Libere elezioni democratiche hanno fatto vincere l’antidemocratico, autoritario, repressore Erdogan. Non è che c’è qualcosa che non va?

Libere elezioni democratiche hanno fatto vincere l’antidemocratico, autoritario, repressore Erdogan. Non è che c’è qualcosa che non va?
Prima o poi lo dovremo capire: la Democrazia in cui crediamo è una favola per bambini…
E’ il popolo che è “bue” (specie se vince l’avversario politico) o sono i leader politici che non sanno comunicare?
Se mai è esistita, oggi l’opinione pubblica è morta. E’ morta cioè la capacità e possibilità, per il popolo informato, di giudicare il ceto politico e l’efficacia delle azioni politiche.
I populisti non vogliono la valutazione delle politiche pubbliche. I razionalisti sì. Un sommario delle ragioni.
Una proposta di rilettura degli ultimi due secoli alla luce dello scontro tra populismi e liberalismo.
Piccola cronaca da chi ha partecipato alla manifestazione delle sardine ieri a Roma. E il quesito fondamentale: e ora?
E’ un governo carnale, questo di Salvini, che ci viene somministrato quotidianamente con abbondanza di immagini. Tette (delle cubiste), panza (sua) esibita con amichevole naturalezza, linguaccia (sempre sua) nei selfi degli entusiasti villeggianti abbracciati a lui, epidermide su epidermide, sudore mischiato a sudore, effluvi corporali con spruzzate di gin e di crema solare 50 (l’ha raccomandata il Capitano in persona in un twit!), piedi, peli, forse anche la tradizionale pisciatina in acqua. Questo è veramente, totalmente, corporalmente, scatologicamente il ministro del popolo, il leader (si pronuncia all’emiliana) del popolo, il primo, il vero, l’unico. Mai nessuno fu come lui, mai nessuno lo sarà più. Durerà a lungo.
Popolo ed élite: c’è anche una frattura orizzontale che separa il Salvini “in noi” dal Salvini fuori di noi.
Gli intellettuali nell’epoca del populismo… Hanno perso il popolo, ma anche la capacità di essere guide.
Stiamo parlando di rapporto fra popolo ed élite. Ma se non esiste più il popolo, a chi deve guardare l’élite?
Ogni analisi, critica, argomentazione politica si confronta col ruolo degli intellettuali. Ma il loro ruolo, nel terzo millennio, è parecchio mutato…
(Con Mappa 29…)
Immagina una famiglia, la tua famiglia. Immagina che ogni santo giorno, a turno, qualcuno s’arrabbi per qualcosa. Dalla mattina alla sera, dall’alba a notte fonda. Immagina le voci si alzino, i toni si incrinano, le espressioni dei visi tirate dalla rabbia. Immagina questo per giorni e giorni, anzi mesi.
La definiresti una famiglia serena? Una famiglia in grado di risolvere i problemi che si hanno da sempre? Qualcuno bestemmia, altri urlano, chi diventa permaloso e chi sbatte la porta e se ne va. Un muro tra le persone, un dialogo frantumato. Inquinato.
Adolescenti a tavola con i genitori, timorosi che una parola storta faccia scoppiare la rissa di parole. Un continuo rivendicare il passato, l’accusa perenne di quel che è stato. Dialogo impossibile, privo di soluzioni per il futuro. Un presente fatto di musi lunghi, risentimento, tristezza. “Tieni, prendi questi soldi, esci e vai a comperare qualcosa… “. “No, papà. Mi serve altro, vorrei ti sedessi e mi ascoltassi, vorrei mi tranquillizzassi. Vorrei non avere paura del giorno dopo, vorrei capissi che non sono i soldi che mi servono, prima di quelli ho bisogno della tua attenzione. Siediti per favore, spegni tutto (cellulari e tv) e ascoltami che ho da dirti cose”.
Un cumulo di eventi ammassati giorno dopo giorno, che ora vanno rispolverati, esaminati, capiti e digeriti se si vuole procedere insieme in modo diverso. Sappiamo cosa non vogliamo più, ma sappiamo cosa è necessario
fare di nuovo per uscire da questo stallo?
Ti prego madre, non urlare più. Padre, per favore ascoltaci e decidi per il meglio cosa fare di questa famiglia, di questo atmosfera, dei fiori che non ci sono sul davanzale, dei sogni che non riusciamo più ad avere, della malinconia sui mobili.
C’è una famiglia che si chiama popolo che è stanco di aver paura del futuro ed è stanco di aver paura delle paure percepite. E’ la fabbrica dei sogni, non la fabbrica della paura di cui si ha bisogno. E’ di realtà e verità che si ha bisogno, guardata con gentilezza e voglia di cambiare il mondo alla Gandhi, però.
Il lupo non c’è. Abbiamo guardato, ma non c’è. Ma c’è un Governo che parla, urla, fa perenne propaganda e vorrebbe farci credere che non possiamo più sognare un mondo per tutti fatto di incontri con l’altro. Abbiamo un Governo che mette a disposizione la paghetta, ma il lavoro non c’è. Abbiamo un Governo che copia quel che è stato, posticipa decisioni, decide sempre all’ultimo secondo, cambia opinione come ci si cambiano le mutande. E urla, sempre, tanto. Troppo.
“Sai benissimo che una goccia inonda il cielo. È così piccolo il mondo che ci osserva” cantava la cantantessa, Carmen Consoli.
Tanti ancora credono al lupo. Gli altri aspettano – tra risate, ironia, preoccupazione per il tempo che passa – confusi e infelici.
Si amplia la distanza fra intellettuali e popolo. Con conseguenze nefaste.