Non ci sono vere ragioni politiche alla crisi di governo in atto. Il fatto è che non c’è nulla di politico, da anni, nel panorama italiano, ma solo un simulacro, una farsa.
– Commenti a eventi politici, generalmente di attualità;
– I programmi politici dei partiti;
[NOTA: per “Democrazia” c’è una categoria specifica]
Non ci sono vere ragioni politiche alla crisi di governo in atto. Il fatto è che non c’è nulla di politico, da anni, nel panorama italiano, ma solo un simulacro, una farsa.
Renzi attacca il piano per il Recovery Fund per cogliere due piccioni con una fava: indebolire Conte e alimentare spesa pubblica “buona” (per lui). Quello che serve al paese è però ben altro.
Mi arrendo. Di fronte al dilagare dell’impolitica e dell’insipienza delle classi dirigenti, a cosa serve, ancora, cercare di imbastire un discorso politico?
Fino al 2017 è stato un movimento civico in cui molti di noi hanno creduto. Poi c’è stato un colpo di mano, un atto notarile che ha sigillato il nuovo statuto e il conferimento di tutti i poteri a Casaleggio e Di Maio. Un colpo di mano di cui molti non si sono accorti. Faccio notare che l’atto fondativo non era pubblico, nessuno di noi aveva capito quello che stava accadendo. (Elena Fattori, in un’intervista comparsa sul Riformista del 2 dic. 2020).
D’Alema afferma che non c’è alternativa all’attuale governo. E il fatto che abbia ragione deve preoccuparci.
In Italia serve una forte destra liberale, europeista, antipopulista. E se è per questo servirebbe anche una vera forza socialdemocratica…
La fine del M5S dovrebbe essere la fine della politica approssimata, fatta a spanne senza competenze. “Dovrebbe”, perché non c’è nessuno a imparare questa lezione…
Alla Camera si parla di Covid e di misure per contenerlo, ma manca il numero legale per approvare una risoluzione di maggioranza su questo tema. La destra esulta platealmente. Perché? Perché fare “la minoranza”, da troppi anni, non significa proporre alternative e vigilare sul potere della maggioranza, ma dire “No” a tutto, sparare nel mucchio, mettersi sempre di traverso, infischiarsene altamente del merito, dei cittadini, del Paese, ma portare a casa il derby, come in Roma-Lazio. Ma solo lì, in quel momento, per quella vicenda, che non si guadagnano punti in campionato o posti venduti ai tifosi in tribuna ma, al massimo, un titolo sui giornalacci. Uno dei motivi per cui il Paese è allo sbando è che la Democrazia, da noi, è rimasta ai Guelfi e Ghibellini.
Il destino politico del M5S è segnato. Il populismo resterà tra noi, e assumerà svariate forme, a destra, a sinistra e nella protesta. Il governo potrà andare avanti per ragioni comprensibili se non condivisibili; i più furbi si ricicleranno da qualche parte a destra o a sinistra; gli idealisti continueranno a credere al complotto come leva del mondo. Casaleggio cercherà di salvare la sua bottega, un caso di dipendenza della politica da un potere esterno commerciale. E Beppe Grillo seguiterà ad allietarci con la fine della democrazia rappresentativa puntando sulla lotteria anche per trovare l’idraulico che ripara i tubi di casa sua. (Massimo Teodori sull’HuffPost del 24 set 2020)
Zingaretti tira un sospiro di sollievo, i 5 Stelle esultano per il referendum, la spallata non c’è stata e il governo durerà. Guardiamo però oltre la nebbia…
Risultati referendari ed elettorali. La democrazia avrebbe vinto?
In un certo senso Rossana Rossanda è stata una mia maestra. Giovane universitario, in cerca di un’identità politica e frastornato dalla grande apertura mentale che mi offriva la sociologia, a me, ragazzotto di campagna, i testi di Rossanda e Magri e Castellina nel manifesto di quegli anni ’70 (che in nulla assomigliava al giornale di oggi, che di quello conserva solo il titolo) furono affilate manifestazioni dell’intelligenza argomentativa, dello spirito critico, della libertà interiore. Solo chi ha un’età può capirlo a fondo, quel loro essere “comunisti” senza essere omologati. Certamente ideologici, certamente non più affini a ciò che poi io sarei diventato, ma quel gruppo, e Rossanda in particolare, furono un esempio grande e luminoso di cosa volesse dire essere intellettuali e “abitare” il ruolo dell’intellettuale con fierezza, coraggio, etica, volontà. Un ruolo perso da tempo, nella nostra patria. Addio Rossana.
Casaleggio jr. è una pallida imitazione di quel furbo allucinato che è stato il padre, ma in quanto a spudoratezza non ha eguali. Da imprenditore qual è (la sua impresa si chiama “Movimento 5 Stelle”), essendo i suoi dipendenti morosi (per essere suoi dipendenti si paga, sì, ma in cambio si passa da nullafacenti a parlamentari), scrive una lettera additandoli al pubblico ludibrio. Non c’è politica, non c’è rapporto dialettico, figurarsi se c’è un democratico congresso, un’elezione, una nomina… Casaleggio è il padrone, e poche chiacchiere. Grillo il suo Amministratore delegato, Di Maio e Crimi, e Di Battista i suoi quadri intermedi, e tutti gli altri, semplicemente, esecutori della sua volontà. Scissioni interne? Leadership parlamentare? Coalizioni locali? Il destino del governo? Prima pagate, bastardi, che siete indietro coi versamenti!
Zingaretti e il PD. Di riformismo, di centro-sinistra, di liberalsocialismo, non c’è rimasto più nulla. Il nuovo partito populista di massa è nato lasciandosi alle spalle una voragine.
Ogni cosa ha due aspetti, due significati, due potenziali effetti… Pagnoncelli nell’ultimissimo sondaggio, nel ricordarci che il 71% degli intervistati è orientato per il “Sì”, fa un’analisi per partito, e ci dice che il 32% degli elettori del PD voterà – contro le indicazioni di Zingaretti – “No”. Ecco. Quindi – visto da me – due democratici (sedicenti) su tre sono ormai assuefatti al clima populista, sono integrati nell’orbita di Di Maio, hanno accettato il salto antropologico senza precedenti dell’attuale dirigenza PD. Ne prendo atto. Anche se lo sentivo già, che le cose erano così, ora è certificato: il PD non è più una possibile risorsa democratica e riformista, nel bene e nel male, sia pure con le sue contraddizioni, ed è ormai chiaramente, decisamente schierata col populismo protofascista; sia a livello di segreteria e dirigenti che a livello di elettori.