Premessa per capire il senso di questo post
Come molti lettori sanno esiste un gruppo Facebook intitolato “Codice Giallo il gruppo” che non è apparentato con Hic Rhodus se non per il fatto che è stato promosso, e viene gestito, dallo scrivente; una specie di spin off, come credo si dica adesso, che non coinvolge altri che il sottoscritto, anche se si occupa di tematiche abbastanza simili a queste di Hic Rhodus; la differenza sostanziale è che Facebook… è solo Facebook, e non permette se non rapidità umorali, indizi giornalistici, segnalazioni politiche in senso lato. Ora accade che una piccola discussione fra me e l’amico Ottonieri, su quel gruppo, abbia bisogno di una riflessione seria e – d’accordo con lui – trasferisco qui su HR le mie considerazioni.
L’antefatto riguarda due commenti di Ottonieri a due miei post sul gruppo Facebook; nel primo mi dichiaravo disgustato dall’effimera sanzione che l’ateneo di Siena ha comminato al prof. Gozzini, quello che alla radio definì “scrofa”, e non solo, la Meloni.
Ecco il post col breve commento avverso di Ottonieri.

Successivamente ho postato, sempre su quel gruppo, il link a un articolo (fra i tanti usciti) che prendeva di mira Gratteri per la nota prefazione al volume di due antivaccinisti, che ha creato un certo dibattito sulla stampa. A questo secondo post Ottonieri ha proposto un commento assai più articolato, che riporto di seguito.

Ricordo che giusto venerdì, sulla vicenda Gratteri, avevo postato un commento qui su HR, in cui avevo già manifestato il mio disagio e avevo accennato al perché.
Ma è evidente che non bastano accenni fugaci, e men che meno espressioni umorali su Facebook, e se uno degli uomini che stimo di più fra i miei amici non è d’accordo con me in maniera abbastanza centrale, su un punto concettualmente rilevante, significa che occorre fermarsi e ragionare.
Questo post – che, avviso il lettore, sarà lungo, noioso, cavilloso – mi permette un ragionamento più “alto”; non nel senso della sua qualità intrinseca, che sarà il lettore a giudicare, ma in quella della possibilità argomentativa, che era un tratto distintivo di Hic Rhodus dei primi anni e che, ammetto, io ho forse un po’ perso a favore di un’immediatezza espressiva che può avere efficacia comunicativa ma rischia anche di trascinare fraintendimenti e semplificazioni indebite.
Tesi che sostengo e critiche di Ottonieri
Da anni sostengo una tesi che, detta in parole semplici, troverebbe d’accordo più o meno tutti, e credo anche Filippo, e che dovremo quindi articolare un po’.
La tesi di fondo è la seguente:
1) per funzionare col massimo di efficacia, una società deve vedere tutti i suoi membri capaci di assumersi tutte le responsabilità inerenti i propri ruoli;
Corollari:
1.1. l’efficacia sociale non riguarda la morale; potrebbe riguardare l’etica dandole un senso ristretto (come si desume dall’espressione “etica civile”) che qui non si discuterà;
1.2. le responsabilità “sociali” ineriscono i ruoli sociali; ciascuno di noi vive, contemporaneamente, decine di ruoli (lavoratore, elettore, contributore, genitore, coniuge, segretario della locale bocciofila…) per ciascuno dei quali ha (si deve assumere) delle responsabilità;
1.3. possiamo immaginare una gerarchia dei ruoli in base all’impatto sociale che hanno: il tuo ruolo di coniuge coinvolge solo il/la partner; il tuo ruolo di manager il destino professionale di molteplici dipendenti; il politico, come il giornalista o il magistrato etc. impattano un numero elevato di persone e quindi la loro responsabilità è concettualmente identica (si sostanzia nel medesimo modo) ma ha ricadute (impatti) enormemente superiori; il danno sociale di un politico che sbaglia è maggiore di quello di un genitore che educa male il figlio (attenzione ai termini: “sociale” non significa “psicologico” e non ha a che fare col giudizio morale; noi possiamo pietire assai più il bimbo infelice per ragioni empatiche, ma sotto un profilo sociale il danno del politico che sperpera denari e non interviene sui bisogni dei cittadini è enormemente superiore).
Probabilmente fin qui la maggior parte dei lettori può essere d’accordo, e credo anche Filippo. Adesso però viene il difficile, perché la tesi 1 non ha un grande senso se non si propone un seguito, che per quanto mi riguarda è il seguente:
2) la società deve mettere in atto meccanismi idonei a garantire che le persone più qualificate e in grado di assumersi efficacemente le opportune responsabilità, accedano ai ruoli sociali strategici, mentre coloro che si dimostrano non idonei e non in grado di assumersi le attese responsabilità vengano sanzionati;
Corollari:
2.1. la frase è lacunosa se non chiariamo cosa sia “la società”; in breve – saltando in poche frasi un secolo e mezzo di sociologia – diciamo: i) le leggi, ii) l’opinione pubblica. Lasciate così sono elementi non privi di ambiguità, ma si chiarirà qualcosa, per quanto possibile, nel prosieguo;
2.2. anche la parola “sanzione” va precisata, anche perché si lega assai a quell’opinione pubblica accennata nel punto precedente; le sanzioni possono essere di vario tipo, anche estreme (licenziamento, prigionia), ma possiamo anche immaginare il biasimo sociale, una forma di pressione da parte di un’opinione pubblica indignata per il comportamento di un suo membro (ci tornerò più avanti).
Direi che questa seconda tesi è il punto cruciale, ed è certamente quella chiamata in causa da Filippo Ottonieri che mi pare ponga le seguenti questioni avverse:
- A) le responsabilità del ruolo (in questo caso di Gratteri magistrato) dovrebbero finire nell’ambito del suo ruolo pubblico (la magistratura) e non riverberare nelle sue scelte di vita privata; vale a dire: come privato cittadino ha altre responsabilità, che può darsi si assuma oppure no, ma non può essere criticato in quanto magistrato per scelte ritenute errate agìte in altri ruoli;
- B) si critica Gratteri per delle opinioni, e questo – oltre a essere discutibile in sé – pone dei problemi di confine; fin dove mettere l’asticella all’opinione sanzionabile (leggere il commento sopra di Filippo Ottonieri per una descrizione più precisa del problema che pone);
- C) chi giudica chi? Filippo parla di “caccia alle streghe”, ma anche senza tale enfasi resta il problema etico già sollevato nell’escatologia cristiana; in realtà, come cercherò di mostrare, il problema non è affatto etico ma di altra natura.
Nei prossimi tre paragrafi cecherò di rispondere puntualmente a queste tre obiezioni di Ottonieri.
A – Dove finiscono le responsabilità
Temo di ripetere cose che scrivo da anni, e qualche lettore si annoierà. Ma devo cercare di spiegarmi bene e non “fare il sociologo”. Le responsabilità non hanno un confine. Tutto qui. Questo illumina da un punto di vista particolare la mia tesi 1.2 esposta sopra. Non possiamo pensare che il medico abbia una responsabilità di cura, una diversa e distaccata come marito, un’altra ancora diversa e separata come – poniamo – contributore dello Stato e via discorrendo. Tentai di spiegare questo punto di vista in un vecchissimo post, dal titolo Piccoli slittamenti amorali. In quel post facevo anche degli esempi concreti di persone brave e stimate in un ambito sociale, generalmente pubblico, e pessime in un altro ambito, solitamente privato. Un esempio (il terzo, per chi avrà voglia di rileggerlo) mi colpiva particolarmente perché riguardava una persona che avevo avuto modo di conoscere: uno stimato leader politico che (chi lo conosceva lo sapeva, la massa elettorale no) picchiava la moglie. A me un uomo che picchia la moglie (o il figlio) appare come un’autentica merda, una persona vile, rozza, primitiva, irriflessiva, emotivamente instabile, e penso che questi difetti si riverberino sull’intera personalità dell’individuo, e quindi anche sulla sua adeguatezza politica. Potrei anche trovare razionalmente affini al mio pensiero le tesi politiche di costui (non era questo il caso, dico in astratto), ma mi porrei il problema, assolutamente non emotivo ma di logica, se il suo agire politico, sia coerente con la sua pratica quotidiana; mi chiederei quindi se quell’agire politico sia sincero, o semplicemente un camuffamento; o se la compatibilità pratica (cioè quella nel fluire storico) non sia accidentale, in attesa del punto in cui le condizioni alla luce delle quali picchia la moglie non si presenteranno anche in sede politica, ponendolo di fronte a scelte che non è in grado di compiere coerentemente col discorso politico che sostiene. Tutto è connesso; tutto si tiene, come nella fisica dei quanti. Se sei intelligente lo sei non solo se sai risolvere un problema di matematica, ma se sai trovare soluzioni ai problemi in svariati altri ambiti della vita; se sei “responsabile” lo sei non solo perché appari tale nella sezione del tuo partito; se sei “onesto” lo sei non solo perché non rubi a casa del vicino. E così via.
Naturalmente, la complessità dell’animo umano, in pratica, consente queste che appaiono come contraddizioni, e che secoli di filosofia e scienze dello spirito ci hanno spiegato essere, più banalmente, le miserie con le quali ci confrontiamo e che combattiamo, in una battaglia che potete chiamare progresso, civilizzazione o come vi pare.
Nel caso di Gratteri, quindi: il Magistrato che avalla tesi complottistiche, dando un contributo sostanziale alla diffusione di opinioni false (il Covid non esiste, il vaccino fa male), può anche essere “bravo” come magistrato, ma in un significato molto ristretto del senso dell’essere “bravo”, esattamente come il politico che picchiava la moglie. È evidente che Gratteri è laureato in giurisprudenza, che ha fatto un concorso pubblico e l’ha vinto, e che combatte la mafia; non ho alcuno strumento per giudicare tecnicamente il suo operato e quindi accetto a priori che sia, tecnicamente, “bravo”. Ma cosa significa? Lo è – per usare un paragone che ha più senso di quanto possa apparire – sintatticamente (conosce le leggi, per esempio) ma forse lo è meno semanticamente (non capisce il “senso” dell’essere un magistrato, quindi un uomo di potere, un leader sociale, un orientatore dell’opinione pubblica) e per niente pragmaticamente (non capisce proprio che ciò che comunica agisce nel mondo, ovvero, se lo capisce, allora è doppiamente colpevole). Analogo per il professore di Siena: che non è una qualunque persona che scrive una boiata anonima su Facebook, ma è un professore universitario, un educatore, un formatore di coscienze, che non sa tenere a freno la lingua, figurarsi la mente! Ecco perché ho trovato scandalosa la sanzione comminatagli dall’Università di Siena (tre mesi di sospensione), un’ipocrita ammenda cui i suoi sodali non potevano sottrarsi, ma un pessimo messaggio in merito alle responsabilità che ciascuno si deve assumere: una responsabilità che vale 1 per l’anonimo cretino che insulta su Facebook, ma che vale 100 per il professore senese e 1.000 per il magistrato calabrese.
B – Dove collocare l’asticella
Questo è un filo più complicato da spiegare. Ricordo a Filippo che abbiamo avuto delle strane posizioni nel passato; se ricordo bene, per esempio, io mi sono schierato a favore del boicottaggio di certe aziende, una cosa che lui rifiutava recisamente, mentre per esempio io ho sempre sostenuto il diritto di un “pensiero” fascista, al quale invece lui si opponeva. Ma questi sono ricordi di discussioni non sempre palesate su Facebook o qui su Hic Rhodus, e mi servivano – ammesso che sia stato correttamente sostenuto dal ricordo – per sostenere il bandolo di un discorso complicato che ha due capi: 1 – Il problema dell’asticella già menzionato (e su questo obietta Filippo), e 2 – Il problema della sostanza di cui parliamo: quale opinione, espressa come e da chi?
B. 1 – Il paradosso del Sorite
Il problema dell’asticella è reale se si sta a guardare l’asticella. Prendiamo invece gli estremi: a un lato ho un comportamento integerrimo, sia sociale che privato, di un cittadino (che sia un magistrato o un ragioniere); dall’altro lato ho il reo, il reprobo, profittatore e delinquente; non ho dubbi sul primo e non ho dubbi sul secondo. L’asticella è “da qualche parte” fra questi due estremi ma, al momento, non ho bisogno di sapere esattamente dove sia. Il mio primo individuo (il probo) si fa fare una multa per eccesso di velocità, ma sono assolutamente sicuro che continuiamo a considerarlo bene; d’altra parte il reprobo dice educatamente “grazie” al commesso che gli porge il resto, ma non è per questo atto di cortesia formale e distratta che lo considereremo meno malvagio. Avete capito l’esercizio (che riguarda un costrutto logico che si chiama “paradosso del Sorite”); se aggiungiamo, pian piano, manchevolezze al probo, dalle multe al parcheggio in doppia fila, il furtarello di una matita in ufficio poi, via via aggravando, lo sgarbo, l’omissione di un reddito per le tasse, picchiare il cane, fino a lasciarsi corrompere… ci accorgiamo a un certo punto che siamo sconfinati nel campo dei “cattivi” senza poter dire, con certezza, quando si è superato il limite. Col reprobo, analogamente, aggiungiamo atti di cortesia, è gentile coi bambini, ama i gatti, tratta bene la moglie, ha rubato, sì, ma per una buona causa… pian piano anche qui ci troviamo in pieno campo “dei buoni e giusti” e non sappiamo bene quando abbiamo varcato il confine.
La risposta (e la soluzione al paradosso) è che quel confine non c’è, ma c’è un ampia area grigia, incerta, ambigua, opaca, che possiamo – ma solo a fatica – considerare caso per caso, e in base a semplificazioni, e con una discreta possibilità di errore.
Il fatto che esista quella zona intermedia (frutto della complessità del comportamento sociale umano) non inficia il fatto iniziale, di considerare “buono” il primo individuo e “cattivo” il secondo. (Ma – alla luce del punto A precedente: buoni o cattivi i comportamenti, quelli che possiamo vedere, ché non possiamo indagare oltre nella vita privata e segreta delle persone).
Quindi: il comportamento di Gratteri e Gozzini (il professore di Siena) non sono affatto in quella zona grigia; non ho il dovere di rispondere alla domanda di Ottonieri se, qualora, nel caso, se mettesse un like su Facebook o altre cose. Io vedo che Gratteri ha scritto una scandalosa prefazione a un libro, colpevole di produrre un danno sociale, e questo, ora, è oggetto di biasimo senza alcun momento di dubbio da parte mia. Idem per Gozzini: è inutile chiedersi se invece di “scrofa” avesse appellato la Meloni in altro modo (in realtà Gozzini si è proposto in una sequela di insulti, di cui ‘scrofa’ è solo esempio emblematico), che so? “fascistella inacidita”, oppure “politicante da strapazzo”, come avrei reagito, se l’asticella sarebbe stata più alta o più bassa… L’ha chiama “scrofa” (e altro), e ovunque poniate l’asticella Gozzini è decisamente al di sopra.
Poi, certo, per i casi intermedi vedremo caso per caso, peseremo e giudicheremo e, attenzione perché è fondamentale, ci assumeremo la responsabilità del nostro giudizio. Ma chiedersi i limiti dell’asticella quando l’asticella, ovunque la si ponga, è di un bel tratto superata, mi pare intenda confondere un giudizio di merito dietro una inopportuna questione di metodo.
B.2 – Oltre le asticelle
Resta una riflessione sull’altro capo del canapo, ovvero il peso specifico di ciò che dici, che ha a che fare con quell’aspetto della linguistica che Peirce chiama pragmatica (e Austin perlocuzione, che è cosa diversa ma pertinente); vale a dire: le parole non sono semplicemente simboli per comunicare, ma atti di volizione che modificano il mondo. Sì, lo so che qui mi scappa di fare il sociologo ma è fondamentale: le parole non sono giudicabili solo entro una logica di verità (Filippo forse non se ne accorge, ma mi pare questo ciò che fa, ma è in buona compagnia, col Circolo di Vienna, Russell e il primo Wittgenstein) ma entro una di senso (io dalla mia, oltre a Peirce, mi prendo anche Gadamer, così giochiamo ad armi pari). L’analisi da fare non è quindi se e quanto sia vero o meno che i vaccini facciano male, e quindi se Gratteri sia abilitato a parlarne, ma quale contributo Gratteri dia a una costruzione sociale della rappresentazione dei vaccini negativi, quali effetti ciò abbia concretamente e quanto lui sia consapevole di tali effetti (ma attenzione: se la risposta fosse che non ne è consapevole si aprirebbe un altro enorme problema). Le parole non sono elementi sintattici di un manuale di istruzioni Ikea, ma elementi delle relazioni sociali, sono esse stesse relazioni sociali, e costruiscono uno specifico agire sociale. Mettete poi il ruolo pesante di Gratteri, l’enfasi mediatica che suscita, e capite che qui non si sta affatto parlando di opinioni, ma di azioni.
Qui si riacchiappa quanto detto poco sopra, per esempio in merito ad altri pareri e comportamenti giudicati differentemente da me e Filippo. Io credo lecito qualunque pensiero politico, inclusi quelli che a me non piacciono, e credo lecito esprimere tali pareri; direi che è una delle libertà fondamentali per le quali valga la pena battersi. Quindi ho amici comunisti e (ho avuto) amici fascisti: tutte bravissime persone, per quello che ho potuto giudicare. Poi, sono contrario alla prassi comunista e contrario senza alcun dubbio a ogni azione politica fascista. Quando Gratteri scrive una prefazione, o quando Gozzini sproloquia alla radio, si passa da idee a pratiche, con conseguenze.
Il lettore potrebbe obiettare – anche in coerenza con quanto da me dichiarato qui – che le idee, e la loro espressione, non possono essere distinte dalla loro volitività e quindi pragmatica; in una parola: se penso e parlo da fascista, per esempio, mi comporto come tale.
In realtà è tutto più complicato e non così schematicamente rappresentabile. Sarebbe lungo spiegarlo e non credo di potere abusare molto oltre della pazienza di chi legge. Permettetemi quindi (questa volta non argomentando) di affermare che si può conciliare una generale libertà di pensiero con la sanzione verso delle concrete e specifiche conseguenze di tale pensiero.
C – Chi giudica?
Giudica chiunque si assuma la responsabilità del giudizio. Che poi sarebbe il ruolo di quella che si chiama “opinione pubblica”, che necessiterebbe di cultura e istruzione diffuse, di informazioni corrette, eccetera, ma questo è un altro problema.
Quindi qui la risposta è davvero facile: giudica chi vuole giudicare, assumendosene la responsabilità.
Poi, naturalmente, io (come credo Filippo) mi picco presuntuosamente di dare corpo e argomentazioni ai miei giudizi, cosa che la grande maggioranza dei commentatori di Facebook e Twitter non fa; la cosa interessante è che anche l’argomentazione può e deve essere vagliata, e ogni lettore può giudicare dell’adesione delle mie argomentazioni al suo modo di pensare, può giudicare la presenza di eventuali fallacie, e così via. Certo, tutto ciò è fatica e questo lunghissimo post lo testimonia, ma non vedo altra strada; la forma che assume la mia assunzione di responsabilità è l’argomentazione; essa è palese, trasparente, dialogica. Gozzini che appella Meloni come “scrofa” ha un livello di argomentazione pari a zero. Vuole dire qualcosa?
Quindi dico a Filippo che dei tre questo è il suo argomento più fragile. Come lui sa bene io mi espongo da anni con nome e cognome, ho scritto un libro “politico” contro Salvini che ho firmato e promosso a mie spese, non sono affatto il tipo che si nasconde; ecco: questo non nascondermi, e il continuo spiegare, argomentare, discutere, mi dà titolo di giudicare. Io giudico. E me ne assumo la responsabilità che, con mio enorme dispiacere, è enormemente più irrisoria, come effetti pratici, di quelli malsani prodotti da Gratteri e Gozzini.
Infine: torniamo a parlare di intellettuali
La riflessione finale riguarda gli intellettuali, ai quali, negli anni, ho dedicato numerosi articoli.
Qual è la funzione sociale degli intellettuali? Dovrebbero – a mio avviso – essere la spina dorsale dell’opinione pubblica. Sei un intellettuale se – a prescindere dal tuo ruolo sociale – agisci politicamente nella vita quotidiana, ti poni criticamente ed esprimi ad alta voce i tuoi pensieri.
Io non avrei scritto quel libro, e non impegnerei tanto tempo qui su Hic Rhodus, se non pensassi di svolgere un dovere intellettuale, ovvero quello di mettere il mio sapere, la mia esperienza e la mia capacità dialogica, al servizio della comunità. Ma questo servizio non deve necessariamente essere flebile, avalutativo, astratto; Filippo concorderà certamente con me visto che ha scritto anche lui articoli al fulmicotone denunciando politici inetti e pratiche dannose; quando lui scriveva di certi politici spiegando che operavano male, per esempio, chi gli dava l’autorità? Nessuno, ovviamente, se non quella che deriva dall’essere un cittadino di questa comunità, sorretto dall’autorevolezza conferitagli dai suoi medesimi pensieri (vale a dire: scrivi una cosa giudicata corretta, bene: questo alla lunga ti conferisce autorevolezza, che illumina la tua autorità).
Questo è il senso del nostro lavoro, qui su Hic Rhodus.
Grazie Filippo di avermi dato l’occasione di questa riflessione.