Obiettività, imparzialità, equidistanza, neutralità

Nei giorni scorsi mi sono imbattuto su Facebook in un post del colonnello Orio Giorgio Stirpe, che è uno dei non pochi (ex) alti ufficiali italiani che si sono dedicati all’attività di analista militare e che in questo periodo sono ovviamente molto impegnati e visibili sui media alternativi a quelli classici (TV, quotidiani e periodici cartacei, eccetera). Io l’ho conosciuto in alcuni video sui canali YouTube Parabellum e LiberiOltre (mi sento di consigliare soprattutto il primo, per la profondità e l’accuratezza delle sue analisi sulla guerra), e ho trovato le sue analisi, frutto di un’indiscutibile competenza acquisita sul campo, tra le più inclini a considerare sfavorevolmente la situazione strategica e le scelte militari della Russia.

Alcuni ascoltatori/follower, simpatizzanti in qualche modo per i russi, hanno criticato il colonnello Stirpe accusandolo di distorcere la realtà militare per offrire una rappresentazione del conflitto più favorevole agli ucraini con i quali solidarizza. In sostanza, secondo loro (non moltissimi per quel che posso dire, ma questo non conta), il colonnello anziché analisi obiettive presenterebbe una visione partigiana della situazione, e a questo risponde il post che citavo.

Ora, a me non interessa stabilire quanto queste critiche siano fondate, né dalle poche occasioni in cui l’ho ascoltato mi sento di giudicare appieno le posizioni di Stirpe (fermo restando che ho trovato le sue analisi informate, interessanti e almeno plausibili). Credo invece che sia importante riprendere un punto centrale della sua argomentazione di risposta, perché riguarda una distorsione della comunicazione che nelle discussioni pubbliche è estremamente comune. Stirpe, nel suo post, sottolinea che le sue considerazioni sull’andamento della guerra sono «il risultato di un’analisi militare professionale e oggettiva, indipendentemente dal fatto che io sono e rimango un convinto “partigiano” del mio Paese, dei suoi valori fondanti, e del sistema di alleanze a cui liberamente appartiene». In altre parole, Stirpe evidenzia che la capacità di essere obiettivo non solo non è in contraddizione con la sua storia personale di militare, uomo schierato per definizione, per decenni impegnato con la NATO a sostenere gli interessi strategici dell’Italia e del Patto Atlantico, eccetera, ma che tutto ciò è anzi alla base della sua obiettività, perché un analista militare non obiettivo è un cattivo analista militare, e l’obiettività è parte del bagaglio professionale di chi svolge un ruolo simile, in qualunque organizzazione militi: «questo naturalmente vale per tutti i miei colleghi in ogni esercito del mondo: siamo tutti “di parte”, ma sostenere lealmente le ragioni della nostra Alleanza non inficia il nostro giudizio professionale».

Chi ha ragione? Militare o identificarsi apertamente in un’organizzazione di parte rende ipso facto non obiettivi? È più astratta l’idea di un militante obiettivo o quella di una persona totalmente «neutrale»? E cosa significa essere obiettivi o neutrali? A questo, parlando quindi innanzitutto di linguaggio, penso che valga la pena dedicare una di quelle riflessioni che su Hic Rhodus di solito competono a Claudio Bezzi, che su questi temi è più ferrato di me. Si capirà comunque che, nel metodo se non nel merito, concordo con il colonnello Stirpe.

Prendiamo in considerazione quattro termini, che troppo spesso vengono semanticamente sovrapposti tra loro: obiettivo, imparziale, equidistante, neutrale, e vediamo, senza ricorrere a un vocabolario, come li interpreto e perché dico che confonderli implica una distorsione semantica grave.

Obiettivo significa essenzialmente che osserva e giudica in modo non distorto, sulla sola base dei fatti e di conoscenze “metodologiche”. In questo senso, dato che l’obiettività implica la capacità di osservare e analizzare i dati di fatto, avere un’esperienza specialistica non solo non è uno svantaggio ma può essere indispensabile: che senso avrebbe per me considerarmi un osservatore “obiettivo” di azioni militari che non sono in grado di interpretare? Non saprei neanche cosa osservare, quali fatti considerare rilevanti, e ovviamente come “leggerli” e trarne conclusioni. In altre parole, la competenza è condizione necessaria per l’obiettività.

Imparziale è invece chi non è favorevole od ostile a una delle parti in causa. A differenza dell’obiettività, è un concetto che presuppone l’esistenza di una contrapposizione e la possibilità di schierarsi per l’una o l’altra parte. Come dicevamo per il caso del colonnello Stirpe, spesso non ci troviamo nella condizione di essere imparziali, ma non per questo si può dire che chi è di parte non possa essere obiettivo. È chiaro che un osservatore schierato deve più di altri sforzarsi per essere e dimostrarsi obiettivo, ma questo sforzo, per chi dell’osservazione e analisi delle situazioni fa la sua professione, è indispensabile per far bene il proprio lavoro.

Equidistante è invece chi non solo non è di parte, ma evita di propendere per una parte o l’altra anche a posteriori. In altre parole, l’equidistanza è un modo per evitare di esprimere un giudizio netto. Da un lato, è una posizione utile per chi debba o voglia svolgere un ruolo di mediazione, dall’altro può essere, paradossalmente, una posizione ingiusta in tutti i casi in cui una parte ha chiaramente una prevalenza di ragione. L’equidistanza non solo non coincide con l’obiettività ma ne è in un certo senso la negazione, in quanto chi rifiuta di esprimere un giudizio che non sia neutro non può essere obiettivo, perché i fatti spesso non giustificano una vera equidistanza. In questi casi, l’equidistanza è in realtà una forma di faziosità.

Neutrale, infine, è chi rifiuta di prendere parte non già nel giudizio ma nelle azioni. Può essere un osservatore obiettivo, ma non fa comunque seguire un eventuale giudizio da decisioni e scelte che possano favorire l’una parte o l’altra. Questa “disconnessione” tra valutazioni e azioni è tipicamente dettata da ragioni esterne al problema in discussione, che siano di principio o di opportunità. A mio avviso, si può decidere di essere neutrali, ma non si può dire che la neutralità sia una posizione basata sui dati di fatto: è semmai la conseguenza di una scelta, in senso lato, a priori.

Facciamo un esempio: supponiamo di assistere a un incidente stradale tra due autovetture. Se non conosciamo i guidatori coinvolti, saremo con ogni probabilità imparziali, ma per essere in grado di esprimere un giudizio obiettivo dovremo aver osservato con attenzione i fatti e anche avere il minimo di competenza necessario (conoscere le norme del codice della strada, il significato dei segnali stradali, la tecnica base di guida, le consuetudini, eccetera). Se, poniamo, un’auto ha violentemente tamponato quella che la precedeva, è improbabile che un nostro giudizio obiettivo e imparziale sia anche equidistante: tenderemo a dare ragione con chiarezza a uno dei guidatori e torto all’altro. Infine, potremo decidere se presentarci o meno come testimoni dell’incidente o lasciare il nostro biglietto da visita all’automobilista che “ha ragione”; se non lo faremo, avremo scelto una posizione neutrale, che però non è giustificata dalla nostra valutazione dell’incidente, ma da altre considerazioni (ad esempio non vogliamo scocciature, oppure conosciamo l’automobilista che ha ragione e siamo in cattivi rapporti con lui).

Ecco: quando si discute della guerra in Ucraina (e non solo), è facile incontrare persone che pretendono di far passare per obiettive posizioni equidistanti o neutrali, che obiettive non sono. Chi rifiuta di esprimere un giudizio obiettivo in nome dell’equidistanza, e chi, passando dal piano della valutazione a quello dell’azione, si dichiara “per principio” neutrale, sta sostanzialmente affermando di non essere interessato a ciò che è giusto, o, almeno, a ritenere che i propri giudizi e le proprie azioni debbano essere dettati da considerazioni diverse dai fatti relativi alla guerra in sé. Evitiamo quindi di permettere che posizioni simili siano presentate come “obiettive e imparziali”.

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