Quel pazzo di Putin non ha “semplicemente” fatto guerra all’Ucraina. Ha dato l’avvio a una catena di eventi incontrollabili che – mi pare – spiegano abbastanza bene il senso di una globalizzazione da intendere in un senso basico, quasi banale: se fai un casino qui, succede certamente qualcosa anche lì, lì e là. Se quel concetto di globalizzazione, poi, viene dilatato secondo il pensiero contemporaneo (con significati marcatamente economici e finanziari – qualche appunto QUI) la faccenda non può che complessificarsi ancor più.
Alcune conseguenze della guerra putiniana (oltre a quelle ovvie e contingenti dei morti e delle distruzioni):
- rapido declino economico della Russia, con conseguenze, abbastanza a breve, molto drammatiche e durature per quel popolo;
- marginalizzazione internazionale della Russia, per il debito reputazionale che una guerra di aggressione comporta nel mondo contemporaneo (sì, la Cina e forse l’India e altri paesi di secondo piano attrarranno l’interesse russo, ma il saldo sarà ampiamente negativo);
- la NATO, ormai morta e sepolta, è stata rivitalizzata e rinvigorita, ha trovato un nuovo slancio e importanti nuovi candidati (Finlandia e Svezia, che invece erano da sempre neutrali);
- le economie europee, che stavano trovando slancio nella ripresa post pandemica, stanno precipitando in spirali inflattive e di minor produttività per la crisi della bilancia commerciale con la Russia e per la carenza di fonti energetiche (assieme ad altre ragioni terze);
- la fame dilaga in paesi poveri e poverissimi che dipendono dal grano ucraino e russo;
- l’impatto umanitario è devastante, con molti milioni di persone che sono fuggite dall’Ucraina (pensate ai problemi logistici e organizzativi; la necessità di fornire loro protezione, status giuridico, assistenza sanitaria, un alloggio, per un numero imprecisato di mesi o anni);
- il quadro geopolitico si modificherà anche nel Medio Oriente, in maniera più o meno seria in relazione a come ne uscirà la Russia, che in questo quadrante ha alcuni importanti nemici, qualche amico e qualche alleato pronto a cambiare alleanze, con conseguenze nelle guerre locali che da anni devastano l’area.
Se anche Claudio Bezzi, per esempio, volesse infischiarsene di questa guerra, semplicemente non potrebbe. La qualità della mia vita si ridurrà, pagherò di più le bollette, cresceranno disagi e povertà attorno a me, mi troverò donne ucraine disperate che dovranno pur far qualcosa, il mio Paese si collocherà o ricollocherà nello scacchiere internazionale con potenziali conseguenze negative in futuro e, ovvio, il mio senso di insicurezza, già messo a dura prova dal Covid, sta subendo ulteriori aggressioni.
A questo punto, ma solo come esercizio, dovremmo introdurre le conseguenze di conseguenze, che come il sasso nello stagno causano cerchi concentrici successivi. Fra le conseguenza di conseguenze ci sono accentuazioni delle migrazioni (dai paesi affamati), nuovi impegni militari, forse un nuovo partner nell’Unione Europea (io personalmente sono contrario all’immediato ingresso del’Ucraina; sono eroi, e io faccio il tifo per loro, ma come erano considerati inadatti il giorno prima dell’invasione lo sono tuttora, e abbiamo già l’Ungheria e la Polonia a minare il progetto europeo), una almeno parziale ricomposizione dei commerci (pensiamo alla Cina e a quello che potrebbe perdere e guadagnare, con ovvie ricadute sulla nostra economia e sui suoi desideri espansionisti nel Pacifico), la crisi definitiva di certi settori e distretti industriali italiani (pensiamo solo alle scarpe marchigiane, quasi totalmente vendute in Russia), e un sacco di altre cose che ora non mi vengono in mente.
In un mondo che sta andando alla deriva, quindi, posso (sbagliando) disinteressarmi ai conflitti tribali africani, alla svolta autoritaria nelle Filippine, di Maduro che resterà al potere in Venezuela, Trump che potrebbe tornarci negli Stati Uniti, Erdogan che approfitta della confusione per fare qualche sparatina sui curdi, Al Sisi che ci spernacchia e via enumerando, ma semplicemente non posso. Cioè: sì, posso, ma sarebbe stupido. Anche se posso non vedere le conseguenze di ogni singola malefatta che si compie nel mondo, o addirittura le conseguenze di conseguenze, il caso ucraino, che soffriamo così perché più vicino a noi (nei giornali della Terra del Fuoco se ne parla a malapena a pag. 10) ci mostra chiaramente come la bella vita del contadino dell’Ottocento che aveva come massima preoccupazione la grandine, e per il resto il mondo era un fiume che scorreva placido, è scomparso da un bel po’ (dai, lo so che non è vero, cercate di capire le metafore per quello che sono).
Il pianeta è ridotto a uno sputo di fango brulicante di individui; se inquiniamo là, respiriamo male anche qui; se collassa un’economia qui, ne risentiranno anche là; una guerra in Ucraina ci devasta tutti, ma qualche conseguenza di conseguenze arriva fino a casa mia anche per Maduro e Trump, per le elezioni nelle Filippine e per le isole che scompaiono nel Pacifico, per la repressione ad Hong Kong come per la fame in Sudan.
Diamine, è il Terzo Millennio, mica noccioline! Il secolo breve è morto di vergogna, e questo, attuale, ci impone nuove visioni, nuove mentalità, nuove competenze, nuove sensibilità.
Approfondimenti:
- Nataliya Katser-Buchkovska, The consequences of the war in Ukraine will be far-reaching, World Economic Forum, 29 apr 2022 (abbastanza semplice ma completo);
- Joseph Borrell, The war in Ukraine and its implications for the EU, European Union – External Action, 14 mar 2022 (non aggiornatissimo ma centrato – con dati – sulle forniture energetiche);
- Sara Pantuliano, The systemic impacts of the war in Ukraine: a triple shock, ODI, 31 mar 2022 (abbastanza completo sotto il profilo economico).