Luci nelle tenebre

Mentre i negazionisti un tanto al chilo, gli opinionisti dubbiosi sulle ragioni ucraine gettonati da Bianca Berlinguer, gli ideologi della “pace subito” anche se non si sa come, e infine i relativisti che “la Russia comunque ha le sue ragioni”, mentre tutti costoro hanno scritto dal comodo salotto di casa negando ogni evidenza, mentre tutti costoro comparivano in tv come portatori di una verità alternativa ma osteggiata dal potere, vittime loro, loro, di pensare con libertà pura e intelligentissima contro l’ottusità mainstream delle foto, delle testimonianze, dei filmati che mostravano la barbarie dell’aggressione sovietica (non è un refuso) all’Ucraina, ebbene, mentre da noi accadeva questo, in Russia Ilya Yashin si è preso otto anni e mezzo di carcere per avere denunciato pubblicamente i crimini di guerra commessi a Bucha.



Yashin non è fuggito all’estero, non ha contestato in forma anonima, non ha chinato la testa, non è venuto a patti; sapeva che la sua denuncia avrebbe avuto un prezzo salato, personale, immediato, ma la sua idea di libertà coincide con la sua ricerca di verità.

So che nessun argomento degli avvocati avrà effetto su di voi e che oggi tornerò in cella. Ma so anche che lì sono più libero di voi, persone che violentate la giustizia. Perché a differenza vostra, la mia coscienza è pulita, e la mia anima non è avvelenata dalla paura e dal cinismo. La prigione prima o poi terminerà, ma la mia sensazione di dignità personale resterà. Mentre voi, bravi signori, dovrete convivere con ciò (Ylya Yashin ai giudici, prima della sentenza)

Yashin in Russia, come Navalny e altri (pochissimi) uomini e donne coraggiosi, in Iran Mohsen Shekari e Mahan Sedarat Madani, impiccati per le rivolte contro uno dei regimi più sanguinari e ottusi del pianeta, poi c’è la lunga lista dei dissidenti turchi, che Erdogan aspetta gli siano “restituiti” da Svezia e Finlandia in cambio del suo assenso al loro ingresso nella Nato (fonte), e se volgiamo lo sguardo un po’ più lontano, Cina, Sud America, Africa, paesi arabi (come il Qatar, per dire), la lista delle efferatezze di un potere dispotico da una parte, e quella dei resistenti, disponibili a sacrificare libertà e vita, dall’altra, riempirebbero molte pagine di questo blog. Un salto sul sito di Amnesty, a questo punto, è un suggerimento d’obbligo.

Nel pessimismo del tramonto che, credo, avvolge gli ultimi anni di ciascuno di noi, si acuisce il mio sconforto per le tenebre che avvolgono l’umanità: soprusi, corruzione e infingardaggine dei potenti al vertice (il caso delle corruzioni al Parlamento europeo è fortemente emblematico), opportunismo, cinismo, ignavia in basso. In queste tenebre gelide brillano, a volerle vedere, piccole fiammelle di speranza: i dissidenti, i resistenti, gli oppositori che tengono viva la speranza che l’umanità, specie orribile di questo universo, riesca a cambiare, a evolvere.

Se il sacrificio di Yashin sarà servito ad alimentare la consapevolezza in un numero consistente di russi, tanto più in quanto ha difeso la sua testimonianza pagandola con la galera; se i morti e feriti in Iran faranno capitolare i preti-aguzzini che hanno trasformato il Paese in una galera da incubo; se i curdi, se gli intellettuali cinesi, se i nativi dell’Amazzonia, se tutti costoro riusciranno a smuovere una coscienza, far riflettere, far cambiare atteggiamenti e comportamenti, ecco: il sacrificio di costoro sarà valso la pena per la loro causa, per il loro Paese ma, io credo, per tutti noi, per l’umanità. Il sacrificio. La testimonianza della verità implica il sacrificio, la presuppone. Se Yashin avesse detto e fatto le stesse cose, ma da rifugiato – poniamo – a Londra, non sarebbero servite a nulla; facile sarebbe stato, per i suoi detrattori, criticarlo, denunciarlo come servo dell’Occidente. E’ impressionante la sua consapevolezza: testimoniare la verità attraverso il suo sacrificio. Se non fosse che sono ateo, mi parrebbe una straordinaria metafora cristiana.

Certo – sto pensando – è “facile” (mi esprimo con un paradosso) essere eroi in un paese in guerra come l’Ucraina, in nazioni oppresse come in Medio Oriente, sotto una dittatura come in Russia, ma nella grassa Europa, nella vecchia, stanca e appagata Europa, come si fa a resistere? In che senso si può combattere per la verità? In che modo  impegnarsi a “spingere” verso un progresso etico? E quale sarebbe il sacrificio da pagare? In Italia, poi! Dove i vertici del potere sono formati da mediocri che vivono di estemporaneità, e il popolo veleggia sugli abusi sperando nei condoni…

Ebbene, non lo so, non vorrei scivolare sulla buccia di banana della retorica, ma credo che ci sia uno spazio di resistenza anche nel ricco Occidente, e segnatamente nell’Italia delle mediocrità: se è vero, come a scritto Vargas Llosa, che “La patria è una casualità priva di importanza nella vita”, possiamo immaginare che a ognuno è data l’opportunità di cercare la libertà, nella verità, a partire dalle condizioni in cui gli è capitato di vivere; per me, per voi, non le piazze di Teheran o le strade di Mosca, non i Tristi tropici o le periferie di Pyongyang, ma l’Occidente acculturato, sazio, confuso nelle innumerevoli stratificazioni di boiate sesquipedali che stanno incrostando la nostra vita quotidiana: se la mensa scolastica non dia troppe verdure al pupo, se i giudici di X Factor siano stati equi, dove trovare il panettone dietetico compatibile con la dieta, e cosa diavolo regalare a Natale al coniuge visto che ha già tutto, ma proprio tutto, e la Meloni che non vuole usare la concordanza di genere, e le correnti del PD…

Essere eroi in Occidente è difficilissimo, quasi impossibile. Ma la nostra ricerca di libertà e verità è necessaria e urgente anche se non abbiamo da combattere il fascismo neosovietico di Putin o l’oltranzismo teocratico degli ayatollah. La nostra vita quotidiana, a ben guardare, necessita con urgenza di molti atti eroici di testimonianza di libertà.

Intanto, da subito, #nonomologatevi!