L’antefatto – ma è solo un antefatto e non parlerò di questo – è la dichiarazione di Dolce e Gabbana sui “figli della chimica”, le adozioni gay e la famiglia tradizionale. Un furioso Elton John ha avviato un boicottaggio (hashtag #BoycottDolceGabbana) seguito da un pezzo di star system eccetera. L’idea del boicottaggio di un’opinione ha animato una piccola discussione con alcuni amici e mi ha portato a farmi una semplice ma importante domanda: boicottare è un’espressione legittima del mio libero pensiero o è una forma di intolleranza? È una protesta valida in determinati casi di comportamenti violenti (per esempio, a livello internazionale, contro il bullismo russo) e in altri invece diventa forma inaccettabile di danno economico a chi ha semplicemente espresso una propria idea (come nel caso di D&G)?
Vorrei suddividere il tema in due sotto-argomenti più circoscritti:
- la reazione polemica a una dichiarazione è legittima o è una forma inaccettabile di censura (prima del boicottaggio c’è questo punto fondamentale); io sostengo sia legittima;
- il boicottaggio è una forma di reazione polemica inaccettabile, accettabile in alcuni casi o accettabile sempre? Io sostengo sia accettabile sempre.
Bisogna partire dalla libertà d’espressione. Devo rifarmi a quello che ho scritto proprio in occasione dell’eccidio a Charlie Hebdo e dell’assoluta necessità di consentire una totale libertà di parola e di espressione, inclusa la blasfemia. In quel post scrivevo fra l’altro:
In un mondo interrelato, secolarizzato, plurale e liquido, ciascuno di noi ha molteplici occasioni per sentirsi in qualche modo disturbato dalle opinioni altrui. La tolleranza non può quindi essere la guida per comportamenti repressivi (poiché sono tollerante mi reprimo e autocensuro e non critico il prossimo) ma una virtù di coesistenza plurale in cui tollero chi mi critica. La persona tollerante non utilizza le proprie credenze e convinzioni per limitare il prossimo, ma per accettarne anche gli aspetti divergenti, in particolare quelli ideali e valoriali.
Poiché potrei non essermi spiegato bene ciò significa, per me, che con limiti che avevo scritto in quello stesso post e che sono sostanzialmente sanzionati anche dalla legge, ciascuno deve poter dire ciò che vuole, e chi si offende è bene che se lo faccia passare. La frase finale non deve essere equivocata; dire “La persona tollerante non utilizza le proprie credenze e convinzioni per limitare il prossimo” per me significa non limitare fisicamente, non imprigionare, non sottoporre a censure e non ferire o ammazzare come nel caso di Charlie Hebdo. Ma a libertà di espressione si contrappone libertà di espressione: tu puoi dire tutto ciò che vuoi, ma anch’io, e nella mia libertà di espressione è contemplata anche la critica feroce a ciò che hai detto tu.
Questo conclude comunque la parte “facile” del mio discorso (che non affronta ancora il boicottaggio) che sintetizzo così: è vero che Dolce e Gabbana possono dire qualunque cosa passi loro per la testa; lo può fare chiunque e il valore del discorso di D&G, sotto il profilo comunicativo, ha lo stesso valore di chi dice loro che esprimono concetti sbagliati, li criticano anche aspramente, li contestano e così via. Valgono uguale, chiaro? La libertà di espressione non è una gara per cui il primo che dice una fesseria fa tana e tutti gli altri devono stare zitti perché è brutto criticare. Non funziona così. Che poi è cosa nota a livello scientifico, per fare un paragone, dove su riviste internazionali fior di scienziati fanno a pezzi il collega che ha scritto – secondo loro – fesserie (in quelle italiane ci si fa solo complimenti; in quelle internazionali serie si usano artigli poderosi senza particolari diplomazie); chiunque parli compie un’azione pubblica ed esplicita e crea un’inevitabile effetto domino che include altre azioni, anche critiche nei loro riguardi.
La parte difficile riguarda il boicottaggio che può apparire una forma di intervento censorio non legittimo quando si tratta di opinioni altrui (tutte da tollerare, secondo alcuni). La definizione di |boicottaggio| è sostanzialmente quella di un’azione volta all’isolamento, alla modifica di un atteggiamento, come reazione a comportamenti di individui o gruppi (quindi anche Stati) ritenuti non conformi a principi, diritti, convenzioni e così via. Chi boicotta intende ostacolare un terzo, procurargli un danno fosse anche simbolico per indurlo a cessare un determinato modo di fare. Il boicottaggio è un discorso con una sua grammatica, un suo lessico. È un discorso compiuto in forme differenti da quella della comunicazione verbale solo nella sua struttura apparente, non ci sono fonemi ma azioni. Se non si comprende il ruolo del linguaggio come forma di azione concreta sul mondo (e l’ho scritto in senso realistico, non metaforico) è difficile comprendere come – capovolgendo l’ottica – le nostre azioni siano forme di comunicazione, e il boicottaggio è fra queste. Invece di dire a D&G “fate dei discorsi fasulli, siete offensivi, non mi piacete” (e perché dirglielo se non per l’intenzione di colpirli, farli ragionare, farli cambiare…?) mi comporto di conseguenza (sperando di essere uno di moltissimi, ovvio) per fargli arrivare un messaggio non solo più chiaro, ma anche poco simbolico e prosaicamente volto a gonfiare un po’ meno le loro tasche di Euro. Difficile che D&G leggano le mie proteste su Hic Rhodus, ma forse se calano le vendite il messaggio (“il messaggio” = l’idea che gli voglio lanciare, assieme ad altri) potrebbe essere chiaro.
Devo insistere: se non si capisce che la differenza fra il discorso e la prassi è puramente formale non possiamo andare avanti. Le nostre forme di pensiero, eventualmente significate in forma di parole sono progetto, desiderio, volontà, conoscenza e molto altro, tutti modi per descrivere delle azioni (penso per agire, agisco e quindi penso) che incidono sulla realtà cambiandola, almeno nel senso minimo (ma non minimamente importante) del cambiamento che avviene in me in seguito all’interpretazione che attribuisco al mondo avendolo pensato e agito. Non esiste un’azione umana non pensata; non esiste un pensiero perso nel nulla che non lasci almeno un graffio nella realtà. So di esprimere con eccessiva brevità concetti molto complessi; per i più curiosi rinvio alle indicazioni in fondo all’articolo ma intanto faccio un esempio: il negazionista che sostiene l’inesistenza della Shoa in conferenze e libri senza compiere alcuna violenza antisemita non è vero che non compia azioni e che si “limiti” a esprimere opinioni; le sue parole (il suo pensiero) sono volte a modificare la storia e quindi il senso di ciò che siamo oggi (poiché oggi siamo in conseguenza di ciò che fummo ieri) e quindi a indirizzare le coscienze, la società e la politica in un determinato modo, quel modo che implichi la negazione della Shoa, che è come dire portarci in un universo parallelo, molto simile ma molto diverso. E guardate bene (questo è importante) che io non sono affatto d’accordo di condannare il negazionismo per legge (questo l’ho scritto più di un mese fa su Tumblr!) né di zittire il negazionista con censure o violenze, ma al suo negazionismo volto a cambiare la mia Storia e il mio Mondo io mi sento libero di corrispondergli il mio disprezzo verbale, il mio ostracismo sociale, la mia cultura e la mia resistenza ideale.
Questo esempio mi va benissimo anche per parlare della legittimità del boicottaggio come danno materiale improprio (per taluni) rispetto alla semplice proposizione di idee, per quanto odiose. Nelle ultime righe sopra dico che al negazionista pretendo la libertà di contrapporre il mio disprezzo verbale, e fin qui siamo sul tema già trattato delle parole. Ma che dite dell’ostracismo sociale? Voglio dire: non lo saluto, non gli stringo la mano, non vado alle sue conferenze, cambio canale quando va in TV… Non costituisce un danno? E se non gli compero il suo libro (supponendo che ne abbia scritto uno) non contribuisco a fargli guadagnare qualche Euro di meno? E se dico agli amici “io il libro di quello str…avagante non lo compero” e semmai lo scriviamo su Facebook e l’idea prende piede? Ecco che il boicottaggio è bell’e fatto come continuità del mio legittimo pensiero. Io cancello dai follower Twitter i razzisti e i sessisti, e lo dico sempre piuttosto chiaramente; è un boicottaggio? È legittimo? La tolleranza che mi sento di esprimere non implica l’obbligo a frequentare chi non mi piace ma solo quello di non impedirgli affatto di usare Twitter e anzi impedire a terzi di por loro dei limiti (sulla necessità di contrapporsi ai bulli e agli arroganti ho scritto giusto la settimana scorsa un post). Insomma, per riassumere: la distinzione fra le opinioni e le azioni va bene per fini pratici ordinari ma è fasulla a un’analisi più accurata: c’è identità e c’è continuità e c’è ragion d’essere di una nell’altra, e nel mondo plurale accetto che esistano il sessista, il razzista, il negazionista ma ciò non significa che io li collochi tutti sul piano del relativismo inane e che non mi senta autorizzato a un’azione politica fatta di parole e azioni: legittime, non violente, individuali, di cui mi assumo la responsabilità.
C’è ancora altro, abbiate pazienza: innanzitutto c’è la necessità di essere cauti nel correre a difesa di D&G. Premesso tutto quanto sopra e specialmente il fondamentale discorso che il linguaggio modifica il mondo, non vogliamo chiederci perché D&G abbiano sentita la necessità di uscirsene con quelle dichiarazioni? Loro non sono sociologi, teologi, biologici o altri professionisti in qualche modo titolati a parlare di argomenti sociali ed etici: sono sarti. Ricchi sfondati ma sarti. Perché invece di parlare della loro ultima collezione si sono messi a criticare i figli della chimica? Nessuno scivolone incauto né orchestrata battutaccia perché parlate pure male di me purché ne parliate ma una strategia di marketing pianificata, e a dirlo non sono io – notoriamente refrattario al complottismo – ma Wired, che vi spiega anche il perché e lo potete leggere da soli; questa mi sembra una splendida ragione in più per mostrare la continuità fra pensiero e azione: D&B non hanno espresso libere opinioni ma realizzata una pianificata (e cinica) azione di marketing.
Ho un ultimo argomento: il boicottaggio ha innumerevoli manifestazioni, le più drammatiche delle quali riguardano intere nazioni (le sanzioni economiche verso la Russia) di cui non mi occupo qui (anche perché sembra quasi più legittimo boicottare chi compie azioni manifestamente violente). Quelle possibili a singoli cittadini possono essere vere e proprie campagne sostenute semmai da associazioni di consumatori contro aziende per qualche motivo considerate non etiche (famose quella contro Nestlè, o contro Nike). Potreste dire che questi boicottaggi non sono contro opinioni ma contro azioni e vi ho già spiegato che per me non è così importante la differenza ma devo trovare un esempio non discutibile. Che ne dite allora di quello della Barilla, menzionato nello stesso articolo Wired citato sopra? Vi ricordate? Alla fine del 2013 Guido Barilla fece una tremenda gaffe omofoba alla radio. La campagna reattiva che ne seguì (che contemplò tentativi di boicottaggio che – come nota Wired – furono risibili) indusse Barilla a un profondo ripensamento aziendale che incluse fra l’altro varie concrete azioni pro gay che non sembrano di mera facciata. Se non siete omofobi (e non credo lo siate se leggete Hic Rhodus) probabilmente credete nell’estensione dei diritti inclusivi, compresi quelli relativi alla libertà sessuale, religiosa, politica eccetera. Bene quindi se da un incidente Barilla è ora considerata un modello di sensibilità ai diritti LGBT. Esattamente il contrario di ciò che hanno fatto, con cinico opportunismo D&G.
Ma ho anche un altro interessante esempio, questa volta a livello macro, internazionale. La civilissima Austria elesse in regolari elezioni nel 1999 il filo-nazista Jörg Haider Governatore della Carinzia che, in seguito al grande successo elettorale, entrò nel Governo del liberal-nazionalista Schüssel fino al 2002.
L’Unione Europea promosse delle sanzioni contro l’Austria, sanzioni di natura politica, non economica, volte a stigmatizzare la distanza culturale e valoriale della nuova dirigenza austriaca dai valori-guida che si pretendeva ispirassero l’Unione. Quindi: un Austria legittimamente rappresentata da leader legittimamente eletti boicottata per i valori e le idee propugnate, non già per avere compiuto azioni di un qualunque tipo (tant’è vero che le sanzioni furono annunciate come minaccia prima della formazione del governo). Naturalmente il fatto che esistano illustri precedenti di boicottaggio di propugnatori di opinioni sgradite non è in sé un’argomentazione. La mia è lasciata a quanto precede ma intendevo segnalare la non eccezionalità del fatto: la liberale Europa si è sentita minacciata da una sua componente che imboccava una strada considerata inaccettabile ed ha attuato un boicottaggio.
Potrò quindi io boicottare Dolce e Gabbana?
Risorse sul linguaggio e la sua capacità di cambiare il mondo:
I primi tre testi sono pensati organicamente e da leggere in questa sequenza:
- Le parole e il potere;
- Le parole sono pietre. Ma non è detto che siano chiare;
- Il linguaggio poetico non può mentire.
Questo quarto testo ha come focus un argomento diverso ma include una “Prima parte” (chiaramente denominata in questo modo) che tratta della relazione fra pensiero, linguaggio e realtà, basandosi su una nota teoria di Ogden e Richard, che raccomando vivamente:
Tutti (o almeno alcuni) quelli che non la pensano come me e sono corsi in soccorso di D&G:
- Francesco Anfossi, L’integralismo gender e il coraggio di Dolce e Gabbana, “Famiglia Cristiana”, 15 Marzo 2015;
- Francesco Ognibene, Su Dolce & Gabbana tempesta (con colpi bassi), “Avvenire.it”, 16 Marzo 2015;
- Andrea Barcariol, Fusaro: “Dolce e Gabbana? Li attaccano perché ora c’è la prova. Gender, siamo all’ingegneria sociale, “Intelligonews”, 16 Marzo 2015;
- Giacomo Cangi, La libertà d’espressione va difesa sempre. Je suis Dolce e Gabbana, “Wake up News”, 16 Marzo 2015;
- Carlo Rienzi, “Io sono Charlie”… ma a intermittenza. Dolce & Gabbana fanno solo abiti, non leggi, “L’Huffington Post”, 17 Marzo 2015;
- Mario Calabresi, La libertà di pensiero va rispettata soprattutto da chi lotta per difenderla, “La Stampa”, 17 Marzo 2015.
Uno invece che la pensa in maniera simile alla mia, ma ve lo spiega con molte meno parole:
- Aurelio Mancuso, Dolce e Gabbana hanno il diritto di difendere le loro opinioni, chi non è d’accordo di contrastarle, “L’Huffington Post”, 16 Marzo 2015.