L’intellettuale organico nell’Italia del terzo millennio: 1 – L’epifania del nuovo leader

Ancora una prefazione: questo post sarebbe il quinto e ultimo della serie “5 temi per l’opposizione che verrà” (in coda i link ai precedenti testi). Ma è successa una cosa interessante, non rara nella scrittura dei nostri articoli. La scrittura, quella buona, è processo riflessivo che mette ordine alle idee; una sorta di “estroflessione” razionale di pensieri disordinati. Scrivendo, se l’autore lascia libera la mente e la mano segue diligente, il testo si compone in forme a volte inattese e chiarificatrici. Così, scrivendo questo articolo, mi sono accorto che la situazione è più complessa e difficile di quanto pensavo prima di iniziare, e il post è diventato presto più articolato, più difficile anche per me stesso, più angosciante (scusate, questo vale per me e per la sorta di “auto-rivelazione” che ho avuto, una micro-epifania distopica). Quindi, per farla breve, oltre che semplicemente la puntata numero 5 dei “temi per l’opposizione”, questo testo diventa il numero uno di riflessioni che, raccogliendo e sistematizzando molte delle cose scritte in questi anni, ci porterà verso orizzonti che intravedo, e che temo, e che vi proporrò man mano che matureranno in me.

Se questa piccola carrellata su temi per l’opposizione al populismo (in fondo l’elenco delle quattro puntate precedenti) si conclude con gli intellettuali, una ragione ci deve pur essere; e la ragione è legata a una mia visione (non solo mia, ci mancherebbe!) del ruolo dell’intellettuale nella società. Tale visione può essere riassunta in pochi e semplici punti:

  • il popolo nel suo insieme (la collettività, la massa o le masse, il proletariato, la folla, la gente…) non ha un cervello, ma solo una pancia: una pancia da nutrire, costantemente, di cibo, di immagini, di cose, di parole (non uso i termini a caso; per esempio le ‘parole’ non sono né ‘argomenti’ né ‘concetti’, anche se non possono esserne completamente separati come in tanti vecchi post ho raccontato);
  • entro il popolo nel suo insieme ci stanno tutti, anche io e voi, anche Zagrebelsky e Banfi… Ma nel momento in cui guardo gli individui – che pure compongono la massa assieme ad altri – la dimensione massificata resta sullo sfondo, agendo sul singolo che retroagisce sulla massa (Fig. 1);
Fig. 1
  • L’azione della “società” (più corretto sociologicamente…) sull’individuo è potentissima; quella del singolo individuo sulla società è straordinariamente minore, ma di diverso “peso” a seconda degli individui; Ciccio Formaggio conta molto meno di Claudio Bezzi che conta molto meno di Gustavo Zagrebelsky che conta molto meno di Beppe Grillo che conta molto meno di Angela Merkel… Quindi:
  • la retroazione, per quanto minima, c’è. È in qualche modo anche misurabile; i Ferragnez “contano” moltissimo (in determinati contesti) e il loro contare vale soldi; il tema dei contesti è rilevante; i Ferragnez contano in un contesto dove Zagrebelsky conta zero, e viceversa (nella figura sopra potrebbero essere i diversi colori);
  • nel contesto che qui trattiamo (politico, culturale…) la retroazione di certe persone, per una combinazione di fattori, diventa rilevante socialmente, vale a dire è in grado di muovere vaste porzioni di “gente”; in politica si vedano Berlusconi (ai bei tempi), Renzi e ora Salvini; sul piano culturale… vabbé, ci penso un attimo poi ve lo dico (Fig. 2). 
Fig. 2
  • la questione si complica ulteriormente immaginando delle gerarchie di influenzatori (opinion leader; oggi: influencer…); per esempio io potrei avere poco carisma personale ed essere poco adatto a muovere il consenso di vaste aree di popolazione, ma potrei, per qualche ragione, influenzare il politico locale che sa parlare alla masse. Il ruolo di Mazarino, per intenderci: il “consigliere del Principe”…
  • il punto finale di questa carrellata è il seguente: i piani (culturale, emotivo, logico, affettivo…) attraverso i quali si possono influenzare le persone sono molteplici; ci sono leader di condominio, quartiere (il pizzicagnolo spiritoso, il parroco, il vecchio preside…), paese, città e così via. C’è chi è considerato influente da taluni e ignorato da altri, e insomma complicatevela a piacere.

Il pizzicagnolo leader della strada finalizza la sua (in buona parte spontanea e inconsapevole) capacità di leader alla clientela. Il piacione di balera alla serata brillante con qualche signorina. L’artista soddisfa il suo ego con l’acclamazione generale. Il politico influenza porzioni di popolo ai quali riesce a vellicare determinati istinti, stimoli, bisogni, immagini (non necessariamente reali, non necessariamente efficaci…).

E l’intellettuale?

Bisogna intanto definire cosa sia l’intellettuale, e mi permetterete di riprendere una definizione da me già utilizzata precedentemente che riassumo così: sono intellettuali tutte le persone di cultura (non necessariamente accademica) che elaborano e rielaborano le loro competenze, esperienze, idee al fine di operare un cambiamento sociale (limitato a piacere, ampio a piacere). Come scrivevo nel post citato,

molti scienziati (non tutti), molti letterati (quasi tutti), molti artisti, moltissimi giornalisti e politici, una certa parte di persone dello spettacolo, saggisti seri, una manciata di blogger ma, attenzione prego! anche un bel numero di persone che non rientrano nelle precedenti categorie ma che, appunto, “convertono le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo” (Treccani, qui). Ho il ricordo bellissimo di un ragazzo poco più grande di me ma già “uomo”, se capite cosa intendo, che lavorava la terra al mio paese; era un contadino-intellettuale, aveva profondità, aveva visione, aveva sentimento e guidava un piccolo gruppo culturale e politico nel quale anch’io passai qualche tempo molto formativo. E ho anche conosciuto professori universitari di una ristrettezza mentale, piccineria morale e sostanziale ignoranza che, se non fossimo in Italia, verrebbe da chiedere come diavolo abbiano fatto ad accedere ai ranghi universitari.

Sono quindi elementi fondamentali dell’essere intellettuali:

  1. avere una competenza, o un’esperienza, o un’idea in qualche modo originale, e saperla rielaborare, organizzare in quadro cognitivo, e
  2. usarla, metterla a disposizione, condividerla o agirla, con lo scopo esplicito e consapevole di mutare una situazione sociale.

Quindi si può essere intellettuali in un ambito organizzativo, cittadino, culturale sui generis, politico, mentre è vero che il semplice “agire” (politico, culturale…) non è necessariamente un’azione da intellettuali. Alcuni politici sono intellettuali, molti non lo sono; alcuni artisti sono intellettuali, molti non lo sono; molti accademici sono intellettuali, alcuni non lo sono…

Poiché – secondo questa mia definizione – l’intellettuale agisce come elemento trasformativo, è ora necessario chiarire quale trasformazione, come e perché. Ovviamente qui sarebbe pertinente richiamare la definizione gramsciana di ‘intellettuale organico’, già richiamato in un post che è stato importante nella mia riflessione. L’intellettuale gramsciano “sente” il popolo, ne condivide il patimento, ma in quanto “colto” ha le parole e le sa usare contro la borghesia che opprime; si schiera quindi al fianco del popolo (in maniera, appunto, ‘organica’) per difenderlo, sostenerlo, guidarlo. L’intellettuale organico di Gramsci è un leader, costituisce un quadro sindacale o di un partito della sinistra… Ma è passato quasi un secolo. 

L’intellettuale di oggi deve essere organico? A chi? Come?

Oggi non esiste più il popolo. Un popolo subalterno al capitale, un popolo di braccianti e operai, di proletari. Il mondo del terzo millennio non ha cancellato i subalterni, ma ha certamente trasfigurato il popolo; sono scomparsi i legami forti che tenevano stretto il popolo a un destino, a una speranza comune; ora ci sono i poveri, ci sono gli immigrati, ci sono molti deboli ma pochi operai, ci sono paria ed emarginati ma non c’è un “popolo”, singolo, con una qualsivoglia unitarietà. C’è un fritto misto di ceto medio, ci sono ricchi e arricchiti, ci sono capitalisti e privilegiati ma è difficile individuare un avversario o addirittura un nemico, senza generalizzare in maniera stupida (la casta, il liberismo mondialista…). Quale intellettuale dovrebbe essere organico a chi, per combattere contro chi? Per trasformare in che senso? 

L’appello gramsciano ha perso la sua plausibilità perché legato a un momento storico morto e sepolto. 

Si apre un dilemma. Si potrebbe aprire un abisso… L’intellettuale novecentesco vede consumarsi una frattura insanabile col popolo; il popolo percepisce la distanza e non “riconosce” le competenze, le abilità, le idee elaborate dell’intellettuale, non lo riconosce come guida.

Questa frattura provoca due dolori:

  • all’intellettuale (novecentesco), che sente l’inutilità del suo agire;
  • al popolo, ancorché inconsapevole, che vaga senza una guida, anche verso il disastro (e la storia ci propone sufficienti esempi…).

E qui sto per fare la mossa del cavallo perché – salvo smentire quanto ho appena scritto – vi sto per portare a una conclusione pesante. Poche righe sopra ho parlato dell’intellettuale “novecentesco” che avverte la frattura col popolo. Novecentesco; quello colto di libri e di viaggi, quello ricco di studi e di relazioni erudite… Ma io ho, poco sopra, allargato questa ristretta visione dell’intellettuale e, salvo rimangiarmi tutto, non posso che vedere chiare, stagliate contro l’orizzonte, le figure di (ahimé) intellettuali del terzo millennio: Salvini, per esempio, corrisponde in pieno alla descrizione:

  • produce un’elaborazione di idee;
  • le propone come forma di trasformazione politica;
  • interpreta e guida i sentimenti popolari;
  • è un leader.

Bingo!

Salvini il Truce è effettivamente organico al popolo, come Gramsci prescrive; e poiché il popolo del terzo millennio è un coacervo di sentimenti, visioni, contraddizioni, appetiti contrastanti, ecco che il suo leader è altrettanto composito e disgregato, ed è interessante notare che in qualche modo – anche se con altri intenti – già Gramsci l’aveva tratteggiato:

Quando la concezione del mondo non è critica e coerente ma occasionale e disgregata, si appartiene simultaneamente a una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è composita in modo bizzarro: si trovano in essa elementi dell’uomo delle caverne e principii della scienza più moderna e progredita, pregiudizi di tutte le fasi storiche passate grettamente localistiche e intuizioni di una filosofia avvenire quale sarà propria del genere umano unificato mondialmente (Quaderni del carcere, 11, 12, 1376).

Salvini – che, sarà chiaro, viene qui preso a modello, a tipo ideale – è l’intellettuale organico al popolo subalterno del terzo millennio. Come smentire questa supposizione? È un leader; “sente” il popolo (e molto bene), lo interpreta e offre risposte (i vari “no immigrati”, “sì difesa personale”…)… Sospendete il giudizio: non che “popolo” è sempre buono (questo è ciò che dicono i populisti), che “intellettuale” è sempre nobile e via discorrendo. I tempi sono oscuri, perché non capire che vengono meglio interpretati da un Salvini anziché da uno Zagrebelsky? Perché non ammettere che l’intellettualismo che abbiamo sempre concepito (“organico”, militante, di sinistra…) è morto, sconfitto, vaporizzato nella nube cosmica delle leggende novecentesche, e che un popolo ribaldo, cresciuto a merendine e tette berlusconiane (in Italia, all’estero ci sono i degni equivalenti), a social media e cattiva scuola, a edonismo e fancazzismo, non sia finalmente emerso, libero dalle catene del cattivo liberismo mai compiuto, catene fatte di responsabilità, doveri, impegno dai quali ci siamo gioiosamente svincolati? E questo popolo, eternamente in attesa di un leader, quale avrebbe dovuto incoronare se non un individuo suo pari, altrettanto opaco, altrettanto sfuggente, ignorante, furbesco, edonista (i milioni di selfie), alla mano ma fermo, fermo nel non fare nulla (questa è l’indispensabile inazione del leader populista del terzo millennio)?

Salvini (ripeto, come simbolo e prototipo) ha definitivamente seppellito l’analisi novecentesca sul rapporto fra popolo ed élite, anzi: stravolge l’idea di popolo e, attraverso percorsi facilmente individuabili, quello di Nazione.

[Continua…]

Mappa 29 – Il Terzo Millennio e la sfida populista

Per comprendere il quadro globale che precede logicamente il ragionamento di questo post offriamo un quadro articolato di testi precedenti, organizzati in forma di “mappa” (tutte le precedenti mappe di HR possono essere viste QUI).

La complessità nel Terzo Millennio:

Quale democrazia nel Terzo Millennio?

Trasumanar:

Il razionalismo necessario contro l’ideologismo

Vocabolario di una sconfitta:

Il populismo:

Il populismo di sinistra:

Gli intellettuali organici nell’epoca del populismo:

Gli intellettuali:

5 Temi per l’opposizione che verrà:

(In copertina: Il pensatore di Paolo Pomati; dettaglio)