L’ideologia che ci opprime

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Ho trattato molte volte il tema dell’ideologia, qui su HR, in forme più o meno dirette e con riferimento a fatti politici contingenti (in fondo all’articolo l’elenco dei post). Qui vorrei trattarne in generale, per fare chiarezza, perché ritengo sia un concetto cruciale nella nostra epoca, da comprendere per cercare di distaccarci dalle ideologie, di superarne le pastoie, i vincoli, i legacci che ci impediscono di giudicare il mondo con autentica libertà di pensiero o, quantomeno, con minori restrizioni alla nostra possibilità di comprendere cosa accade, perché succede, cosa sia meglio fare.

Poiché non voglio scrivere un post “erudito” non ripercorrerò la storia di questo concetto che inizia nella Francia del ‘700, si forgia (trasformandosi) nella filosofia tedesca dell’800 e finisce poi per diventare, oggi, leggermente polisemico, in bilico fra un significato neutro (come “sistema di idee”) e uno negativo (come “dottrine politiche fideistiche” di gruppi specifici quali comunisti e fascisti). Chi fosse interessato può leggere l’ottima esposizione scritta da Luciano Pellicani, con riferimento all’accezione negativa, oppure quella più neutrale di Burdeau. Per tipo di formazione, cultura e necessità espositiva io utilizzo |ideologia| in un’accezione assolutamente negativa, come

dottrina non scientifica che procede con la sola documentazione intellettuale e senza soverchie esigenze di puntuali riscontri materiali, sostenuta per lo più da atteggiamenti emotivi e fideistici, e tale da riuscire veicolo di persuasione e propaganda (vocabolario Treccani).

Non fatevi distratte dal termine “dottrina” incluso nella precedente definizione; se l’ideologia comunista è certamente una dottrina (con definizioni, argomenti, obiettivi espliciti e custodi dell’ortodossia), quella razzista – per fare un esempio – appare più come coacervo di stereotipi e atteggiamenti, qualche teorizzazione contraddittoria e molta emotività. Ciò su cui dovremmo concentrare la nostra attenzione è la parte finale di questa definizione, quella che indica gli atteggiamenti emotivi e fideistici persuasivi. Ci è qui di aiuto il già citato Burdeau:

L’ideologia si presenta meno come un prodotto della riflessione o della coscienza che come un dato che a queste si propone perché vi aderiscano o lo respingano; si presenta dunque, al limite, come un sistema di idee che non sono più pensate da alcuno.

Se l’ideologia, quindi, s’impone dall’esterno più di quanto non proceda dall’esperienza intima di coloro che vi aderiscono, ciò avviene perché è dotata di un potere di persuasione che le deriva più dall’emozione che provoca che dal ragionamento che suscita: essa mira meno a dimostrare che a convincere. Ed è perché fa appello alla convinzione che l’ideologia è a un tempo sistematica e dogmatica. Sistematica in quanto, affinché nella visione che propone non vi siano né lacune né contraddizioni, mescola proposizioni veridiche con altre dubbie o persino errate. Essa punta più sulla logica dell’insieme che sull’esattezza degli elementi che la compongono. Di qui il dogmatismo col quale proibisce le riserve o le correzioni; di qui anche la coerenza che è condizione della sua potenza unificatrice.

Quindi l’ideologia è:

  • un sistema più o meno completo di convinzioni;
  • pre-razionale, sostanzialmente fondato sull’emozionalità;
  • esterno all’individuo, che vi aderisce fideisticamente;
  • difficilmente criticabile nell’insieme e indifferente alle critiche sulle singole componenti, e quindi dogmatico.

open-cageCome ci può aiutare il concetto di ‘ideologia’ a migliorare il nostro contributo al mondo, il nostro ruolo di cittadini attenti, la nostra critica politica? Ci aiuta nella misura in cui riusciamo a riconoscere l’ideologismo nostro e altrui, affrontando le sfide contemporanee rifiutando il dogmatismo fideistico e perseguendo un atteggiamento che non vorrei definire semplicemente “razionale” (anche se la razionalità è molto importante) quanto, piuttosto, “disincantato”. Il razionalismo infatti, come corrente filosofica centrale nello sviluppo scientifico occidentale, ha assunto e continua ad assumere, a volte, elementi ideologici ingannatori: la credenza nello sviluppo infinito, nel potere indiscutibile della scienza (della quale a volte non si comprende che è anch’essa un processo sociale, e non un sistema chiuso e auto-determinato), nel dualismo positivista che separa lo scienziato osservatore dalla natura osservata, scordando che invece ne fa interamente parte e che, osservando, perturba l’oggetto osservato… Insomma: la razionalità è fondamentale ed è un atteggiamento positivo, ma il razionalismo ideologico è dietro l’angolo e può ingannarci, senza peraltro scordare che certi sistemi ideologici complessi – come il marxismo – hanno un’impronta razionalistica. Non è quindi “razionalità”, l’opposto di “ideologia”.

Il concetto di “disincanto”, invece, mi pare cogliere l’essenza dell’anti-ideologismo. Il “disincanto del mondo”, diceva Weber, è l’ingresso nella modernità secolarizzata abbandonando le superstizioni medioevali; è la consapevolezza nietzscheiana di vivere in un’epoca senza Dio e senza profeti; è la ricerca quindi di un orizzonte di valori che inizia e finisce con l’uomo. Cosa significa questo disincanto, in pratica? Che non possiamo interpretare il mondo attraverso categorie altrui (questa è, fra l’altro, una delle caratteristiche dell’ideologia), ma sottoponendo a critica le nostre idee, le nostre opinioni, i nostri valori. Ma poiché tale critica non può partire dal nulla (tutte le nostre idee sono frutto della nostra educazione, esperienze, incontri…), nessuno può garantirci un distacco totale, un’oggettività del giudizio (pretesa di un certo razionalismo ideologico), l’approdo a una qualche verità assoluta. Ecco un’altra ragione per preferire il concetto di disincanto: l’anti-ideologista persegue il disincanto sapendo di agire dall’interno di un sistema di idee che lo pervade e condiziona. L’atteggiamento disincantato è quindi continuamente critico ma strutturalmente debole e minacciato (da altre verità, da altre argomentazioni, da altre esperienze che mettono in discussione le precedenti…).

L’ideologismo è indubbiamente rassicurante. In quanto cornice valoriale ampia e indiscutibile, permette di evitare un estenuante confronto con dubbi e contraddizioni; permette di adagiarsi su verità che ci consentono di giudicare il mondo, solitamente in compagnia di moltissimi compagni di viaggio (altro potente fattore di rassicurazione); è così che accettiamo o rifiutiamo idee altrui perché “di destra” oppure “di sinistra” (a seconda della nostra ideologia di appartenenza). Nel dibattito politico attuale alcuni importanti leader fanno esattamente questo: 1) appoggiano/bocciano una determinata proposta perché “non di sinistra” (o viceversa); 2) trovano gli elementi specifici di tale proposta che collimano con la loro critica (non essere di destra/sinistra secondo quanto stabilito da sacri testi, dalla tradizione, dai nonni partigiani/repubblichini…); 3) non accettano punti di vista esterni a tale visione ideologica del mondo.

huge.103.516526Il disincanto anti-ideologista è l’unica arma che oggi ci permette di opporci a idee stereotipate e inattuali. Essere “di destra” o “di sinistra”, come scrissi tempo fa, ha un senso se si fa uscire questa dicotomia da orizzonti del secolo scorso e se si attualizzano le definizioni. Attualizzare per esempio destra/sinistra, alla luce del disincanto necessario, significa identificare priorità e obiettivi e perseguirli con politiche coerenti; e poiché le priorità e gli obiettivi possono essere differenti, alla luce di valori etici e di sistemi culturali antitetici (valori e cultura non perdono il loro ruolo in un mondo disincantato), ha senso immaginare proposte politiche diverse che – volendo – possiamo chiamare “di destra” e “di sinistra”. Non è l’inverso; l’inverso parte dagli stereotipi destra/sinistra e pretende di adattare e giudicare il mondo attraverso tali stereotipi. Il disincanto, invece, ragiona sul mondo infischiandosene delle etichette, di cui si serve in modo meramente operativo, come strumenti linguistici per descrivere idee complesse.

L’ideologismo è omologazione; pensare idee pensate da altri e con esse comprendere il mondo, e quindi comprendere il mondo non già secondo il proprio intelletto e la propria esperienza ma secondo l’interpretazione che l’ideologia dà della nostra esperienza, piegando il nostro intelletto. L’ideologia non è coniugata in idee specifiche sempre necessariamente false. È però un insieme di idee e valori che diventano nostri non perché li abbiamo scelti ma perché sono parte di un orizzonte accettato a prescindere; e che accettiamo nei suoi elementi specifici senza interrogarci su quali siano invece da rigettare. L’ideologia è una dolce e comoda prigionia dell’intelligenza, con un lessico condiviso da molti, con parole d’ordine forti e affascinanti. Il disincanto è una strada impervia e faticosa, sostanzialmente solitaria, sempre a rischio di imboccare la china amara dello scetticismo. Eppure è questa strada impervia che dobbiamo scegliere. Per essere liberi.

Non omologatevi!

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