L’abbandono scolastico e i suoi danni irreparabili

Molte volte, qui su Hic Rhodus, abbiamo parlato della scuola italiana, in termini anche molto critici, per il livello disuguale e insufficiente di preparazione che garantisce agli studenti, per l’obsolescenza dei suoi programmi e dei suoi docenti, per la sua tendenza a dare priorità ai pur legittimi problemi occupazionali della categoria piuttosto che alla qualità del servizio che offre.

Tuttavia, nonostante (o forse anche per) tutto ciò, non c’è dubbio che il sistema scolastico italiano sia uno dei fattori decisivi per un rilancio del nostro Paese, che della conoscenza non può fare a meno. Proprio per questo, è particolarmente sconfortante leggere i dati relativi alla dispersione scolastica, che vedono l’Italia nei primissimi (o meglio ultimissimi) posti relativamente ai tassi di abbandono scolastico.

Innanzitutto, cominciamo col chiarire che per “abbandono scolastico” si intende il mancato conseguimento di un diploma di secondo grado. Vale la pena di osservare che nel mondo in cui viviamo in realtà si può ritenere che un diploma di scuola superiore sia il minimo titolo di studio che offra un livello di conoscenze adeguato sia alle esigenze del mondo del lavoro, anche laddove non si tratti di professioni intellettuali, sia più in generale alla complessità del contesto sociale, economico e politico nel quale viviamo. In sostanza, è difficile esercitare appieno i propri diritti di cittadinanza se non si ha un livello almeno discreto di cultura.

Così definito l’abbandono scolastico, come vediamo nella figura qui sotto l’Italia ha uno dei tassi di abbandono più elevati d’Europa:

mappa abbandono europa
Dati Eurostat 2013

Se scorporiamo i dati per sesso, si vede che in realtà il problema dell’abbandono riguarda essenzialmente i ragazzi maschi:

tabella abbandono europa

Come si vede, i dati sono in miglioramento, ma rimane il fatto che un ragazzo maschio su cinque non raggiunge un diploma; in realtà, ci sono buoni motivi per ritenere che i dati effettivi siano più alti di quelli Istat qui riportati (un’analisi piuttosto dettagliata è svolta nel ricco documento LOST, realizzato da WeWorldOnlus, Associazione Bruno Trentin e Fondazione Giovanni Agnelli, che utilizzerò spesso in seguito come fonte). Come al solito, questo fenomeno è distribuito in modo molto diseguale sul territorio; qui sotto vediamo la mappa dei tassi di abbandono nelle scuole medie:

mappa abbandono medieSe il fenomeno è più ampio e grave al Sud, anche il Nord, e in particolare il Nord-Ovest non ne è esente. Osservando poi la mappa dell’abbandono scolastico alle superiori, ne ricaviamo un segnale piuttosto evidente:

mappa abbandono superiori

In sintesi, mentre l’abbandono scolastico alle medie inferiori è un fenomeno fortissimo al Meridione, l’abbandono alle medie superiori è più distribuito, ed è particolarmente rilevante in molte aree del Nord. D’altronde, una volta i figli (soprattutto maschi) dei piccoli imprenditori lasciavano spesso la scuola per cominciare a lavorare nella classica fabbrichètta familiare; oggi, il futuro delle imprese familiari deve fondarsi su una capacità manageriale e imprenditoriale frutto anche di studi approfonditi, e non solo del “fiuto” per gli affari. La ricerca dell’eccellenza, di cui abbiamo descritto qualche caso, passa inevitabilmente per l’innovazione e la trasformazione dei prodotti, dei processi e delle tecnologie; su questo l’Italia ha un ritardo indiscutibile, che per essere colmato richiede innanzitutto una solida cultura sui temi “contemporanei”.

Insomma, non solo non possiamo permetterci di avere lavoratori e cittadini che non possiedano gli strumenti minimi offerti da un diploma superiore, ma abbiamo bisogno di laureati preparati e aggiornati, che magari abbiano studiato anche all’estero e siano in grado di traghettare l’Italia non già nel futuro, ma almeno nel presente. Purtroppo, anche e soprattutto su questo fronte, siamo il fanalino di coda d’Europa:

laureati
Dati Eurostat

Tutto questo, ahinoi, ha un costo, anzi molti costi diversi, e tutti pesantissimi e in gran parte insanabili a posteriori.

  • Il primo, più ovvio e “generale”, è il divario sempre maggiore tra la complessità crescente dei fenomeni in cui siamo immersi e gli strumenti culturali e materiali di cui i cittadini dispongono per orientarsi e prendere decisioni informate sulla propria vita. L’Italia, secondo una ricerca OCSE, è il fanalino di coda tra i paesi sviluppati per le conoscenze pratiche linguistiche e matematiche, richieste per svolgere compiti anche relativamente semplici.
  • Il secondo è che i giovani che abbandonano gli studi sono molto più a rischio di comportamenti criminosi. Su questo segnalo un documento di Save the Children su lavoro e criminalità minorili, da cui estraggo solo un dato: il 66% del campione esaminato di ragazzi responsabili di atti criminali aveva cominciato precocemente a lavorare, abbandonando o trascurando gli studi.
  • Il terzo è un costo meramente economico. Sempre secondo il documento LOST, le stime sul danno economico provocato dalla dispersione scolastica vanno dall’1,4% al 6,8% del PIL. Un bel po’, vista la recessione in cui ci troviamo.

A quali conclusioni vorrei giungere? Oltre a quella banale che questo livello di abbandono scolastico è una grave patologia della società italiana, aggiungerei che oggi come oggi uscire dal circuito formativo magari per cominciare a lavorare a sedici o diciassette anni è in genere un cattivo investimento. Naturalmente ci sono situazioni in cui un ragazzo semplicemente non può mantenersi agli studi, ma quando non è dettata dal bisogno una simile scelta è molto probabilmente un errore. L’idea che il lavoro pratico sia una “scuola” molto più efficace della scuola stessa è generalmente sbagliata, e si dimostra tale soprattutto a medio-lungo termine, quando un adulto “analfabeta funzionale” rischierà di essere obsoleto e incapace di adeguarsi al mondo del lavoro in trasformazione.

Infine, diciamo una parola sulle politiche pubbliche. Investire nella scuola è uno dei migliori investimenti che possiamo fare (parlo di investire nella scuola, non in sanatorie sovrabbondanti a beneficio di docenti eternamente precari). Se la scuola è un buon investimento, per farlo rendere dobbiamo avere anche efficaci politiche per evitare l’abbandono scolastico; in questo senso, i drastici tagli cui sono stati sottoposti negli ultimi anni i fondi per combattere l’abbandono scolastico sono, per essere gentili, miopi. Bisogna fare di più (anche magari proponendo ai giovani maschi role model alternativi a tronisti e calciatori), non di meno.

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