insegnamento, e di formulare valutazioni indebite sul suo operato” violando così il diritto alla privacy del docente [si noti la parola indebite, che dice più di un romanzo].

Ho cercato di riportare abbastanza estesamente le ragioni degli oppositori all’Invalsi perché la mia opinione è radicalmente opposta, anzi in molti casi le trovo incredibili. Non volendo dilungarmi eccessivamente, mi limito a osservare che:

  1. Ogni test è perfettibile, e i suoi risultati non sono mai oro colato (ad esempio, penso che avrebbe più senso valutare il miglioramento di livello degli studenti piuttosto che il loro livello finale in assoluto). Tuttavia, ho letto diversi test Invalsi e, lasciando da parte una valutazione del livello di difficoltà, è a mio avviso completamente falso che si tratti di test nozionistici. Prendiamo per semplicità quelli di italiano, un esempio tipico è la prova del 2015 per la V elementare: il test consiste nella lettura di un breve testo, con protagonisti un ragazzo e un giovane orso, e nel rispondere a domande sulla comprensione del testo stesso, come “la parte introduttiva del racconto (righe 1 e 2) ti guida a farti delle idee su quello che può essere successo prima. Quale idea è suggerita dall’inizio del racconto?”. Mi pare evidente che in domande simili non ci sia alcun nozionismo, né vedrei controindicazioni nell’idea di far svolgere agli alunni attività di lettura e comprensione di testi anche al di fuori delle prove Invalsi in senso stretto (su questo trovate il link a un testo interessante alla fine di questo post). Nessun insegnante può rivendicare come libertà didattica il disinteressarsi della capacità di un alunno di comprendere un testo e saper rispondere a domande che implichino un minimo di ragionamento sui contenuti del testo stesso. Rifiutare ex ante un test di questo tipo è incomprensibile, o meglio è comprensibile solo come ostilità preconcetta a qualsiasi test.
  2. Esistono già scuole di “Serie A” e di “Serie B”; e, ahimè, esistono anche insegnanti bravi e insegnanti incapaci. Rifiutare un sistema di valutazione non rimuove questa realtà, anzi. Impedire alle istituzioni di controllo e agli utenti dei servizi della Scuola di sapere chi “gioca in Serie A” non elimina le differenze, semmai le rende inattaccabili. È invece verissimo che non si devono concentrare le risorse sulle scuole “di Serie A” indipendentemente da fattori ambientali e sociali; ma anche impedire la rilevazione di questi fattori non aiuta nessuno.
  3. Opporsi alle valutazioni non aumenterà le risorse a disposizione della Scuola. Qualunque decisore, e qualunque cittadino elettore, sarà sempre riluttante a investire anche un solo euro in un sistema che rifiuta di misurare se stesso in termini di risultati. Pretendere che vengano riversate nuove risorse nella Scuola senza poter valutare l’efficacia dell’uso di queste risorse è intellettualmente scorretto e politicamente velleitario.
  4. La qualità delle scuole e dei docenti può e deve essere valutata, e una valutazione è utile solo se serve a prendere decisioni e a fare scelte. Scuole e docenti devono essere accountable del loro lavoro proprio come chiunque altro, e dalla qualità del loro lavoro è giusto che dipendano, nel bene e nel male, le loro sorti professionali e in particolare il sistema premiante. Pensare che la qualità di un servizio pubblico che si contribuisce a erogare sia un dato coperto da privacy è folle e denuncia una concezione medioevale del servizio pubblico; questo è tanto più vero in un servizio (quello scolastico) del quale la valutazione delle conoscenze acquisite è parte integrante ed essenziale.
  5. La Scuola (e in generale la P.A.) è una parte del mondo reale, e che le piaccia o no col mondo reale deve fare i conti. Il mondo del lavoro ha da decenni adottato metodologie di miglioramento continuo della qualità che si fondano su sistemi di valutazione (possibilmente quantitativi) e su piani d’azione mirati a incentivare i comportamenti “virtuosi”. Questo, oltre a innalzare enormemente i livelli di qualità dei processi produttivi, ha indotto un cambiamento culturale di cui evidentemente la Scuola non si sente parte; beh, la notizia è che lo è ugualmente: gli studenti dopo gli studi si misurano con questo mondo, e se non vi arrivano preparati è un male e non un bene.
  6. L’ultimo rischio che oggi l’Italia mi sembra correre è avere un eccesso di valutazione. A mio avviso è plausibilissimo che in USA i test e le politiche che su essi si fondano siano diventati un eccesso, sovrapponendosi alla normale didattica. Ma questo vuol dire solo che, come per tutte le cose, esiste un limite da non superare, non che i test siano un male in sé. Oggi, nella Scuola italiana, si può dire che nessuna decisione sia presa sulla base di una rilevazione obiettiva della qualità dell’insegnamento. Questa è la ricetta del fallimento in qualsiasi campo.

Come vedete, stavolta ho voluto esporre delle opinioni piuttosto nette su questo argomento, non perché non esistano ragioni per criticare questo o quell’aspetto di un sistema di valutazione, ma perché a mio avviso è intollerabile che una (parte di una) categoria nei fatti pretenda di essere esente da un qualunque sistema di valutazione obiettivo (ossia che non si riconduca di fatto all’autovalutazione degli operatori stessi) e che in nome di questo operi un sabotaggio “con ogni mezzo” delle iniziative messe in atto da chi ha il diritto e il dovere di deciderle. E penso che studenti e famiglie, anziché farsi trascinare in una protesta “per conto terzi”, debbano riconoscere che il loro interesse è diametralmente opposto a questa ribellione.

Per concludere su una nota meno polemica, vorrei segnalare un interessante testo che  riporta la traccia di un lavoro svolto da una brava insegnante a partire appunto da un test Invalsi. Per quanto la docente intenda con esso dimostrare che “i criteri delle prove Invalsi sono assolutamente inadeguati al rilevamento degli apprendimenti”, personalmente trovo che dimostri altro, ma lascio a voi lettura e… valutazione.