Gli allegri annunci digitali della Junta di Roma

Nella confusione vigente nella testa degli italiani relativa al digitale, quello che mancava era una iniziativa del M5S che dichiara (è opportuna questa distinzione, per una nazione usa ad annunci di azioni impraticabili) di voler modificare lo statuto del comune di Roma al fine di introdurre una serie di “rivoluzionarie” innovazioni.

Prima ancora di esaminare l’annuncio, vediamo cosa sia lo statuto di un comune, e da quali leggi sia regolato (si, perché un comune è parte dello Stato, e quel che può e non può fare  regolato dalle leggi).

Cominciamo col dire che un Comune non ha facoltà legislativa, come ovvio, ma normativa. Quel che sia e possa fare e non fare un Comune è definito da una legge, il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, del 2000.

Ma vediamo cosa ha annunciato il Comune di Roma, con alla testa l’assessore alla “Roma Semplice”, Marzano, che si era già distinta per annunci dal contenuto discutibile in ambito del “software libero”: un proposta di delibera di modifica dello Statuto del Comune di Roma (qui la versione vigente), a firma del consigliere M5S Struni per introdurre, a quanto si legge su diverse fonti giornalistiche (al momento della scrittura di questo articolo non è disponibile online sui siti istituzionali il testo della proposta delibera, ma ad essa è stato dato ampio risalto sulla stampa e sui siti del M5S) le seguenti modifiche (il grassetto è nostro, e nostre sono le eliminazioni dei pezzi propagandistici):

“La democrazia rappresentativa si sta destrutturando e stanno emergendo nuove forme di partecipazione popolare dal basso in tutto il mondo, anche per la difesa dei servizi pubblici locali. Devono essere i cittadini e le comunità locali a governare le città attraverso internet, utilizzando l’intelligenza collettiva. Il web sta rivoluzionando i rapporti esistenti tra cittadini ed istituzioni rendendo attuabile la democrazia diretta, così come applicata ad Atene e nell’antica Grecia. Con l’avvio di questo percorso istituzionale finalizzato a modificare la carta fondamentale della capitale siamo di fronte ad un tipping point (sic!: un tipping point è un punto critico, che porta a un cambiamento irreversibile; l’origine è in epidemiologia, quando una epidemia va oltre ogni possibilità di contenimento locale, ma questo probabilmente l’illustre oratore non lo sapeva, n.d.a.). per la democrazia diretta a Roma. Non appena saranno approvate in Assemblea Capitolina … le proposte di modifica dello Statuto di Roma passeremo all’adozione dei rispettivi regolamenti attuativi di questi nuovi strumenti. …

Le petizioni popolari elettroniche sono uno strumento antichissimo (sic!) con il quale il cittadino presenta alle istituzioni una richiesta o una proposta. (seguono descrizioni  a livelli nazionali, non comunale).

Referendum propositivo, abrogativo e consultivo, senza quorum: così i cittadini romani avranno la possibilità di sottoporre una proposta al voto popolare e l’amministrazione sarà tenuta a metterla in pratica. Abbiamo anche previsto la possibilità di sperimentare il voto elettronico – e-voting – in cabina elettorale per i referendum locali.

Bilancio partecipativo. … Verrà inserito il bilancio partecipativo, già diffuso in alcuni Comuni italiani tra cui Mira e Ragusa … . Roma Capitale coinvolgerà i cittadini nella costruzione del bilancio sia a livello comunale che a livello municipale promuovendo la possibilità di destinare una quota alla decisione diretta dei cittadini. Dal 1996 il Bilancio Partecipativo è stato riconosciuto dall’Onu come una delle migliori pratiche di governance urbana nel mondo. Il controllo diffuso del denaro dei cittadini è stato sperimentato per la prima volta a Porto Alegre nel 1989 ed è stato adottato anche da Parigi con un sito Internet dedicato alla consultazione della cittadinanza su proposte e progetti da finanziare con il 5 per cento del bilancio.”

Adesso, facciamo lo sforzo di ricordare che quanto detto lo è stato da parte di persone elette e con responsabilità nel prendere decisioni relativamente alla amministrazione della propria città.

L’esordio costituisce una attacco ai principi della democrazia rappresentativa, ovvero alla forma di governo di tutti gli stati occidentali. Non rappresenta una novità in quanto già il partito di appartenenza vorrebbe introdurre il vincolo di mandato, che è stato presente nei paesi a regime comunista e vige oggi solo, in tutto il mondo, presso Panama, Bangladesh e India (non il Portogallo, la cui costituzione dice qualcosa di molto diverso).

Passiamo ora alla “intelligenza collettiva” dei cittadini che dovrebbe governare la città. A parte i richiami orwelliani, o forse meglio huxleyani, la democrazia diretta era applicata, nell’antichità, in alcune città (non certo in tutte quelle della Grecia)  in circostanze particolari e sempre secondo norme che la regolavano. Mai, in nessuna società del mondo, neppure nel microcosmo delle città dell’Attica, è esistito qualcosa del genere: sono esistiti amministratori (o despoti) che governavano le città all’interno delle regole che i cittadini, più o meno saggiamente, si erano dati, e da queste, spesso è dipeso il loro destino futuro. Questo perché (ma questo ce lo insegna l’antropologia, materia che forse non è ben presente alle menti dei politici che parlano di destrutturazione della democrazia) le società composte da poco più di qualche decina di elementi richiedono, per funzionare, di una organizzazione e non di una collettivizzazione. Gli strumenti per indirizzare verso un “pensiero collettivo” intere società appartengono più alla categoria della demagogia dittatoriale che a quella della democrazia e della amministrazione.

E cosa dire delle “antichissime” petizioni popolari elettroniche, se non che lo strumento è già previsto nell’art. 8 dell’attuale Statuto, tranne che per “elettronicità” delle proposte, per i solidi motivi associati alla identificazione delle persone già discussi a fondo qui, discussione che affronta anche il tema delicatissimo e davvero centrale della propensione dei grillini per il voto elettronico, ignorando che tale forma è stata abbandonata dai paesi (occidentali) che la hanno sperimentata a lungo per motivi che non sono legati solo alla tecnologia, che ha le sue debolezze intrinseche e a oggi ineliminabili, ma al fatto che il voto per essere tale deve essere personale e segreto, due caratteristiche che forse non sono gradite a tutti (aggiungiamo che il voto elettorale in cabina si chiama normalmente i-voting, e non e-voting: è il sistema in uso per esempio in alcune contee in USA, e ricorderemo il “riconteggio” dei voti in Florida, nella elezione di Bush). E’ certo che le potenze che da anni sperimentano la “guerra elettronica“, e la hanno anche sperimentata come nel caso della Estonia nel 2007, sono ansiose di vedere i paesi democratici adottare il voto elettronico. Ma questi temi non preoccupano certo gli amministratori del Comune di Roma, la “esperta” Marzano, o il “programma” del M5S. L’abolizione del quorum prospettata come una opportunità è invece una deresponsabilizzazione dei cittadini e degli amministratori e una grande occasione per minoranze organizzate di imporre la propria volontà su una maggioranza (ed è questo il motivo della presenza sia delle firme necessarie per la presentazione di proposte sia per la validità dei risultati).

Veniamo ora al bilancio partecipativo. Ci dicono che è già in uso nelle città di Mira e Ragusa (amministrate, guarda caso, dal M5S) ma non ci dicono che è in uso da tempo anche altrove, anche (ahimè) tramite voto on line (Prato, Legnano, per esempio). A Parigi, citata perché fa molto effetto, i cittadini si sono espressi scegliendo tra 15 proposte dal Comune (è interessante vedere anche quali siano state scelte)  Su questo punto, ricordando sempre che gli amministratori sono stati eletti per, appunto, amministrare, ovvero prendersi la responsabilità delle decisioni effettuate per il bene pubblico, la domanda di metodo che pongo è: una votazione tra i cittadini avrebbe mai finanziato internet, la ricerca sui vaccini o sugli antibiotici, i viaggi spaziali o, banalmente, la costruzione di un acquedotto per portare l’acqua dalla Puglia a Roma e così via? Questa domanda, retorica, ha una risposta, ed è no. Il perchè è correlato al numero di Dunbar: una piccola comunità privilegia interessi locali e che comprende, e nega priorità ad interessi globali, che non comprende, anche quando questi ultimi sono vitali. Quindi, che gli amministratori assumano le loro responsabilità, e tra queste c’è anche quella di decidere nei settori nei quali investire, proprio perché essi godono di una conoscenza e visibilità (nonché di mezzi di conoscenza e di supporto adeguati) superiore a quella dei cittadini “normali”.

Hic satis, come direbbero i latini? No, perché c’è una parte molto interessante che non è stata citata, ovvero il citare ad esempio, da parte del M5S della così detta “piattaforma Rousseau”, di proprietà della Casaleggio&Associati. Un po’ come se Berlusconi avesse detto: ho Mediaset, che bisogno ha l’Italia della RAI?

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Quello che accade visitando (una sola volta) il sito aziendale della Casaleggio, beppegrillo.it e la piattaforma rousseau.

Qualsiasi funzione erogata da strutture pubbliche, anche quelle partecipative devono essere erogate tramite i portali istituzionali, per legge (legge che sta molto scomoda agli amministratori grillini, che usano molto spesso i canali di partito per comunicazioni istituzionali). Quindi, l’assessore Marzano dovrebbe spiegare come intende procedere e quali fondi abbia stanziato, e verso chi, per introdurre queste innovazioni che, se fatte come richiedono le leggi, sono certamente costose e richiedono processi di grande delicatezza, specie per l’accertamento della identità (a meno di non voler utilizzare il sistema di identità digitale nazionale SPID, che certamente non abilita però ad operazioni di voto) e con quale gara vorrà procedere all’appalto per la realizzazione (o forse il noleggio?) di queste funzionalità “rivoluzionarie”.

Una cosa è certa: sono attive da tempo lobby che cercano di sponsorizzare a livello governativo, contro ogni evidenza, il voto elettronico; ora sono attive anche opportunità, per la Casaleggio&Associati, di utilizzare i propri collegamenti politici come canali di penetrazione commerciale e, cosa ben più preoccupante, di controllo della volontà popolare tramite sistemi non certificati di espressione della stessa. Questo mentre le preoccupazioni per azioni che hanno un chiaro carattere di indebolimento della democrazia sono ancora troppo poco denunciate dai cittadini (su Hic Rhodus certamente si), un esempio di denuncia, troppo sommesso per la gravità della situazione, è qui.

Quello che si sta destrutturando non è la democrazia ma la capacità delle persone che hanno la responsabilità di amministrare di farlo. Il dovere primario non è annunciare cose nuove, ma far funzionare bene le cose che ci sono (e non sono poche). Altrimenti, si finirà come le grandi città dell’impero romano, che un giorno, per la evaporazione della organizzazione, complessa e statale, con la responsabilità di manutenere gli acquedotti rimasero senza acqua. Per circa 1500 anni.

E il testo unico sull’ordinamento degli enti locali? Non ce ne siamo dimenticati. Non dice una parola relativamente alle modalità di effettuazione dei referendum comunali Valgono (a meno di sorprese, la giurisprudenza è materia affascinante, e legislatori wannabe se ne trovano sempre) quindi le leggi nazionali che prevedono seggi, identificazione de visu dei votanti, e schede cartacee. Per questo siamo curiosi di leggere il testo della Marzano.