Ho letto, con crescente malessere, quanto ha scritto Fausto Bertinotti a proposito della guerra, sul Riformista del 24 aprile. Sgomberiamo subito il campo: si deve leggere tutto, si deve capire il pensiero di chiunque, non tanto per cercare punti di accordo (ben vengano, ma non è quello lo scopo) ma per instaurare una dialettica efficace, perché anche per dirti “non sono d’accordo con te” devo preliminarmente fare uno sforzo per capire il tuo lessico (parole, costruzione di un pensiero), e poi oltre: la tua semantica (valori, idee…) e poi, difficile, sì, la tua pragmatica (la tua volizione, l’agire politico che si manifesta in quel discorso). Ho letto la lunga riflessione di Bertinotti e, francamente, non si tratta di non essere d’accordo con lui (come vedremo, il suo testo è più ricco di ambiguità che di asserti) ma di provare un malessere psicologico, emotivo, sostanzialmente politico. Bertinotti – uomo di cultura e intelligenza ed esperienza, quanta ben utilizzata e quanta sprecata non posso dirlo – rappresenta oggi l’intellettuale di sinistra nella sua manifestazione più interessante; mai aggressivo, mai eccessivo, sempre forbito e sintatticamente evoluto, ti costringe a una lettura non subitanea, non superficiale. Ti impone un lavoro ermeneutico che risulta – ma solo alla fine – deludente, povero, quasi meschino.
Procediamo.
Il tema è la guerra contrapposta alla pace. La guerra è male e la pace è bene. E’ ovvio essere d’accordo con premesse così generali, tanto da essere piuttosto inutili. Se parliamo di guerra e di pace in un caso concreto, drammatico, vicino alle nostre case, e se lo scopo della nostra argomentazione è la democrazia e le ingiustizie (come da titolo dell’articolo bertinottiano) in epoca bellica, allora non puoi tacere sulle responsabilità, prima di discettare sulle conseguenze. Non farlo significa espropriare il caso in questione di qualunque specificità, e quindi anche della sua umanità (alla quale fa sovente appello il Bertinotti âgé). Bene: Bertinotti dice esplicitamente che esiste un aggressione russa sull’Ucraina (ci mancherebbe!) ma
La guerra scatenata dall’aggressione della Russia di Putin in Ucraina è una delle oltre 60 che occupano la scena del pianeta. La terza guerra mondiale a pezzi coinvolge ora direttamente l’Europa. […] L’orrore delle cronache di distruzione e di morte che provengono dall’Ucraina non si diluisce, se si allarga lo sguardo fino a comprendere tutte le guerre in atto nel mondo intero.
Poiché ciascuna parola, ciascuna frase di un discorso, ha sempre un senso, non esiste casualità, Bertinotti ci dice quindi che non dobbiamo guardare tanto all’Ucraina ma alla condizione estesa, mondiale, di un guerreggiare diffuso; cosa verissima, sia chiaro, di cui però dobbiamo afferrare la ragione; dove vuole parare Bertinotti? Qui:
Le conseguenze sociali anche sulle popolazioni non direttamente coinvolte non sono solo un danno collaterale, sono parte esse stesse della guerra. Già oggi possiamo misurarle e vedere quali conseguenze drammatiche producono nella vita di intere popolazioni, di classi, di ceti sociali, soprattutto in quelle già provate e disposte al rischio di povertà.
La guerra, sostiene a ragione l’Autore, provoca povertà diffusa e ingiustizie estese non solo fra i principali attori del conflitto (in questo caso: Russia e Ucraina) ma in altri paesi già colpiti da carestie e povertà, e qui vengono citati i noti casi dell’africa subsahariana, Eritrea, Senegal, che dipendono per enorme parte dal grano russo e ucraino. La grave crisi alimentare – spiega correttamente Bertinotti – ha a che fare con la democrazia, perché il popolo affamato prima vuole il pane, e poi si cura della sua forma di governo (sintetizzo, Bertinotti è scrittore addirittura più produttivo di me).
Arrivato a questo punto (ormai ci siamo avviluppati in questioni che sono conseguenze di conseguenze della guerra) arriva l’affondo, con una brusca virata:
Se riesci a bucare la coltre costituita dall’informazione organizzata per il consenso e dalla morte della politica istituzionale allora puoi già vedere cosa si genera nel profondo delle realtà sociali, della società civile anche qui, in Italia e in Europa. È una realtà che si vorrebbe nascondere trasformando attraverso un’operazione ideologica tanto rozza quanto diffusa nelle classi dirigenti, la guerra di invasione in Ucraina in una contesa generale tra autoritarismo e democrazia.
Quindi, senza connessione logica (almeno, nessuna connessione logica viene argomentata fra la crisi del pane nel Senegal e una presunta contesa fra autoritarismo e democrazia) si può alla fine affermare
Ma [queste situazioni] smascherano il trucco ideologico perché ci conducono a interrogarci sullo stato delle nostre democrazie, quelle che ora vengono assolutizzate e mondate di ogni loro peccato solo per dare una certa veste ideologica alla guerra, assai diversa dalla sua natura concreta. Perché prima il pane e non insieme pane e pace? Pane e democrazia? Perché sebbene i termini molto diversi, in Europa come in Tunisia, la democrazia reale, quella in cui viviamo, ha tradito le promesse della democrazia. Nella sua promessa c’era il pane per tutte e per tutti, al di là della metafora, in Italia la promessa della Costituzione democratica, diversamente da quelle liberali, è stata proprio quella di considerare la democrazia come sinonimo di eguaglianza.
Quindi, provando a riepilogare: 1) la guerra in Ucraina (una delle tante in corso) causa una crisi alimentare in alcuni paesi africani e mediorientali; 2) povertà e fame minacciano i governi e i tentativi di democrazia in quelle aree; 3) il problema non è l’autoritarismo russo (si veda due citazioni sopra) ma la promessa tradita dalla democrazia; quale democrazia? Quella dell’Ucraina? Quella dell’Italia? Quella del Senegal? No, la democrazia in generale, tout-court, come ideale borghese:
I ceti abbienti possono in certi tempi frequentare i terreni della democrazia a prescindere, il popolo no.
La democrazia è un’invenzione borghese, liberale, e il popolo si fotta.
Il popolo deve poter dare un senso alla democrazia attraverso le aspettative di futuro, la natura dei rapporti sociali in atto, le possibilità concrete di migliorare la propria condizione di lavoro e di vita.
A questo punto sono un po’ frastornato, essendo partito dall’Ucraina in guerra e finito in un non luogo astratto, ma ecco la Grande Invenzione Ideologica: “È il popolo che deve dare un senso alla democrazia”. Oh perdincibacco! Cosa significa? In che modo può farlo (con la rivoluzione bolscevica?)? Risolverebbero così, i senegalesi, il loro problema di pane? Le risposte a questi quesiti arrivano nella chiusa del testo:
L’alternativa non è tra libertà e condizionatore, come sgangheratamente ha avuto modo di dire il nostro presidente del Consiglio. Non è cioè tra libertà e bisogni da soddisfare. La prima alternativa è tra pace e guerra, solo nella pace ci può essere la giustizia sociale e una democrazia di massa viva e partecipata. Per questo, un’alternativa allo stato di cose presenti, alle attuali politiche dei governi, si costituisce dal basso, con l’impegno nella società, coniugando l’impegno per la pace con quello per il soddisfacimento dei bisogni, in una pratica sociale, politica e culturale che è il fondamento di ogni democrazia vivente.
Scrive il Bertinotti che quel senso al concetto di democrazia (un senso che darà il pane ai senegalesi e farà – immagino – finire la guerra in Ucraina) si costruisce scansando la dicotomia guerra/pace, e puntando a una pace che – con una democrazia di massa, viva e partecipata (che non significa nulla) – garantisca giustizia sociale.
Incredulo, rileggo: tutto il pistolotto di cui sopra per dire non bisogna contrapporre, alla guerra in atto, reale e devastante, la pace intesa dalle democrazie occidentali “sgangherate”, ma una pace intesa come “impegno dal basso, bla bla…”.
Alzo gli occhi dal giornale e mi trovo a fissare il muro; e quindi?
L’analisi lessicale e semantica di questo testo, facendola per bene, rivelerebbe una serie di fallacie logiche, non sequitur, salti illogici, generalizzazioni indebite, falsi storici ed elementi disconnessi nell’argomentazione, che possono non essere colti solo dal lettore frettoloso o già ideologicamente orientato verso la sottovalutazione del conflitto ucraino rispetto a una generica idea astratta di pace, giustizia sociale e così via. E anche la contrapposizione (implicita) fra un fatto reale (l’invasione) e un’idea astratta (quel concetto di pace) è di per sé fallace, non già sotto il profilo politico ma proprio, a monte, sotto quello logico, semantico.
C’è la guerra che produce gravi conseguenze, quindi dobbiamo costruire la democrazia dal basso. Ma cosa diavolo sta dicendo?
Se sotto il profilo del discorso il testo di Bertinotti è quindi solo un mucchio di retorica mal posta, può restare in ogni caso un giudizio politico. Perché quella ucraina sarà pure una delle 60 guerre in atto (domanda: prima dell’invasione russa dell’Ucraina Bertinotti si stracciava le vesti per le altre 59?) ma Bertinotti è esattamente da quella che prende spunto, e onestamente mi pare pochino, pochino davvero, dichiarare che sì, è stata invasa, e poi lasciar correre; e le conseguenze sulle esportazioni di grano, vogliamo parlarne? Se arriverà meno grano russo e ucraino in Senegal e altrove, non è per le mascalzonate delle democrazie plutocratiche di quei paesi, ma perché la Russia ha invaso l’Ucraina, ovvero una dittatura ha invaso un paese democratico (antipatico, sia chiaro, ancora non maturo rispetto agli standard occidentali, ma certamente un paese che si stava facendo gli affari suoi e che doveva – seguendo il pensiero bertinottiano – trovare “dal basso” la sua strada). Tutta la filippica sui popoli devastati dalla fame e traditi dalla democrazia, quindi, nel testo di Bertinotti riguarda popoli devastati dalla fame grazie al bellicismo espansionista, massimalista e assassino di Putin, una cosa che avrei di molto apprezzato nel testo come affermazione chiara e netta, prima di andare a marciare per una pace assai ambigua.
Sì, ovvio che poi si può criticare la democrazia liberale (la demokratiya russa no, quella non si può); sono talmente consapevole che sia da criticare, da migliorare, che ci ho appena scritto un libro sopra con l’amico Machera. Io credo fermamente che le democrazie liberali siano gravide di limiti, errori ed ingiustizie ereditate dal Novecento, e che occorra un grandissimo sforzo corale per superare quei limiti, e non sarà impegno breve, e non so se ci riusciremo. Ma non vorrei vivere in nessun altro angolo del pianeta che nell’Europa occidentale dalle deboli e fragili e contraddittorie democrazie; anche l’America mi pare molto peggio; la Cina è assaissimamente peggio; la Russia è peggio in maniera devastante e sanguinaria. Quindi: di cosa diavolo parla Bertinotti, realmente?
(Buon 25 aprile, festa di tutti gli italiani contro tutti i fascismi, incluso il fascismo putiniano)