Il Rapporto Istat 2017 certifica la dissoluzione delle tradizionali classi sociali, ed evidenzia il crescente peso economico dei più anziani.
Il Rapporto Istat 2017 certifica la dissoluzione delle tradizionali classi sociali, ed evidenzia il crescente peso economico dei più anziani.
L’analisi storica mostra il costante miglioramento delle nostre vite sotto vari profili (economico, sanitario…) anche se non lo percepiamo e ci sembra che tutto vada a rotoli.
Come abbiamo già segnalato, l’Istat ha recentemente pubblicato il suo Rapporto Annuale 2016, che contiene numerosi e interessanti dati e approfondimenti in diverse aree di analisi. Con tutta probabilità torneremo ad attingervi in prossimi post, ma in questo vogliamo prendere in esame uno degli elementi centrali del rapporto, ossia le differenze tra le generazioni, in particolare viste dalla prospettiva dei giovani che non siano “figli di papà”: il romanzo di un giovane povero, per prendere in prestito il titolo del film di Ettore Scola.
Periodicamente, l’Oxfam, una ONG specializzata nella lotta globale alla povertà, pubblica dati e rapporti che evidenziano il crescente divario tra ricchi e poveri nel mondo. Quello che è però significativo, ed evidente nel rapporto 2016 sulla disuguaglianza economica, è che, mentre la distanza tra paesi “ricchi” e paesi “poveri” tende a ridursi, si allarga quella tra i ricchi di tutto il mondo e tutti gli altri (non solo i poveri). Il rapporto s’intitola Un’economia per l’1%, perché parte dal fatto che l’1% più ricco della popolazione mondiale possiede più della metà dei beni del pianeta. Ci siete anche voi?

Il World Health Report stilato dalla World Health Organization (quale fonte più autorevole?), ha stabilito che l’Italia, sommando i vari indicatori esaminati, è il secondo sistema sanitario al mondo, dopo la Francia. Il Regno Unito è 18°, gli svizzeri 20i, gli Stati Uniti 37i, tanto per far riferimento a paesi e sistemi sanitari a volte celebrati.
Prima c’erano i blocchi, i residui del colonialismo e un mondo con dei confini precisi ma ampi. Non si poteva andare per turismo oltre la cortina di ferro, ma per il resto c’era ampio spazio per viaggiare; oltre all’Occidente e ad alleati sparsi per il globo (come il Giappone, il Sud Africa…) c’era un discreto gruppo di spietati dittatori che strizzava compiacente l’occhio agli occidentali: in Nord Africa, Medio Oriente e alcune zone dell’Asia. In Africa ci si andava se ricchi e avventurosi, per fare emozionanti safari sulle orme di Hemingway,
Questo articolo è parte di un ciclo di tre in cui un gruppo qualificato di sociologi ci ha raccontato la sua visione dei problemi attuali e dei possibili sviluppi. I tre articoli sono così organizzati:
Va da sé che una domanda sui “destini del mondo” non è semplicemente complessa quanto impossibile. Benché abbia una discreta stima del pensiero sociologico non pretendevo di avere, dal gruppo interpellato, un breviario dei problemi mondiali e semmai le loro soluzioni. Ma dopo “Italia” ed “Europa” ho voluto provocare i miei partecipanti per cercare di cogliere sostanzialmente alcune dimensioni generale entro le quali collocare le precedenti risposte più “locali”. Insomma: i problemi dell’Italia, l’affanno europeo, sono collocati in uno scenario più ampio di cui volevo almeno la segnalazione delle principali dimensioni.
Questo articolo è parte di un ciclo di tre in cui un gruppo qualificato di sociologi ci ha raccontato la sua visione dei problemi attuali e dei possibili sviluppi. I tre articoli sono così organizzati:
Se – come visto nell’articolo precedente – i nostri sociologi risultano piuttosto disincantati sulla realtà europea e i suoi destini, parlando d’Italia hanno manifestato tutti dei punti di vista abbastanza critici; tale atteggiamento critico poteva essere atteso, essendo probabilmente comune a tantissimi italiani, e diventano interessanti le ragioni di tale critica, le articolazioni del giudizio che si suddividono in poche e chiare dimensioni della quali la maggiore è – diciamo così – “antropologica”, legata al carattere degli italiani, alla loro etica, all’incapacità di sentirsi comunità assumendosene le responsabilità:

Si appanna l’immagine di successo del Brasile, a pochi mesi dalla celebrazione dei Mondiali di calcio? La stampa internazionale ha dato ampio risalto alle dimostrazioni che a giugno del 2013 hanno visto più di un milione di persone protestare in cento città del Brasile. Se la miccia iniziale è stata l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico, l’onda lunga delle contestazioni ha poi trascinato con sé un malcontento molto più ampio nei confronti del sistema politico ed istituzionale. Uno dei bersagli principali delle marce sono stati gli investimenti multimilionari per ospitare i Mondiali, gli sprechi e la corruzione. La gran parte delle mobilitazioni è stata pacifica, anche se si denuncia qualche infiltrazione da parte di gruppi della sinistra estremista. Sta di fatto, comunque, che nel paese non avvenivano manifestazioni così imponenti dal 1992, quando esplose un movimento di piazza contro la corruzione del governo dell’allora presidente Fernando Collor de Mello.

Nel caso siate stati sul Marte negli ultimi 30 giorni, potreste non aver saputo dell’iniqua e vergognosa distribuzione della ricchezza nel mondo. Perché, con la pubblicazione del World Wealth Report, la notizia che tutti i giornali hanno riportato è che circa l’1% della popolazione possiede più o meno la metà della ricchezza del mondo, fatto usualmente accompagnato da commenti del tipo “mai tanta ineguaglianza”.
L’Oxfam briefing paper è molto chiaro in proposito, basandosi su dati del World Economic Forum: