Quali intellettuali italiani nel Novecento

Sul gruppo Facebook Pensare la democrazia nel terzo millennio, una sorta di spin-off hicrhodusiano da me fondato un paio d’anni fa (se siete lettori di questo blog potreste considerare l’idea di iscrivervi) ho proposto un sondaggio di questo genere: 

Il tema degli intellettuali è molto importante, e ci sono tornato spesso in questo sito, perché alla base c’è una mia convinzione, che le idee non sorgono spontanee nel popolo, che non è affatto il depositario di saggezza e verità che pensano i populisti, ma sono organizzate da pensatori più o meno capaci di parlare col popolo. I politici, per esempio, sono una specie di intellettuali, ma la loro capacità di parlare (e prima ancora di ascoltare) e di dialogare col popolo si è per lo più persa a metà del secolo scorso. I preti sono un’altra specie di intellettuali, anch’essi incapaci di dialogo perché ormai senza risposte ai problemi della contemporaneità. Diversi scrittori, alcuni scienziati, alcuni giornalisti, hanno invece avuto questa capacità e sono stati riconosciuti, da platee più o meno vaste (l’intellettuale non ha mai un consenso di massa, se no è un banale capopopolo), come guide, come ispiratori politici o semplicemente come mediatori della complessità, capaci quindi di sollecitare riflessioni originali.

Di intellettuali di questa specie il nostro Novecento è stato piuttosto ricco, tanto quanto ne è povero il Terzo Millennio. Sarebbe ingeneroso spiegare tutto con l’abbrutimento del popolo italiano; il problema principale è comunicativo. Nel Novecento gli intellettuali si esprimevano con le loro opere e scrivendo sui giornali (e quindi sì: gli intellettuali parlano comunque a una élite, che si incarica di far percolare a ulteriori livelli, tramite comportamenti adeguati, determinate idee, particolari valori e principi). Oggi la comunicazione culturale e sociale è stravolta dai social media. Un imbecille che scorreggia su YouTube ha un seguito enormemente maggiore di Galimberti, e il cretinetti politico che manda un Tweet sarcastico all’indirizzo di un avversario riceve un numero di cuoricini e di like che Panebianco, Saviano o Mieli se li sognano. 

Sarà per questo che alcuni potenziali intellettuali italiani nostri contemporanei (maschi e femmine, mi rifiuto di usare la schwa come fa Murgia) inclinano, troppo, all’invettiva, al paradosso, alla provocazione esasperata, sapendo che ormai solo così ottengono quella visibilità che la comunicazione 2.0 rende opaca e ambigua.

Quindi, tornando all’esperimento su Codice Giallo: ho chiesto agli amici e amiche del gruppo di indicare fino a 5 nomi del Novecento italiano e di spiegare il perché della scelta (se volete leggere i commenti seguite QUESTO link). Poi sapete come vanno queste cose: non tutti hanno letto le semplici regoline del sondaggio, molti sono andati di fretta, i primi nomi (indubbiamente grossi e validi) hanno attratto immediatamente più consensi e molti altri, aggiunti da qualche partecipante, sono stati meno notati… Insomma: non è stato un sondaggio “scientifico” e non dovete prenderne i risultati altro che come indicazioni che comunque, a mio avviso, sono state di straordinario interesse.

E ora ve ne rendo conto.

Parto col mostrarvi l’elenco degli intellettuali che hanno ricevuto almeno due preferenze (quindi non solo quella del proponente). Vi invito a non cavillare; è ovvio che mancano alcuni nomi importanti e che fra quelli segnalati non tutti lo meritano. È stato un gioco in seno al gruppo Fb, usiamolo qui solo come pretesto. Ecco l’elenco: 

Alcuni nomi molto interessanti hanno ricevuto una sola preferenza, ma non per questo possiamo ignorarli: Olivetti, Flaiano, Cacciari, Terzani, Prodi, Gadda, Prezzolini, Martini (Carlo Maria), Cordero, Dossetti, Bobbio, Montalcini, Natalia Gisburg, Pirandello, Moravia e Fermi. E altri sono stati suggeriti ma non votati: Gobetti, Capitini, don Milani.

Ripeto: non ha importanza discutere o criticare qualche specifica scelta, ma trarre, con l’aiuto di questo elenco, alcune considerazioni:

  • Il Novecento italiano è stato ricco di figure eminenti di intellettuali, come tali da intendere in modo ampio, che preciserò pian piano: alcuni di quei nomi sono stati accademici, ma si tratta di una piccola minoranza; abbiamo scrittori, giornalisti, scienziati, perfino un cantautore, un paio di politici (se Gramsci ed Einaudi li riduciamo a questa ristretta etichetta), un industriale (Olivetti, purtroppo una sola preferenza) e così via. Certo, è facile la lettura retrospettiva. Oggi è facile dire che Pasolini è stato un gigante, ma all’epoca erano in pochissimi (a destra come a sinistra) ad apprezzarlo, e alla sua morte si sono dette cose oscene. Gramsci è stato per anni una sorta di santino del PCI (da tenere in bacheca come tutti i santini, senza che rompesse troppo le balle), è tuttora più studiato all’estero che in Italia e pochi ne hanno riconosciuta la capacità antropologica di osservazione degli italiani. Montanelli, poi, che figura divisiva, che sottolineature salaci del suo essere stato fascista! E la Fallaci? Ha ricevuto insulti praticamente da tutti, essendo capita, nei fatti, da pochi. Quindi sì, a distanza di anni le pieghe nel tessuto della Storia si stirano, certi fumi si dissolvono, e possiamo dire, con più serenità, che ciascuno di quei nomi, a modo suo, ha giganteggiato sulla sua epoca al di là di quanto è stato capito. Sorge una domanda: serve giganteggiare se non sei compreso, se sei svilito ed emarginato, e se il tuo valore viene recuperato qualche decennio dopo? La mia risposta è un indubbio “Sì”. Nessuno ama essere criticato, rimbrottato, bacchettato da un qualche Solone che sì, semmai ha scritto un libro, o semmai ha una rubrica sul quotidiano, ma come si permette lui? Una prima caratteristica di intellettuale (che non si adatta a tutti i componenti di quell’elenco) sembra quindi essere quella del combattente solitario, che si erge verso una comunità che gli è ostile e che solo col tempo imparerà – tardivamente – a riconoscerne i meriti.
  • Gli intellettuali italiani sono tutti uomini; per incontrare una donna, nel nostro elenco, occorre arrivare a Oriana Fallaci (5 voti), seguita da Alda Merini (4 voti) poi Montalcini con un solo voto; certo, parliamo del Novecento, che significa dai primi anni di quel secolo, attraverso due guerre e il fascismo, eccetera fino a una ventina di anni fa: società contadina, patriarcale, poche donne che potevano studiare e fare una qualunque carriera, almeno fino agli anni ’60-’70. Il gap, comunque, stride. A mio avviso Fallaci avrebbe potuto benissimo ricevere il doppio o il triplo di voti, e Alda Merini poteva ben superare Italo Calvino, ottimo autore, ottimo produttore di cultura, ma distaccato e lontano da quell’agire concreto (“pasoliniano”, se posso) che caratterizza l’intellettuale che si immerge nella sua società e cerca – attraverso l’analisi e la critica – di cambiarla; in questo senso Fallaci e Merini potevano ben stare in cima alla classifica assieme a Pasolini e altri.
  • Essere intellettuali ha a che fare con la cultura. Nessuno dei nomi elencati è un Pisquano qualunque. La meno titolata, sotto un profilo formale, è Alda Merini, autodidatta figlia di un nobile decaduto e colto con una ricca biblioteca, che non ha potuto studiare per le avversità familiari ma che già a 15 anni era apprezzata da un critico e letterato come Spagnoletti. Quindi sì: questi intellettuali possono prescindere da titoli e scolarizzazioni formali (ho già sottolineato come nell’elenco ci siano pochissimi docenti universitari) ma non dall’intensa curiosità intellettuale. Abbiamo divoratori di libri, abbiamo viaggiatori, abbiamo persone immerse nella socialità (letture, viaggi, relazioni, i tre pilastri della mente acuta), abbiamo in sostanza dei curiosi, degli irrequieti desiderosi di espandere i loro livelli di consapevolezza. 
  • Alcuni nomi di questa lista hanno avuto una vita tragica, ma diversi altri no. Eco, Croce, Montanelli e altri hanno vissuto una vita in qualche modo agiata e riconosciuta; comoda. L’intellettuale maledetto è una figura romantica tragica che non è sempre corretta. Ma qualche volta sì: Pasolini e Gramsci, Fallaci e Merini, sono esempi differenti di vite difficili. Ma anche altri fra quelli menzionati nell’elenco hanno avuto vite amare, perché non riconosciute in vita, non valorizzate. 

Adesso occorre una riflessione finale sull’essere intellettuali nel Terzo Millennio. Potrò sbagliare, ma se qualcuno, fra 80 anni, chiedesse quali sono stati gli illustri italiani di questo secolo, immagino, penso, anzi spero, che non vedrà elencati Murgia, Travaglio, Volo e Selvaggia Lucarelli. Poi, chissà? Abbiamo visto che serve una certa prospettiva che al momento noi non possediamo, e il secolo è ancora giovane, speriamo in futuri intellettuali del peso di Pasolini e Fallaci, dello spessore di Galimberti e Calvino, delle capacità di Olivetti ed Eco ed Einaudi.

Il pensiero, però, non può restare astratto. Pasolini ha potuto vivere (subire) la sua vita violenta, e narrarla in un’epoca di slanci e rinascita e idee e speranze; Fallaci ha visto sorgere tutti i pensieri di massa della seconda metà del Novecento, ha avuto la possibilità di frequentarli nel loro nascere e, con l’enorme intelligenza che aveva, ha saputo schifarli e indicarne le mendacie. Eco aveva gli strumenti per un’analisi semiotica, e quindi fenomenologica, di un’Italia tutto sommato più semplice. E così via. Oggi l’intellettuale critico 2.0 è per prima cosa sepolto sotto la cacofonia informativa (digitate per esempio “Democrazia” su Google e vedrete la magia: 14.800.000 risultati in mezzo secondo!), e rischia di cadere negli stilemi dei galleggiatori del Web: sensazionalismo, invettiva umorale, esasperazione dei temi. La complessificazione del pensiero, poi, ci fa rifiutare – da intellettuali – la semplificazione dicotomica, sulla quale invece è appiattito il pensiero di massa; ‘Democrazia’, parola complessa, come spiegarla come uno slogan? ‘Afghanistan’, situazione complessa, come risolverla superando la dicotomia Buoni e Cattivi? ’Diritti delle donne’, un obbligo, un dovere, ma santiddio, non come li spiega la Murgia! Lei sì che è dicotomica, come Travaglio, come tanti sputasentenze che non a caso hanno successo. E – mi viene da dire – per questo non sono intellettuali.

Quello che manca, al momento, nel Terzo Millennio, è un linguaggio capace di compenetrare la complessità contemporanea in modo esteriormente semplice e immediato; un linguaggio indicale, pragmatico, perlocutorio. Questo linguaggio deve privarsi della sintassi, sempre ingannatrice, e mostrarsi nella concretezza della sua volizione. Ciò significa, fuori dai paroloni, essere intellettuali nel fare, non tanto nel dire (quel dire di cui furono maestri i nostri campioni del Novecento). Fare: essere coerenti, inclusivi, responsabili (soprattutto responsabili), coraggiosi. In questo fare, ciascuno, nel Terzo Millennio, può essere esempio di intellettualità, ovvero di spinta consapevole verso obiettivi progressivi, di assunzione pubblica di responsabilità, di coraggio nel rifiutare l’omologazione (che non è un singolo pensiero unico, ma molteplici pensieri identitari, tutti, a loro modo, “unici”).

Laicità, razionalismo, inclusione, cultura, responsabilità, sono i tratti degli intellettuali del Terzo Millennio. Che forse non scriveranno libri, forse non si vedranno intitolare una strada, ma segneranno un passo in avanti per la propria comunità.