Come abbiamo già segnalato, l’Istat ha recentemente pubblicato il suo Rapporto Annuale 2016, che contiene numerosi e interessanti dati e approfondimenti in diverse aree di analisi. Con tutta probabilità torneremo ad attingervi in prossimi post, ma in questo vogliamo prendere in esame uno degli elementi centrali del rapporto, ossia le differenze tra le generazioni, in particolare viste dalla prospettiva dei giovani che non siano “figli di papà”: il romanzo di un giovane povero, per prendere in prestito il titolo del film di Ettore Scola.
Innanzitutto, bisogna prendere atto che nel nostro paese il giovane povero è tutt’altro che una creazione narrativa: in Italia, in circa vent’anni, in presenza di un’economia poco dinamica è aumentata moltissimo la disuguaglianza, e se prima eravamo su livelli “scandinavi” ora abbiamo raggiunto quelli di paesi come USA e UK, come si vede nel grafico qui sotto. Ovviamente, questo significa che il rischio di povertà si estende.

Quanto al “giovane”, un italiano povero ha modo di cominciare la sua “carriera” fin dall’infanzia. Come si vede dal grafico qui sotto, se la povertà è un fenomeno in crescita nel nostro paese, decisamente più accentuata è questa crescita tra i minori di 18 anni [la povertà assoluta si ha quando un nucleo familiare ha una capacità di spesa inferiore a un minimo corrispondente all’acquisto di un paniere di beni essenziali, quella relativa si ha quando essa è inferiore a una soglia che dipende dalla disponibilità media di tutte le famiglie]:

Il diagramma qui sotto mostra con chiarezza come si è spostato negli ultimi vent’anni il baricentro della povertà, a svantaggio dei giovanissimi (e delle loro famiglie) mentre gli anziani, le cui ultime coorti sono andate in pensione con importi più alti grazie a una storia contributiva lunga e ininterrotta, sono ora forse un po’ singolarmente tra le fasce di popolazione meno a rischio di povertà.

Ma il nostro giovane povero è intelligente e volonteroso, e impegnandosi nello studio e nel lavoro riuscirà a migliorare la sua condizione sociale, vero?
Non proprio. L’Italia, dopo il Regno Unito, è uno dei paesi europei in cui il vantaggio di provenire da una famiglia “privilegiata” conta di più. Il diagramma qui sotto mostra che i giovani che vengono da una famiglia di condizione “alta” in Italia guadagnano in media il 63% in più di chi viene da una di condizione “bassa”.

La realtà è quindi che il nostro giovane povero con tutta probabilità si troverà nella fascia bassa della condizione lavorativa in Italia, il che può significare, ovviamente, essere disoccupato, visto che secondo gli ultimi dati Istat il tasso di disoccupazione nella fascia 25-34 anni è del 17,6% contro il 6,1% della fascia 50-64 anni. Spesso, il giovane si troverà ad avere impieghi intermittenti, con un livello di precarietà che le generazioni dei baby boomers ai loro tempi non hanno conosciuto; anche per questo, i giovani sono più poveri dei loro genitori, come si vede dal grafico qui sotto che riporta dati sulla povertà assoluta dal più recente report Istat sulla povertà in Italia (dati 2014). Come si vede, il divario generazionale tende semmai ad allargarsi.

A questo punto, sembra che al giovane povero non resti altro che sperare in forme di protezione sociale che allevino le condizioni più precarie, sostenendo i redditi più bassi. Peccato che la spesa sociale in Italia sia eccezionalmente spostata verso le generazioni più anziane, come si vede dal grafico qui sotto; questo dipende prevalentemente dal fatto che la gran parte della nostra spesa sociale è costituita da spesa pensionistica. Più in dettaglio, si vede che la somma delle voci Esclusione sociale, Abitazione, Disoccupazione e Famiglia (quelle che potrebbero aiutare il nostro giovane) vale per l’Italia il 14,7% del totale, mentre la somma delle voci Superstiti, Disabilità, Malattia e Vecchiaia (tipicamente destinate agli anziani) vale l’85,2%. Per la Francia, i due numeri corrispondenti sono 19% e 81%, per la Germania 18,0% e 81,9%, per la Spagna addirittura 19,6% e 80,5% (senza correggere gli arrotondamenti).

Né possiamo dire che il nostro giovane povero possa sperare di star meglio quando …smetterà di essere giovane, perché è molto probabile che si trasformerà in un anziano povero: in un regime pensionistico contributivo, la sua pensione maturerà più tardi e, secondo una recente simulazione dell’INPS, sarà nettamente inferiore a quella degli attuali pensionati, arrivando intorno al 62% dello stipendio. In altre parole, il pensionamento rappresenterà per il nostro ex-giovane un ulteriore, significativo abbassamento del tenore di vita.
In sintesi, il rapporto Istat sottolinea ancora una volta la difficilissima condizione in cui si trova la generazione dei trentenni in Italia: in un paese dove le disuguaglianze aumentano, immersi in un mercato del lavoro bloccato che favorisce gli “anziani” e i figli di papà, con un lavoro spesso precario e la prospettiva di pensioni tardive e irrisorie, sono una vera e propria “bomba sociale a tempo”. Eppure, la nostra politica dedica pochissima attenzione a questa generazione, e pensa invece di dedicare altre risorse ai pensionandi, con provvedimenti che aumenterebbero la gravissima sperequazione di trattamento che esiste già oggi. Invece, è necessario prendere misure molto forti a favore del lavoro giovanile e soprattutto dedicare risorse alle protezioni sociali per i “giovani poveri”. Bisogna abolire immediatamente le (future) pensioni di reversibilità, che non hanno alcuna ragione di esistere, applicare da subito il metodo contributivo a tutte le nuove pensioni, e accogliere le coraggiose ma equilibrate proposte avanzate dal presidente dell’INPS Boeri per imporre un contributo di solidarietà a chi oggi percepisce una pensione elevata e non giustificata dai contributi versati.
Immagine di apertura: Illustrazione d’epoca per Oliver Twist, tipico romanzo ottocentesco su un giovane povero, di Charles Dickens