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Allora, poche e chiare cose: 1) Il mondo non funziona per l’evoluzione del pensiero delle masse (pensiero marxista novecentesco) ma per la caotica contrapposizione di singole personalità, arrivate ad occupare posti di prestigio e potere in maniera sostanzialmente casuale; 2) ciò che fanno o non fanno codeste persone determina il futuro di nazioni, per generazioni; nello specifico: la Russia è fottuta, qualunque cosa succeda nei prossimi giorni, o mesi, e i russi con lei; 3) I pochi – pochissimi – che hanno una strategia, un pensiero geopolitico, faticano a districarsi nel caos contemporaneo (vedi la Cina, che sul vassallaggio russo aveva scommesso; invece, comunque vadano le cose, per la Cina sarà un problema); 4) Il rapsodico procedere della Storia non consente mai di mettere un punto e andare a capo; Prigozhin è finito? Non è da credere. Putin è allo stremo? Non mi fiderei troppo. L’Ucraina trarrà vantaggio dalla situazione? Mah… La cosa a mio avviso da comprendere è questa: tutto va complicandosi, tutto procede involvendo, producendo effetti inattesi, conseguenze impreviste. Siamo all’inizio dell’implosione di una nazione di primo piano negli assetti mondiali del Novecento, e le conseguenze saranno tremende. L’Asia sta diventando il cortile di una Cina dalla quale dipendiamo (stupidamente) troppo, e che ha chiare mire anti-occidentali. Gli Stati Uniti hanno perso credibilità prestigio e reale potere (nel bene e nel male). Resta un Europa che non esiste, un Europa di cultura, valori e identità, ostaggio di leaderini locali (Orban, Meloni…) dallo sguardo miope, specchi di elettori ignoranti e impauriti. Comunque vada, sarà dura.

Il nazionalismo di Putin […] non è un nazionalismo grandioso, ma un piccolo nazionalismo. È il nazionalismo di un piccolo Paese – un nazionalismo che ha una vocetta strana, come quella del nazionalismo serbo che negli anni Novanta sbraitava su avvenimenti del XIV secolo. È, sia chiaro, una voce arrabbiata, ma non ha il tono profondo e tonitruante dei comunisti. È la voce del rancore nei confronti dei vincitori della Guerra fredda. È la voce di un uomo la cui dignità è stata offesa. Le aggressive invasioni di campo di una Nato trionfante lo fanno infuriare. E cova la sua rabbia. Ma anche il suo rancore manca di grandeur. E manca, in ogni caso, della capacità di dare spiegazioni. Gli zar potevano spiegare perché la Russia aveva suscitato l’inimicizia dei rivoluzionari liberali e repubblicani: ciò era avvenuto perché la Russia difendeva la vera fede, mentre i liberali e i repubblicani erano i nemici di Dio. Allo stesso modo, anche i leader comunisti potevano spiegare perché l’Unione Sovietica si era fatta a sua volta dei nemici: ciò era avvenuto perché i nemici del comunismo sovietico erano i difensori della classe capitalista e il comunismo costituiva il disfacimento del capitalismo. Putin, invece, parla di “russofobia”, e questo implica un odio irrazionale, qualcosa che non si può spiegare. E, nel suo rancore, non punta neppure a qualche virtuoso obiettivo supremo. (Paul Berman, La catastrofe intellettuale di Vladimir Putin, “Linkiesta”, 18 marzo 2022)