La guerra in Ucraina, le elezioni in Ungheria e Serbia, il clima complottardo e la cancel culture hanno qualcosa in comune: sono indicatori di un mondo nuovo che sta sorgendo e rispetto al quale dobbiamo prepararci.
Il cambiamento più rilevante, quello che ha innescato e reso possibile tutti gli altri, riguarda l’impossibilità di una informazione “oggettiva”, almeno nel senso inteso nella prima parte del ‘900, con la famosa pretesa distinzione delle opinioni dai fatti. Ebbene: non esistono i fatti, ma sempre e solo le loro interpretazioni, e nel ‘900 abbiamo potuto farne i conti abbastanza bene, aderendo alle opinioni (ovvero: ai fatti interpretati) di chi ci era più affine come culture e valori: i comunisti leggevano l’Unità, i democristiani leggevano Famiglia Cristiana, e ciascuno viveva nella sua bolla ideologica.
L’impennata della complessità sociale di cui abbiamo più volte parlato qui su HR, generata da eventi scollegati e indipendenti uno dall’altro fra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso (ne ho parlato QUI), ha disintegrato in buona parte anche quelle bolle, ideologiche, sì, ma rassicuranti e, a modo loro, “pedagogiche”. Fra le tante conseguenze sociali (perdita dei legami forti, smarrimento del senso del fluire storico, individualismo esasperato…) la più drammatica è l’impossibilità dell’informazione e della conseguente formazione di un’opinione pubblica.
L’abbiamo visto negli anni con la Brexit e altre ordalie di consultazioni popolari anche italiane, vedi il referendum costituzionale promosso da Renzi (ne parlai QUI), l’abbiamo drammaticamente sperimentato con le faziose polemiche sul Covid, e quindi oggi con la guerra in Ucraina. Prendete il massacro di Bucha. Un dramma disumano in una guerra insensata. I russi però dicono che è tutta una montatura degli ucraini, e certo voi non ci credete perché pensate che Putin sia un bastardo e gli ucraini degli eroici resistenti. Ma com’è sorta questa convinzione nella vostra testa? Siete profondi conoscitori di geopolitica dell’Est? Avete da poco fatto una diagnosi psicologica professionale a Putin? Siate scappati da Bucha dopo avere visto coi vostri occhi la strage? Probabilmente no.
Sia chiaro: io penso che Putin sia un bastardo, che l’Ucraina sia stata aggredita, eccetera.
Quello che cerco di dire è che tutti sanno quello che sanno perché leggono (se va bene) determinati quotidiani, vedono (generalmente) determinati canali televisivi o (se va proprio male) si informano sui soliti social. Ma abbiamo intere biblioteche di esempi di falsificazioni storiche orchestrate dai diversi regimi, e fatte proprie dai mass media istituzionali. La speranza residua resterebbe proprio in quelle voci dissonanti, spesso fastidiose, che seminano dubbi e fanno un’informazione differente (come le ormai pochissime voci anti putiniane rimaste in Russia); peccato che spessissimo, in Occidente, queste voci rappresentano i deliri di complottisti ed emarginati idioti, estremisti ideologizzati e ciechi e altri sciagurati. Avere la pazienza di cercare fonti informative alternative, e la capacità di capirne la validità (sperando di non sbagliarsi…), non è proprio agevole per il comune cittadino e può restare appannaggio di una sparuta élite.
La disinformazione globale di massa (nelle sue forme specifiche: repressiva in Russia, censoria in Cina, manipolata in Occidente) consente a Putin di fare quello che pare a lui in Russia, di vivere il suo delirio senza reale opposizione (consiglio di leggere, a questo proposito, Ivan Krastev sul Foglio) e col sostanziale appoggio della maggioranza della popolazione; ha consentito a quella brutta figura di Orban di vincere in Ungheria e a Vucic di vincere in Serbia; e guardate che io la vedrei brutta anche in Italia, fra un anno, mentre per la Francia incrociamo le dita.
Tutto questo sfacelo sovranista, nazionalista, fascista, ha come carburante la disinformazione globale di massa, perché i valori di estrema destra che vediamo affermarsi sono generati da culture che si alimentano nella disinformazione, nell’informazione distorta o di parte, in quella compiacente e ipocrita, fino alle palesi falsità. E poiché nel mondo caotico dell’informazione tutto si trova, e il contrario di tutto, qualunque idea trova una sponda, qualunque falso storico un “esperto” che la valida, qualunque complotto una sua “prova”.
Questo problema trascina le democrazie verso scelte che non avremmo immaginato nel ‘900; ma neppure 10 anni fa, forse. Ce lo insegna la lezione ungherese. Un filibustiere nazionalista e filo-russo guida un paese NATO e UE. Come membro della UE l’Ungheria, con Polonia e altri, sono un’autentica spina nel fianco dell’Unione, hanno diritto di veto su molteplici questioni, frenano su tutte le altre. Che destino avrà l’Europa con loro? Il loro dissenso, la loro opposizione, è il frutto di scelte nazionaliste (ovvero: il contrario del senso dell’Unione) di élite al potere capaci di manipolare le rispettive opinioni pubbliche. La pochezza del risultato elettorale degli oppositori di Orban deve fare riflettere al riguardo.
Se c’è una lezione democratica da ricavare da questo periodo buissimo è la seguente: le democrazie occidentali (e per l’Europa mi riferisco alla parte ovest) devono investire massicciamente sulla costruzione di opinioni pubbliche libere e aperte; a questo scopo serve un’informazione libera ma corretta; al netto della questione che non esistono i fatti, ma solo loro rappresentazioni, non si può dare spazio alle centrali disinformative che propongono falsità, non distinte dal vero dall’uomo comune.
Viva le opinioni di tutti, anche quelle scomode, perfino quelle sciocche, ma bando alle fake news, stop ai pareri di “esperti” e “professori” non chiaramente presentati come pareri individuali e assolutamente non come “verità alternative” (ma il fatto stesso di far parlare un tizio sconosciuto come Orsini, e dargli spazio televisivo, rende la sua opinione una verità comunque).
La cancel culture, per esempio, che ho messo in testa a questo articolo, è l’esempio palese di un arbitrio che intende annullare la storia, piegandola a valori ideologici, anziché discuterla e comprenderla. L’ossessione per il linguaggio politicamente corretto è un altro esempio, anche se potrebbe apparire lontano: perché il fascismo – come ci ha insegnato Roland Barthes – non è negare la parola agli altri ma obbligare a dire, dire le cose che il pensiero massificato impone, nel formato linguistico riconosciuto come giusto, giusto perché conforme, conforme perché eterodiretto.
Il futuro delle democrazie occidentali si gioca in questi anni, ora, sul controllo dell’informazione; mentre i nazionalismi del mondo intendono il controllo come manipolazione e costruzione del falso, noi occidentali dobbiamo controllarla in senso diametralmente opposto, per impedire alla falsità di emergere ma, più importante, per insegnare ai cittadini a riconoscerla ed evitarla. Informazione corretta; cultura; scuola; libertà; lotta quotidiana alla falsità; opposizione a cancel culture, schwa, esasperazioni gender; richiami ideologici; generalizzazioni indebite.
Credo che il peggio stia arrivando. Prima ci prepariamo, meglio sarà.