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Pensa con la tua testaaa!

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Da vecchio web-dipendente ho imparato che la maggior parte delle volte qualcuno si descrive come “di mente aperta, curioso” c’è un’alta probabilità che ti defollowi (da Twitter) o ti blocchi (da altri social) se mostri di pensarla diversamente da lui. Un altro chiaro indizio di omologazione è l’urlare agli altri “Sveglia! PENSATE CON LA VOSTRA TESTA!”. Quest’ultima esortazione mi infastidisce parecchio perché significa, ovviamente, “voi cretini che non capite nulla siete servi ottusi del potere e dovete pensare con la MIA testa se volete la mia benevolenza”; non vedo altri significati. “Pensa con la tua testa!” credo sia la cosa peggiore che si possa dire sul web alle persone che non la pensano come noi. Non solo significa che tu – che non pensi con la tua testa – sei uno stupido, un disinformato, uno che sbaglia – ma specifica che sei un asservito, un vile; e segna la distanza fra tu servo e io libero, tu servo e insignificante ingranaggio del sistema malato e cattivo e io libero, attento, sveglio protagonista della mia vita che sa lottare e capire. E giudicare. Insopportabile.

Il diritto di boicottare chi mi pare

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L’antefatto – ma è solo un antefatto e non parlerò di questo – è la dichiarazione di Dolce e Gabbana sui “figli della chimica”, le adozioni gay e la famiglia tradizionale. Un furioso Elton John ha avviato un boicottaggio (hashtag #BoycottDolceGabbana) seguito da un pezzo di star system eccetera. L’idea del boicottaggio di un’opinione ha animato una piccola discussione con alcuni amici e mi ha portato a farmi una semplice ma importante domanda: boicottare è un’espressione legittima del mio libero pensiero o è una forma di intolleranza? È una protesta valida in determinati casi di comportamenti violenti (per esempio, a livello internazionale, contro il bullismo russo) e in altri invece diventa forma inaccettabile di danno economico a chi ha semplicemente espresso una propria idea (come nel caso di D&G)?

Fascisti di sinistra? Un caso di studio sul melting pot concettuale

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– vorrebbe dirmi, per favore, che strada bisognerebbe prendessi da qui?

– Ciò dipende, e non poco, da dove vuoi arrivare, – disse il Gatto.

– Non m’interessa molto dove… – disse Alice.

– Allora non importa quale strada intraprendere, – disse il Gatto.

– … purché arrivi in qualche posto, – aggiunse Alice a mo’ di spiegazione.

– Oh, in quanto a questo, stai sicura – disse il Gatto, – basta che tu faccia abbastanza strada.

(Lewis Carrol, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie)

Vi propongo una piccola analisi che porterà elementi di riflessione ad alcuni vecchi post sul linguaggio già pubblicati qui su Hic Rhodus (li cito in fondo). Ho scoperto casualmente un gruppetto politico-culturale di cui all’inizio ho stentato a capire se fossero di sinistra oppure di destra; all’inizio mi sembrava che avessero semplicemente le idee confuse; poi ho pensato che agissero con cinica consapevolezza per ingannare potenziali lettori; infine ho capito una cosa più straordinaria: poiché con le parole si può dire tutto, e le parole costruiscono il mondo (come ho spiegato nei miei precedenti articoli), possono formarsi delle sacche ideologiche, delle faglie concettuali, delle sbavature semantiche in cui parole appartenenti a province di significato differenti appaiono invece coerenti fra loro nel formare un nuovo testo, inimmaginato dagli autori originali citati e inimmaginabile a noi lettori che li troviamo incistati in contesti estranei.

L’ideologia che ci opprime

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Ho trattato molte volte il tema dell’ideologia, qui su HR, in forme più o meno dirette e con riferimento a fatti politici contingenti (in fondo all’articolo l’elenco dei post). Qui vorrei trattarne in generale, per fare chiarezza, perché ritengo sia un concetto cruciale nella nostra epoca, da comprendere per cercare di distaccarci dalle ideologie, di superarne le pastoie, i vincoli, i legacci che ci impediscono di giudicare il mondo con autentica libertà di pensiero o, quantomeno, con minori restrizioni alla nostra possibilità di comprendere cosa accade, perché succede, cosa sia meglio fare.

Come smascherare i mistificatori su Internet

“E’ confuso quello che dici.”

“Perché è vero”

(Daniel Pennac, Ecco la storia)

Sulla questione della verità e dintorni sono intervenuto più volte qui su Hic Rhodus, ma la lettera di un utente mi sollecita a mettere un po’ d’ordine su questioni davvero complicate.

Prima di tutto devo riportarvi la lettera, che fa riferimento a un mio post sul complottismo.

Posto che la realtà è complessa e consente la coesistenza di diverse “province di significato”, sta di fatto che talora il confine tra complottismo e “informazione libera da condizionamenti” mi appare di difficile discernimento. A tal proposito le allego le affermazioni di un amico per le quali non riesco a capire dove finisce uno degli aspetti sopra citati e comincia l’altro. Parliamo di un marxista antiamericano. Le chiederei un commento sull’insieme e, se le va, anche su singoli punti. La ringrazio in ogni caso e cortesi saluti.

Le parole sono pietre. Ma non è detto che siano chiare

Le parole, in fondo, non servono. Tenersi a lungo per mano, questa era una vera consolazione, perché sono poche le persone che sanno davvero parlare, e ancora meno sono quelle che hanno veramente qualcosa da dire.

Zhang Ailing, La storia del giogo d’oro

In un post precedente ho mostrato come le parole possano ingannare, anche in relazione ai valori dominanti dell’epoca che veicolano determinate parole e concetti. Negli ambiti professionali di cui mi occupo (programmazione e valutazione delle politiche pubbliche) ci sono tantissimi esempi eclatanti di concetti dai significati ambigui e molteplici (|Obiettivo|, |Qualità|, |Partecipazione|, |Indicatore|…) che vengono impiegati comunemente nella costruzione di importanti politiche sociali ed economiche ma che sono oggetto di interpretazione piuttosto diversa (ne ho parlato altrove, e non mi dilungherò).

Qui vorrei proporre le ragioni complesse dell’ambiguità del linguaggio perché le conseguenze di tale ambiguità non riguardano solo ambiti tecnici e professionali, ma la nostra vita quotidiana, e quindi le nostre relazioni, la politica, il giornalismo, l’interpretazione dei fatti quotidiani.

Il pensiero razionale nell’epoca della sua annichilazione tecnica

Me lo sono andato subito a rileggere. Un  piccolo saggio di Walter Benjamin, dal titolo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, contenuto in una piccola raccolta con lo stesso titolo.

Diceva Benjamin (nel 1936, pover’uomo, badate bene) che ogni opera d’arte, in quanto unica, possiede una sorta di “aura” che viene percepita dal fruitore dell’opera e che è la vera fonte del godimento estetico. La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte fa decadere tale aura, la corrompe, e nel mentre la riproducibilità consente a masse maggiori di persone di avvicinarsi all’opera, la sua reale godibilità viene di fatto limitata dalla scomparsa dell’aura.

Mi viene in mente Benjamin dall’improvvisa riflessione sul dilagare dell’editoria digitale