Perché credo che la sfida sia sempre stata Liberalismo vs Populismo

Ho letto con interesse il trittico di articoli di Bezzi sull’inadeguatezza della dicotomia destra-sinistra e la conseguente necessità di integrare queste categorie con una nuova coppia, identificata dall’Autore con “populismo vs. razionalismo”.

Di questa inadeguatezza c’è del resto una certa consapevolezza, fuori dall’Italia e in particolare sul web. Esistono svariati test online che pongono all’utente alcune domande, e in base alle risposte lo collocano in uno dei 4 quadranti risultanti dall’incrocio delle dicotomie destra-sinistra sull’asse X, autoritarismo-libertarismo sulla Y.

Immagine presa da politicalcompass.org. Sull’asse X la dicotomia destra-sinistra si riferisce all’interventismo dello Stato in economia (sinistra = massimo statalismo, destra = lasseiz faire). Sull’asse Y “autoritarismo” e “libertarismo” si riferiscono alle questioni etiche (aborto, matrimoni gay etc.)

Intendiamoci: sono perfettamente d’accordo sul fatto che i populisti di oggi siano irrazionali, tendano a rifiutare la complessità del mondo e a rifugiarsi in schemi pre-politici; così come mi pare innegabile che chi oggi si oppone ai populismi (almeno in Italia) sia razionale, analitico, scientifico, laico.

Mi pare, tuttavia, che queste caratteristiche, verissime per l’oggi, non siano sempre state valide nel corso dei secoli per i regimi populisti del passato.

La scelta di Hitler di sterminare i disabili perché questi rappresentavano un peso per la comunità era abominevole e inumana, ma ahimé razionale, cioè rispondente a un criterio di logicità. E l’URSS è pur sempre riuscita a competere con gli Stati Uniti per svariati anni nella corsa allo spazio e agli armamenti.
In passato, cioè, sono esistiti regimi populisti che non disprezzavano affatto la razionalità, il progresso scientifico, la ricerca, l’istruzione. Al contrario, vedevano nell’istruzione (o almeno così dicevano) lo strumento principe per elevare la condizione del popolo, permettendogli di affrancarsi da quella condizione di sudditanza nei confronti dei “Signori”.

Per questo fatico a vedere il populismo non come un’ideologia, bensì come un modo di rappresentare la realtà.
A tal proposito vorrei qui partire dalle osservazioni di Tom Gordon Palmer, che ha affrontato il tema del populismo in questo articolo e poi in questo podcast, per tentare di spiegare perché, alla fine della giostra, la contrapposizione sia oggi (e sia stata in passato, almeno a partire dalla metà del 1700) tra liberalismo da una parte e populismi dall’altra. E col termine “populismi” intendo qui un calderone che include un’enorme quantità di situazioni, dalla dittatura di Robespierre ai vari Orbàn contemporanei.

Le grandi questioni su cui queste due ideologie si differenziano sono 4:

  1. Qual è lo scopo del governare
  2. Quale ruolo deve giocare lo Stato nel raggiungere il suddetto scopo
  3. Quale ruolo deve avere lo Stato in economia
  4. Chi debba avere il primato: la Legge o la volontà del popolo

IL MONDO SECONDO I POPULISTI

1. Governare significa difendere il popolo dai suoi nemici

I populisti affermano che loro, e solo loro, rappresentano il popolo“. (Jan-Werner Müller).
Per i populismi, governare significa difendere il popolo dai suoi nemici. Qui occorre prima di tutto precisare che, in quest’ottica, con “popolo” non s’intende affatto “tutte le persone che abitano in un Paese”. Esiste un “popolo vero”, un “noi”, contrapposto a un “loro”, cioè appunto “i nemici del popolo”. Come spiega Palmer, questa non è un’interpretazione arbitraria del pensiero dei leader populisti: Nigel Farage, durante la campagna per il referendum sulla Brexit, predisse “una vittoria per il vero popolo” (real people).

Palmer fa notare che l’identificazione del nemico è fondamentale, ancor più dell’identificazione del popolo; anzi, si può dire che sia l’identikit del nemico a definire il “vero popolo”, e non il contrario.

Tenendo presente ciò si può intravedere la principale differenza tra populismi di destra e di sinistra. Per i destrorsi il vero popolo si identifica su base etnica, nazionale, religiosa e “di costumi”; fa parte del popolo chi è in questo Paese da tot generazioni, chi ha il colore della pelle giusto, chi venera la divinità del luogo e si comporta “normalmente”. Sono nemici del popolo gli stranieri (tutti) le minoranza etniche, religiose, gli omosessuali.

I populisti di sinistra invece solitamente dividono il popolo dai suoi nemici su base censitaria: il 99% che occupava Wall Street anni fa si considerava il vero popolo, mentre il famigerato 1% dei più ricchi il suo nemico.

E’ evidente che queste narrazioni, tanto nei secoli passati quanto ancora oggi, si siano più d’una volta accavallate, mischiate, sovrapposte: il nazismo (che, è bene ricordarlo, a livello semantico altro non è che la crasi tra “nazional” e “socialismo”) mischiava ad arte la frustrazione nazionale con quella di classe, così come il fascismo.

2. Per difendere il popolo il Governo deve avere pieni poteri

Chiarito dunque che la difesa del popolo dai nemici è lo scopo del governare, il passo successivo in genere consiste nel chiarire che questo esercizio di difesa può funzionare solo a una condizione: che chi governa disponga di “pieni poteri”. I dibattiti parlamentari, la separazione dei poteri, l’indipendenza degli organi terzi sono intralci: siamo in guerra, e le guerre si vincono solo se i soldati obbediscono senza fiatare agli ordini del generale (di cui ci si può fidare perché è uno del popolo. Come “noi”).

3. Lo Stato è buono e magnanimo, ci protegge dalla globalizzazione

Un altro tratto fondamentale che accomuna i populismi è lo statalismo economico, conseguenza dell’idea che il popolo vada difeso non solo “fisicamente”, ma anche nel portafoglio. D’altronde, la globalizzazione e il mercato sono in genere nemici del popolo tanto quanto le minoranze; il Leader-difensore (avvocato?) del popolo dovrà quindi anche assicurarsi che le aziende patrie vengano aiutate contro la concorrenza sleale (che è tale per definizione) delle imprese straniere. Qualcuno si ricorda le crociate di Di Maio & Friends contro le aperture domenicali dei negozi e il proposito di impedire le consegne ad Amazon di domenica? Ecco.

Questo punto, facilmente riscontrabile nei populismi di sinistra, è forse meno intuitivo con quelli di destra, e anzi in genere trova molti in disaccordo. C’è chi (come Naomi Klein) ritiene che alcune dittature di destra abbiano sposato un’economia “liberista” (laddove con questo termine intendono l’aver avviato privatizzazioni di aziende di Stato e ridotto le tutele dei lavoratori): l’esempio tipico è Pinochet e il suo programma economico ispirato dai famigerati Chicago Boys. Tuttavia, nell’accezione liberale autentica, la libertà economica è qualcosa di assai più complesso. Include la libertà di concorrenza, la possibilità di aprire un’impresa in tempi rapidi e senza dover allungare tangenti al burocrate o al partito al potere, di poter agilmente registrare una proprietà e riscuotere un credito dovuto, di poter fare affari con aziende di altri Paesi senza dazi commerciali etc. Tutte cose che, spesso, nei regimi populisti (compresi quelli di destra) non esistono.

Qui mi sento di dover far notare un punto molto interessante di Palmer, secondo cui l’economia non c’entra quasi niente con l’ascesa dei populismi. Scrive Palmer:

“Eppure i populisti sono aumentati di popolarità o sono saliti al potere in paesi con condizioni economiche molto diverse, tra cui alcuni con una bassa disoccupazione e una crescita economica relativamente elevata. Né l’ascesa del populismo è una questione di età, con le persone anziane che sostengono i populisti nazionalisti di destra e i giovani che sostengono il cosmopolitismo liberale: molti giovani hanno votato per partiti e candidati populisti. Né il voto populista è spiegato in modo robusto dai livelli di reddito.”

Il fattore decisivo, invece, è il peggioramento relativo dei gruppi un tempo dominanti rispetto ad altri. Si è cioè ridotto il gap che divideva i gruppi dominanti dagli altri. I maschi bianchi etero d’America che hanno votato Trump, cioè, pur rimanendo tuttora il gruppo dominante, hanno nostalgia dei “bei tempi andati” in cui le donne erano meno emancipate, i gay non avevano la “sfacciataggine” di mostarsi in pubblico e, ovviamente, non c’erano tutti questi messicani a giro.

4. Il primato della volontà popolare sulla Legge

Quando Salvini invocava l’arresto di Carola Rackete, il sottinteso di quel messaggio era “deve succedere questo perché il popolo lo vuole. E chi se ne frega di cosa dice la legge“. Ora, al di là del fatto che – come detto sopra – Salvini chiama “popolo” i suoi elettori, il principio sottinteso a questo ragionamento è appunto il primato della volontà popolare sulla Legge; i magistrati non dovrebbero applicare le leggi, ma assecondare anch’essi la volontà del popolo. Qualunque essa sia. Senza limite alcuno. E questo è semplicemente il contrario di ciò che prevede l’Art.1 della Costituzione, laddove precisa che il popolo esercita la sovranità “nelle forme e nei limiti della Costituzione“.
In questa visione le leggi non sono uguali per tutti: i nemici del popolo devono essere trattati con (molta) più durezza dei suoi membri.

IL MONDO SECONDO I LIBERALI (CLASSICI)

1. Governare significa difendere i diritti naturali dell’individuo

Nel liberalismo classico, i “diritti naturali” sono solo quattro: “la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”. Ergo, i compiti dello Stato (ideale) sono pochi: proteggere i confini esterni con l’esercito, garantire l’ordine interno tramite la polizia e il rispetto dei contratti tra privati attraverso il sistema giudiziario. Come si può notare, mancano in questo elenco cose come l’istruzione, la sanità, la tutela degli svantaggiati o dell’ambiente; l’idea è, semplicemente, che se le persone son lasciate libere di perseguire i propri interessi, riusciranno a soddisfare autonomamente questi bisogni, tramite il mercato o tramite organizzazioni no-profit e basate sul volontariato. (L’idea che ciò sia fattibile anche al giorno d’oggi suscita francamente qualche perplessità anche al sottoscritto; tuttavia, vivendo nell’Italia di oggi, mi lascia assai più perplesso continuare a pensare che la gestione diretta da parte dello Stato di servizi pubblici, magari in regime di monopolio, sia l’unica soluzione possibile. Ragion per cui, tempo fa, scrissi questo pezzo sulla possibilità di sostituire il Welfare System con un Reddito di Base Incondizionato).

Il momento storico in cui questi princìpi si affermano è la seconda metà del XVIII secolo, in particolare con la Rivoluzione francese. La Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino, nel 1789, sancisce alcuni diritti che rappresentano ancor oggi i pilastri della civiltà moderna.

Ed è contro questi princìpi che, in ultima analisi, si son sempre mossi i populismi del passato (a cominciare dalla dittatura di Robespierre durante la successiva fase della stessa Rivoluzione Francese) e continuano a muoversi quelli odierni.
Quando l’Art. II afferma che “Lo scopo d’ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo vale a dire la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”, salta all’occhio che in questo elenco non figurano cose come portare lustro alla Patria, imporre una morale di Stato, mettere dazi doganali o “redistribuire la ricchezza” con criteri del tutto arbitrari.

E quando gli articoli IV e V affermano che “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri”, e dunque “La legge ha il diritto di proibire le sole azioni nocive alla società”, ciò costituisce la premessa teorica con cui opporsi a qualsiasi proibizionismo. Fumare uno spinello in casa propria non dovrebbe essere vietato, esattamente come non è vietato ubriacarsi con la Vodka sul divano del proprio salotto (mentre invece è ovviamente proibito mettersi alla guida di un’autovettura ubriachi e/o drogati).

2. Per difendere i diritti naturali dell’individuo, il potere del Governo va limitato

Lo Stato è dunque nient’altro che un male necessario. È qualcosa di intrinsecamente pericoloso, perché “il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe assolutamente”. Diventa quindi fondamentale limitare e circoscrivere questo potere, attraverso i famosi check and balances sui cui si fondano i Paesi liberali: separazione dei poteri, pluralismo e indipendenza dell’inofrmazione etc.

3. Il mercantilismo non funziona

Storicamente, il liberalismo economico nacque in opposizione al mercantilismo, una politica economica che oggi, nell’era dei dazi e del ritorno di fiamma del protezionismo, qualcuno considera di fatto rinata.
I liberali (veri) considerano la libertà di commercio la principale e più efficace precauzione contro la guerra.
E la Storia, in particolare quella europea, da loro ragione.
Dove non passano le merci, passeranno gli eserciti” diceva Bastiat.

4. Il primato della legge sulla volontà popolare

Già nella metà del V secolo a.C. i Greci (segnatamente Sofocle) ci hanno insegnato che la libertà consiste nell’essere soggetti alle Leggi decise assieme, anziché all’arbitrio di un Re (come Serse). Eppure, sbaglieremmo a pensare che l’idea di libertà che abbiamo oggi derivi da quella della Grecia classica. Socrate si considerava libero perché poteva partecipare all’assemblea che lo condannò a morte; noi (in questo caso europei) ci consideriamo liberi perché esistono delle leggi che impediscono a qualunque maggioranza (per numerosa che sia) di condannarci a morte. Si tratta, ancora una volta, del primato dell’individuo sulla folla (e di chi dice di rappresentarla), anch’esso figlio della fase liberale della Rivoluzione francese.